17/01/2009 - Deicide + Samael + Vader + Devian + Order Of Ennead + The Amenta @ Rolling Stone - Milano

Pubblicato il 21/01/2009 da
A cura di Emilio Cortese
 

 
 
 
Per riscaldare una fredda e uggiosa domenica pomeriggio milanese, giunge a calcare il palco del Rolling Stone una manciata di gruppi di tutto rispetto. I tempi di esibizione ridotti all’osso per rispettare al massimo il severissimo coprifuoco non hanno impensierito le band, che urlando, saltando e squassando le folte chiome hanno dato vita a un gran spettacolo complessivamente carico. Sarebbe stato lecito aspettarsi un’affluenza maggiore data la storia dei gruppi in questione, tuttavia ci si accontenta, poiché si è in un periodo in cui il calendario è ricco di eventi, quindi è normale che non si possa presenziare a tutti. Noi c’eravamo e volentieri vi raccontiamo com’è andata…

THE AMENTA

A rompere il ghiaccio, davanti a un ristrettissimo pubblico, sono gli australiani The Amenta. Il loro death metal contaminato da suoni e ritmiche industrial è efficace e arriva dritto in faccia ai pochi astanti. Il look è inquietante almeno quanto la loro proposta musicale: pittati di nero con tanto di occhi bianchi, i nostri riescono nell’intento di non risultare pacchiani o fuori luogo. Purtroppo i suoni (come quasi sempre accade con le prime band a calcare il palco) sono approssimativi e leggermente impastati, ma le tracce proposte restano riconoscibili e stimolano il famoso movimento circolare dei capoccioni. Vengono presentati i brani principalmente estratti dalla loro ultima fatica “n0n”, dove un ruolo di spicco lo assume il barbuto tastierista Timothy Pope. Quest’ultimo è un energumeno che incita, si sbraccia e urla ed è il valore aggiunto per la band, riuscendo a dare ad essa una riconoscibilità rispetto alla massa. Energici ed efficaci, chiudono con quello che probabilmente nel tempo diventerà un cavallo di battaglia: stiamo parlando di “Erebus”, adrenalinica traccia d’apertura del primo album “Occasus”.

ORDER OF ENNEAD

Tempo di collegare due cavi e vedere se il microfono funziona che gli Order Of Ennead iniziano il loro show. Capitanato dal cantante-chitarrista Kevin Quirion (ex Deicide), il quartetto ci propone un death-black vagamente sinfonico. Il loro stile trae spunto un po’ dai Dark Funeral, un po’ dai God Dethroned, ma ci tocca rimarcare che, nonostante la musica non sia di livello scadente, ciò che manca ai nostri è una vera e propria personalità. La resa sonora è ancora abbastanza confusa e ad emergere sono soprattutto le acide urla del frontman e le (imprecise) sfuriate di doppia gran cassa di Steve Asheim (Deicide anche lui). Il resto del suono è un po’ tutto confuso, zanzaroso e impastato. Di tanto in tanto ci si accorge di un bell’assolo dell’orientale John Li e ci si fa volentieri trasportare dal suo gusto melodico. Prestazione abbastanza noiosetta, fortemente penalizzata dai suoni e da un drumming impreciso, Asheim evidentemente doveva ancora scaldarsi.

DEVIAN

Come rimarcato varie volte, i Devian hanno dalla loro una line up di tutto rispetto, con Legion e Dragutinovic (ex Marduk) rispettivamente alla voce e alla batteria. Se su disco lo stile e le canzoni della band non brillano per originalità e estro compositivo, dal vivo i nostri se la giocano veramente alla grande. L’istrionico e simpaticissimo Legion è un frontman nel vero senso della parola: urla, corre, squassa la chioma, bestemmia, salta sul pubblico, insomma si danna l’anima per rendere gli show dei Devian uno spettacolo a tutti gli effetti. Questo suo spirito da folletto indemoniato finisce per trascinare anche i suoi compagni di avventura, che dopo un po’ si sciolgono e non fanno mancare nulla. Il loro thrash-black sporco di death finisce per diventare trascinante e anche i pezzi che magari su disco non sembrano nulla di che, in questa sede hanno avuto una riuscita decisamente migliore. Premio Headbanging per tutti i componenti che scuotono in continuazione le lunghe criniere e ci regalano mezz’ora divertente, iniziando anche a stimolare un po’ di sana voglia di pogo. Dopo l’esibizione Legion e soci sono stati in giro per il Rolling Stone, firmando autografi, facendo foto con tutti, ridendo, scherzando e divertendosi un mondo. 

VADER

Parlando di un gruppo come i Vader, la prima parola che ci viene in mente è: garanzia. I polacchi, forti di una ricca e rispettabilissima discografia, ci pregiano della “solita” prestazione sopra le righe. Arruolato l’ottimo Vogg dai Decapitated alla chitarra e Paul Jaroszewicz dietro le pelli, Peter e compagnia suonante riempiono le orecchie di un pubblico che magicamente si è infoltito per godersi lo show. I nuovi entrati in line up sembra non abbiano avuto la minima difficoltà ad adattarsi, e forti di un suono finalmente curato e potente, ripercorrono in lungo e in largo la ricca discografia. Se già in studio le canzoni emanano adrenalina pura, violenza sanguinaria e potenza terremotante, dal vivo tutto ciò viene ampliato ulteriormente. Vengono quindi letteralmente sbattute in faccia a mo’ di slavina le varie “The Crucified Ones” dal primo “The Ultimate Incantation”, “Silent Empires” da “De Profundis”, “Black To The Blind” e naturalmente l’immancabile cataclisma sonoro che porta il nome di “Wings”. Senza troppi fronzoli, presentazioni o proclami, i Vader lasciano che sia il loro death metal arricchito di thrash a far parlare bene di loro. Il pubblico acclama, urla, poga e applaude… D’altra parte è praticamente impossibile restare immobili dinanzi a tanta violenza sonora ed è con altrettanta convinzione che alziamo pollici e corna verso questa band. In tanti anni di onorata carriera, questi hanno ancora tanto da dare e ci sentiamo di invitare chiunque non abbia ancora avuto modo di vederli a non perdersi un simile spettacolo. Mattatori assoluti della serata.

SAMAEL

La musica dei Samael è di quelle che o piace o non piace. Il loro sound elettronico, atmosferico e sulfureo, in un contesto come questo, rischia di non venire apprezzato a fondo. E’ anche vero che, dopo tanto massacro sonoro, un gruppo più tranquillo che ripulisca i timpani del pubblico, ancora rincoglionito dalla potenza sonora dei Vader, probabilmente ci voleva. Dal punto di vista scenico il quartetto elvetico è molto efficace, complice anche un azzeccato gioco di luci che ben si sposa con le atmosfere musicali che vengono create. La presenza del tastierista in particolare è molto d’impatto, il quale fa di tutto per non far pesare il fatto che la band non ha un batterista, cosa che, a parere di chi scrive, è di fatto una mancanza. Xy, dicevamo, saltella tra le tastiere e i tom di una batteria che di tanto in tanto si mette a suonare, scuote la testa e cerca di tenere alto il morale della truppa. Gli altri della band invece sono tutti abbastanza immobili e il pubblico non si capisce bene se è rapito dall’esibizione o si stia addormentando. Vorph, il frontman della band, a un certo punto cerca di riscaldare gli animi, ma la risposta é giusto una manciata di urla (femminili) a supportarlo. Chi non amava i Samael prima di vederli dal vivo, difficilmente avrà cambiato idea dopo questa performance che, a parte una cura maniacale di suoni e effetti luce, ha detto abbastanza poco.

DEICIDE

La prima vera notizia è che i Deicide hanno suonato! Non sarebbe stata di certo la loro prima diserzione a un concerto, e viste le condizioni del corpulento frontman non ci saremmo sorpresi eccessivamente: Benton infatti è raffreddatissimo e congestionato, probabilmente anche febbricitante visto che quando parla per annunciare i pezzi tira continuamente su col naso e non nasconde il suo malessere fisico. Ma quando canta non fa mancare assolutamente niente! Con un medley iniziale di quasi dieci minuti, i Deicide spiegano alla platea l’abc del death metal, ripercorrendo le perle di “Deicide” e le title track di “Once Upon The Cross” e “Scars Of The Crucifix”. Il pubblico ovviamente è in delirio, acclama, impreca, poga e suda. Si fa un passo avanti nella discografia della band e ci vengono proposte in fila le prime tre tracce da “The Stench Of Redemption”: bisogna dire che in sede live queste hanno un’efficacia notevole e si amalgamano benissimo con gli altri grandi classici. Ma è quando vengono suonate sia “Holy Deception” che “Dead But Dreaming” direttamente da “Legion” (il vero pezzo da novanta dei Deicide) che si scatena comprensibilmente la bolgia più delirante tra il pubblico. Asheim stasera dietro le pelli non sembra nemmeno lo stesso batterista che nel pomeriggio aveva suonato negli Order Of Ennead. Glen Benton taglia al minimo l’esibizione, tra una canzone e l’altra non si lascia andare a ringraziamenti e incitazioni varie, zero fronzoli ma attacchi frontali all’inizio di ogni brano. Un incedere impeccabile da parte anche della coppia di chitarristi che con l’esperienza dei grandi non perde un colpo. Di nuovo pezzi di storia ripresi da “Once Upon The Cross” con una cura magistrale e si chiude alla grande con “Sacrificial Suicide”. Un paio di saluti, una fugace stretta di mano alle prime file e poi tutti a casa a meditare su quanto sia vero il detto che recita ‘la classe non è acqua’.

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