Report e foto di Riccardo Plata
“E’ meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”: la massima di Neil Young, resa tristemente famosa da Kurt Cobain, è stata presa alla lettera, artisticamente parlando, dai Destrage, che a quindici anni dal loro esordio discografico hanno deciso di ritirarsi per sempre. Un addio che fa notizia per una band nel fiore degli anni, consolidata intorno al nucleo storico (al netto dell’uscita qualche anno fa dello storico bassista Gabriel Pignata) e artisticamente ancora rilevante, come testimoniato dall’ultimo “SO MUCH, too much”, ma che in qualche modo conferma la peculiarità di questi ragazzi, capaci di fare un passo indietro nella consapevolezza di non poter dare il 110% alla band (“Destrage prima di tutto”, come da comunicato ufficiale).
Prima dei saluti c’è spazio per una “Last Dance” degna dei Chicago Bull e così, dopo le date in trasferta a Londra e Tokyo, non poteva che essere il palco dell’Alcatraz la location ideale, per l’occasione sold-out a testimonianza dell’affetto del pubblico di casa per la band meneghina. E poco importa che l’assetto sia quello del palco B, anzi meglio così vista la performance fisica che i cinque sono soliti riversare nei confronti del pubblico, riducendo così le distanze e garantendo un colpo d’occhio straordinario con il locale gremito anche sulle balconate.
Nessuna band di spalla stasera, lo spettacolo è tutto per i DESTRAGE: e così alle scoccare della nona ora sull’orologio si alza il volume della musica di sottofondo, con un mix che parte da Elton John (“Tiny Dancer”) passa per le Spice Girls (!) di “See You’ll Be There” e finisce in crescendo con “Firestarter” dei The Prodigy, sulle cui note Paolo, Mat, Fede e Ralph fanno il loro ingresso sul palco, per l’occasione accompagnati dal bassista Giuseppe Colli e dal percussionista Alessandro ‘Pacho’ Rossi dei Karma, il cui apporto aumenta il già notevole impatto percussivo di Federico Paulovich (per chi scrive, il Joey Jordison nostrano).
La partenza a fionda prevede un mix di pezzi vecchi (“Twice The Price”, “Back Dooor Epoque” e “Art Of Free”, dedicata a chi li segue dai tempi del debutto “Art Of Being”) e nuovi (“Silent Consent”, “Symphony Of The Ego”), scanditi dalle immagini sul led wall che ripercorrono le copertine degli album e i titoli delle canzoni.
Ad impressionare, come già in altre occasioni, è l’attitudine rock’n’roll e l’intensità fisica dell’interazione con il pubblico, degna di un concerto punk/hardcore, a fronte però di partiture dei singoli pezzi che basterebbero per intere discografie di band di questo genere. Fondamentale in questo senso l’apporto del frontman Paolo Colavolpe, praticamente un tutt’uno con le prime file, e il funambolico stile del chitarrista Matteo Di Gioia, mentre Ralph Salati e il già citato Paulovich hanno una postura più statica ma non per questo meno efficace.
Arriviamo dunque al momento clou della serata, ovvero l’esecuzione per intero dello storico “Are You Kidding Me? No.”, album della definitiva consacrazione (nonchè debutto per la Metal Blade, all’epoca) di cui ricorre quest’anno il decimo anniversario: per dirla con le parole di un Paolo più loquace del solito d’ora in poi “non si scherza più un cazzo”, e infatti per i successivi cinquanta minuti l’Alcatraz diventa preda di un massacro collettivo, a partire da “Purania” e “My Green Neighbour” (il cui video viene trasmesso sullo sfondo) accolte in un tripudio di sciarpe e scarpe che ondeggiano sopra le nostre teste.
C’è spazio anche per un momento di pubblicità progresso in favore dell’associazione Telemaco (ente non profit che aiuta gli adolescenti in difficoltà, qui presente con un banchetto) prima di riprendere la bolgia con la critica sociale di “Hosts, Rifles & Coke”, più che mai attuale.
Il momento più intimo di “Where The Things Have No Colour”, con un bell’assolo di Ralph, serve a lanciare il gran finale con “Waterpark Bachelorette” accompagnata da un unicorno gonfiabile (su cui qualche intrepido è riuscito a fare stage diving) mentre qualcuno di fianco a noi si diletta con le bolle di sapone in un’atmosfera da festival più che da Milano d’autunno.
C’è spazio infine per un breve ma intenso solo di batteria prima che irrompa la title-track, rigorosamente con la tromba d’ordinanza, per farci spalancare nuovamente la mascella oggi come dieci anni fa.
Dopo una meritata pausa si riparte con il famigerato “Breakdown Medley” (un mix di otto pezzi da cui vengono estratti i soli breakdown): più divertente l’idea che l’effettiva resa sonora, ma l’effetto è comunque quello di scatenare il più grande circle pit della serata, prima della tripletta finale (l’ultimo singolo “Italian Boi”, seguita dalle storiche “Panda vs. Koala” e “Jade’s Place”) che fa timbrare il cartellino degli straordinari agli addetti alla sicurezza davanti al palco, impegnati per due ore di fila a gestire orde di corpi volanti (anche se, per citare sempre Paolo, “dopo novanta minuti è un sequestro di persona”).
Sulle note di “Heroes” di David Bowie i cinque si congedano dal palco stanchi ma felici, prima di continuare la festa al Rock’n’Roll di Milano: una chiusura col botto in un cocktail di sudore e lacrime (più il primo delle seconde, per la verità) dove a prevalere è l’orgoglio per essere stati parte di questo viaggio, ancora più indimenticabile dopo lo show di stasera.
Il futuro dirà che ne sarà dei quattro membri storici, nel frattempo… Stay angry, stay Babidibubidi!
Setlist:
Twice the Price
Silent Consent
Symphony of the Ego
Back Door Epoque
Art for Free
At the Cost of Pleasure
Rimashi
Neverending Mary
Destroy Create Transform Sublimate
Purania
My Green Neighbour
Hosts, Rifles & Coke
G.O.D.
Where the Things Have No Colour
Before, After and All Around
Waterpark Bachelorette
– (Obedience)
Are You Kidding Me? No.
Breakdown Medley: Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It / Wayout / Smell You Later Fishy Bitch /
Home Made Chili Delicious Italian Beef / To Be Tolerated / Hey, Stranger! / Trash for Sale / The Flight
Italian Boi
Panda vs. Koala
Jade’s Place