Report e fotografie a cura di Riccardo Plata
A poche settimane dall’uscita del nuovo “The Chosen One”, è tempo di battesimo in sede live per i milanesi Destrage, di ritorno alla Santeria in veste di headliner dopo aver accompagnato un paio d’anni fa i Periphery. L’affluenza numerosa e variegata al locale testimonia lo status di ‘role model’ raggiunto ormai dal quintetto meneghino all’interno della scena modern metal. Ma andiamo con ordine e, persa l’esibizione dei Diatonic Sun, partiamo col raccontare lo show degli Sharks In Your Mouth. già visti di fianco ai Destrage nel tour di “A Means To No End”…
SHARKS IN YOUR MOUTH
Sono passate le 21 quando gli Sharks In Your Mouth fanno il loro ingresso sul palco e, di fronte a un locale già in buona parte gremito, investono le prime file con il loro metalcore, non certo tecnicamente raffinato quanto quello degli headliner, ma secondo a nessuno in termini di groove. Con già diversi annni di attività live alle spalle, i cinque (provenienti da diverse parti del centro-nord Italia, come ricorda il cantante Andy) ripropongono i migliori estratti del loro esordio – “Promises”, edito nel 2016 – in attesa di un nuovo full-length, la cui uscita pare ormai imminente. Accanto ai pezzi originali, accolti con entusiasmo da un pubblico già bello carico di adrenalina, il momento più esaltante è probabilmente la cover di “Lose Yourself” di Eminem, resa in modo impeccabile e cantata a gran voce da un’audience evidentemente a suo agio anche con questo tipo di sonorità. Dopo lo spargimento di litri di sudore (complice una temperatura sottopalco sopra ai livelli di guardia) è tempo dei saluti e scatta l’attesa per gli headliner.
DESTRAGE
Introdotti da una base elettronica, arrivano sul palco i cinque milanesi e attaccano subito con la title-track dell’ultimo disco, “The Chosen One”, accolta con entusiasmo dal pubblico che ormai stipa in ogni ordine di posto il locale, facendo registrare un prevedibile sold-out. Altrettanto prevedibile, vista la quantità di adrenalina in circolo sopra e sotto il palco grazie soprattutto ad un tarantolato Paolo Colavolpe, è il moshpit che si scatena nelle prime file, coinvolgendo praticamente mezzo locale sulle note nuove e vecchie di “About That” e “Double Yeah”. Se il singer è il motore scenico della band, dal punto di vista musicale è semplicemente mostruosa la prova dei due chitarristi Ralph Salati e Matteo Di Gioia (che peraltro festeggia il proprio compleanno), così come incredibile è l’energia ritmica sprigionata dal tentacolare Federico Paulovich e dallo spettacolare bassista Gabriel Pignata, i cui led sul manico ricordano quelli del miglior Sam Rivers. Evidentemente galvanizzati dello scambio reciproco di energia, testimoniato anche dai numerosi stage diving, facilitati dall’assenza di transenne e security sotto palco, e dal fatto di giocare in casa, i cinque danno l’anima, pescando i migliori estratti soprattutto dal masterpiece “AYKM?N” (“My Green Neighbour”, “Destroy Create Transform”, “Where The Things Have No Colour”, “Purania”), fino all’apoteosi proprio con la title-track ballata all’unisono da tutto il locale. Nel mezzo, fanno la loro sporca figura anche gli estratti dall’ultimo album (tra cui “Hey Stranger”, dedicata dalla band agli xenofobi, e “Mr. Bugman”), mentre meno spazio viene dedicato al penultimo “A Means To No End”, con le sole “Symphony Of The Ego” e “Don’t Stare At The Edge”. Non è ancora mezzanotte quando la band si congeda sulle note rockeggianti della più datata “Jade’s Place”, ma c’è veramente poco da aggiungere ad una serata praticamente perfetta sotto ogni punto di vista: dalle esibizioni al pubblico, senza dimenticare merchandising e birre dai prezzi assolutamente umani. Per chi c’era, una notte da ricordare; per tutti gli altri, un gruppo da non perdere.