Giornata fredda e plumbea, questo sabato novembrino in quel di Milano, e altrettanto pesante e glaciale si prepara ad essere l’aria che ci accoglie allo Slaughter Club, grazie ad un programma ad alto tasso di metallo della morte piuttosto allettante, che inizierà già nel tardo pomeriggio.
Se il nome di punta è quello dei Corpsessed, reduci dall’ultima prova “Succumb To Rot”, si può dire apertamente che il contorno non è affatto di secondo piano, visto che mette sul palco veterani come Rebaelliun, Embrace Of Thorns e Wombbath, assieme a leve magari un po’ più fresche ma con delle carte molto interessanti da giocarsi, come gli Exitium e i Dead Chasm.
Una pachidermica sestina di ore di death metal, che scorrerà piuttosto velocemente grazie a delle prove generalmente buone da parte dei partecipanti, con solo qualche sbavatura per alcune beghe tecniche: infatti non è mancato qualche momento di suoni poco decifrabili, una luce al neon che proprio non ci è andata giù e, più di tutto, hanno inciso sull’umore della serata alcuni cali di corrente che hanno interrotto i concerti in un paio di occasioni; quest’ultima situazione ha pesato particolarmente sulla prestazione degli headliner, che si sono trovati ad andare avanti tra i suddetti cali, suoni che rientravano e una generale sensazione di ‘vediamo che succede’: va bene che siamo metallari e siamo abituati a tutto, ma ci chiediamo se tali ‘incidenti’ verrebbero accettati o meno in un contesto di altro genere, soprattutto con un paio di nomi internazionali e di una certa levatura nella scena.
Veniamo al metallo che, almeno quello, non è mai calato nemmeno per un istante. Ecco com’è andata.
Vista la non moltissima la gente accorsa (ci è parso che l’evento non fosse stato poi così pubblicizzato) e la capienza invece ampia del luogo, si percepiva un po’ di timidezza all’inizio della serata nell’affrontare il ‘sottopalco’, ma questo non ha in nessun modo messo in difficoltà gli EXITIUM, realtà veneta al suo debutto sotto questo monicker, pronti ad aprire le danze al posto degli inglesi Repulsive Vision, assenti all’ultimo momento.
Ultima data di un tour di spalla ai Rebaelliun per i veneti, che non mostrano il fianco a nessun tipo di stanchezza e anzi se ne escono con uno show di vero impatto: saranno circa una cinquantina le persone presenti a quest’ora e ci sembra che un po’ tutti apprezzino il death metal annerito della band, che per i quaranta minuti concessi si spende in maniera professionale, tenendo il palco con esuberanza e gusto teatrale (tutti ricoperti di abiti neri che sembrano sporchi della terra da cui emergono), e riesce a infondere un mortifero sentore di disagio grazie ad una scrittura dei brani ferina, capace di riprendere le gesta di nomi cardine del death metal, tra i quali Morbid Angel e Deicide, ammantandoli di nere suggestioni black metal.
Prestazione muscolare e precisa, dunque, quella degli Exitium, che aiutati anche da suoni abbastanza clementi escono tra gli applausi e lasciano ben intendere che varrà la pena segnarsi il loro nome sul taccuino.
Il tempo di un cambio palco e di un veloce soundcheck, entra in scena la seconda e ultima band tricolore della serata, i DEAD CHASM, pronti a proporre il proprio death metal freddo e glaciale. E fredda risulta anche la resa visiva dei tre milanesi, che non danno spazio a parole da scambiare col pubblico o a nessun tipo di movenza ‘da palco’, Ci pensa la musica a parlare per loro, laddove i quasi tre quarti d’ora scorrono a suon di rasoiate urticanti, non senza una sorta di venatura doom a fare da cornice al riffing serrato della cantante/chitarrista Lorenza.
Il rischio di non distinguere tra un brano e l’altro è sempre dietro l’angolo con questo tipo di death metal, ma a nostro avviso i tre riescono ad evitare tale evenienza grazie ad una scrittura dinamica che ben si sposa nella sua versione live, e si riescono ad apprezzare reminiscenze catacombali tanto care a nomi come Krypts o Dead Congregation, anche se la staticità dell’esecuzione alla lunga potrebbe portare qualche astante a percepire un poco di stanchezza.
Nota di demerito, non imputabile alla band, una luce neon accesa al piano di sopra del locale (che funge da backstage), che resta accesa dalla fine degli Exitium e poi per praticamente tutto il concerto dei Dead Chasm, e che a noi sembra rovinare un po’ l’atmosfera. Un elemento che ovviamente non c’entra nulla con la prova dei Nostri.
Andiamo a saggiare il freddo milanese per dare un po’ di riposo alle nostre orecchie bevendo una birra (che anche allo Slaughter è arrivata allo standard dei sei euro milanesi) e da fuori sentiamo già i brasiliani REBAELLIUN scaldare le casse per la loro sortita.
La band è tornata sul mercato da un paio di mesi con l’ultimo “Under The Sign Of Rebellion” e ha avuto una certa sfortuna nella sua storia, frastagliata da ben due decessi, e sembra – paradossalmente, visto il micidiale genere proposto – realmente assetata di energia vitale. Quando iniziano, il famigerato neon è stato spento e le uniche luci sono quelle rosso sangue che avvolgono i tre brasiliani, che scatenano un inferno sonoro ragguardevole.
Nessuna scala di grigi per i Rebaelliun, che mietono vittime tra il pubblico assiepato nelle prime quattro/cinque file (comunque non più di un centinaio di presenti, che tali rimarranno più o meno per tutta la serata), con una setlist devastante che pesca prevalentemente dall’ultima uscita, ma che non disdegna qualche viaggio nel passato. La resa sonora e la perizia tecnica del trio permette di capire piuttosto bene quello che esce dalle casse, e grazie anche ad un fare scanzonato i Nostri riescono a far breccia negli ascoltatori, pure con qualche sonora bestemmia in italiano (e persino un “ghesboro”, forse frutto della settimana passata coi veneti Exitium…) e, più in generale, ad un modo di porsi genuino e viscerale, unito ad un’esecuzione tecnica da far tremare i polsi, in particolare di batteria e chitarra.
Circa una quarantina di minuti di musica sparata ai cento all’ora, che vede anche un tributo sentito ai compagni di band scomparsi per strada. Probabilmente lo show più intenso della serata.
Arriva dunque il turno dei greci EMBRACE OF THORNS, alla prima data italiana. La band richiama quasi tutti i presenti a fronte palco, dando il primo colpo d’occhio decente dal punto di vista di pubblico.
Purtroppo però sarà proprio lo show degli ellenici quello meno ispirato di questo sabato sera: tra una band che francamente non ci è apparsa così coesa e una resa sonora indecifrabile, siamo riusciti solamente a goderci l’attitudine del quintetto, tra face paint e borchie agghindato come nelle migliori occasioni, che comunque sembra metterci del proprio sul palco.
Peccato, perché all’inizio atmosfera e sonorità sembravano funzionare, ma, a mettere il cappello sull’esibizione, è sparita la corrente che ha spento tutti gli strumenti di palco (incluso il proiettore nel retro), smorzando completamente l’atmosfera ma non il batterista, che ha proseguito imperterrito.
Insomma, nata sotto neri auspici e proseguita non alla grandissima, la prova degli Embrace Of Thorns lascia l’amaro in bocca (almeno a noi, visto che molti dei presenti sembrano comunque allietati dal concerto: il bello della musica!).
Tocca ai WOMBBATH spazzare via come una ventata gelida del nord ogni dubbio su cosa significa un buono show: il suono di questi veterani del death metal svedese ci travolge letteralmente grazie ad un impatto distruttivo che porta sulle spalle anni di esperienza e, come lo stesso Jonny Pettersson ci tiene a sottolineare, la band c’era quando certi suoni si sono venuti a creare.
Certo, nella formazione odierna solo il chitarrista Håkan Stuvemark è effettivamente fra i membri fondatori, ma poco male: l’attitudine e il risultato è degno della storicità del nome. Su una carrellata di brani presi da un po’ tutta la carriera, con occhio di riguardo per l’ultima prova, “Agma”, i Wombbath riescono a fare del loro meglio anche con dei suoni non eccelsi e un problema ai pedali della batteria, che bloccheranno per qualche minuto l’esibizione (vuoto non percepito grazie alle doti istrioniche di Pettersson!). Anche per loro era la prima volta nel nostro paese, e se ne vanno lasciando un sacco di cadaveri a terra: se quello dei Rebaelliun è stato il live più intenso, quello dei Wombbath è stato sicuramente quello più riuscito.
Arriviamo ormai verso la fine, e non nascondiamo che iniziamo a sentire la pesantezza di questa maratona di violenza musicale, e ci domandiamo se è solo un modo di dire o se è davvero solo in Italia che gli headliner debbano iniziare in tardissima serata (è ormai mezzanotte), rimpiangendo gli spettacoli che abbiamo visto in giro per l’Europa, dove a quest’ora di solito inizia il gruppo che chiude la serata post-headliner o, addirittura, si è già tutti al pub.
I CORPSESSED sono in forma smagliante e quando piombano sul palco sembra scatenarsi una guerra sonora che non intende fare prigionieri.
Macchine vere e proprie, i finlandesi creano un inferno musicale che, unito a dei volumi altissimi, si gode meglio da metà sala che non da sotto il palco: pur riconoscendo le canzoni, facciamo infatti un po’ fatica a capire cosa succede sul palco e cosa fanno gli strumenti, in particolare una delle due chitarre, che sembra molto più bassa rispetto al resto (e avendo già visto la band un paio di volte in passato, possiamo assicurare che la resa può essere decisamente più efficace con suoni calibrati). Il tiro comunque è encomiabile, coi musicisti che tengono lo stage da veri professionisti, poche parole e tanta malvagità intollerante e gustosa.
Purtroppo è proprio con la band principale che ci saranno i maggiori problemi tecnici: dopo circa un quarto d’ora, salta di nuovo la corrente, e da questo momento in poi i problemi diventeranno costanti, tra la voce che va e viene – e che quando ritorna fa il classico rumore da ‘esplosione’ – il suono che rientra nei microfoni (Niko Matilainen si metterà addirittura a cantare più in basso per provare a sopperire al problema) e c’è almeno un’altra occasione in cui salta l’amplificazione degli strumenti per qualche secondo.
Una serie di sfortune che forse però fa risaltare ancora di più la serietà dei Corpsessed, che vanno avanti a testa bassa con convinzione e intransigenza in una condizione che avrebbe affossato la buona volontà di molti colleghi. L’esecuzione dei brani è tirata e maligna, non cede il passo allo sconforto e fa cadere sui presenti una mannaia davvero tagliente. Tanto di cappello a loro, dunque, che sebbene non possano fregiarsi di uno show memorabile, questa sera, riescono a uscire a testa alta.
Purtroppo la serata sente il peso delle lacune menzionate, e non entrerà negli annali del metal milanese, ma al netto delle carenze (evitabili o meno) riesce a farci portare a casa, oltre all’acufene, alcuni picchi decisamente esaltanti. L’underground, probabilmente, è anche questo.