Report di Vanny Piccoli
Foto di Benedetta Gaiani
È il pomeriggio di una tipica giornata autunnale fredda e umida. Ci stiamo dirigendo verso Bologna per assistere alla prima edizione del Dev Death Fest che si terrà al TPO, centro sociale nel cuoredi Bologna, già noto per aver ospitato le varie edizioni del Krakatoa Fest. Come si può intuire dal nome dell’evento, il fulcro dell’organizzazione è stata affidata al collettivo del Circolo Dev che preferisce, per ragioni di capienza, affidarsi ad una location leggermente più grande in questa occasione. Per promuovere il festival inoltre è stata fatta una giornata di ‘warm up’ nel giorno di venerdì 18 novembre, che vedeva protagonisti tre gruppi italiani: Pugnale, Lacerhate e Infall. Sono quasi le 19 e i cancelli del TPO sono appena stati aperti per smaltire la discreta coda formatasi di fronte. L’area esterna della venue ospita vari tavoli e panche in prossimità di un food track con una cucina esterna, pronto a sfamare gli ospiti dell’evento con fritti, panini e piadine completamente vegan per tutta la durata della serata, mentre il bar all’interno del TPO è pronto a occuparsi dell’idratazione generale. La lunga e rettangolare sala della location comincia ad accogliere il pubblico del festival con due luoghi adibiti all’esibizione delle band: il palco principale, in fondo alla stanza, e l’opzione ‘parterre’, accanto alla zona del mixer che si trova al centro della sala.
Sul palco del TPO troviamo due backline: quella principale degli headliner in tour, sistemata dietro, e una seconda backline completa, usata dalle band in apertura, posta lungo lo spazio restante a ridosso delle transenne che dividono il palco dalla sala. Sul palco troviamo gli SKULLD, pronti a terminare il linecheck per dare il via al festival. Il quartetto romagnolo, formato circa quattro anni fa, ha un solo disco all’attivo, “Reinventing Darkness”, pubblicato poche settimane prima dell’inizio della pandemia, ma nonostante ciò hanno macinato varie date con Fulci, Implore e Black Tusk. Il tempo di sistemare velocemente i suoni ed ecco che i ragazzi lasciano andare un bel muro sonoro di fischi per iniziare lo show, puntuali sulla tabelle di marcia. Nonostante l’orario non tardivo, più di un centinaio di spettatori si fanno strada lungo la sala del TPO formando varie file di fronte al palco. Partono con “Red Moon” e “The Longest Hour” tra piogge di blast-beat, ripartenze e vari build-up strategici, potenziati dal riffing infuocato di Rappo, ex Hierophant, e di Enrico Monti alla chitarra. Lo scream di Pamela alla voce principale trasmette il giusto tormento che il loro death metal vecchia scuola vuole infondere, rafforzato a dovere dai cori in growl del resto della band. Sopra al palco, colonne di luci rosse infernali calano sulla formazione romagnola creando un’ottima atmosfera che porta intesa tra band e pubblico, il quale risponde con i primi accenni di pogo tra le prime file. Proseguono con “Daphne”, brano inedito dall’intro di basso estremamente rovente, condotto soprattutto dall’intensità del drumming energico di Teo Giunchi (La Prospettiva). Dopo la prima metà della scaletta, un altro centinaio di persone ha popolato la sala, facendosi avanti e apprezzando molto la proposta dei romagnoli che macinano un brano dopo l’altro. Giusto il tempo di prendere fiato qualche secondo, cogliendo l’occasione anche per ringraziare i ragazzi dell’organizzazione e proseguono spediti con gli ultimi pezzi del set: “Beaivi”, “Cold Hands In Circle Reborn” e un’altra canzone inedita vengono sparati con ferocia grazie ad un tiro più hardcore e ad un bel treno di doppio pedale, in grado di trascinare tutto il pubblico presente con un headbanging disinibito che durerà fino ai fischi che chiudono la scaletta.
Solamente venti minuti sono necessari per il cambio palco ed ecco che il trio lombardo-veneto SELVA fa il suo ingresso di fronte al pubblico del TPO. Posto giusto davanti alla gran cassa della batteria, l’abat-jour che da sempre caratterizza i loro live assieme ad altre due lampade, sistemate accanto agli amplificatori, fanno da comparto luci per il loro set, immersi nel buio e in un mare di fumo diffuso da sopra al palco. Il trio sprigiona un consistente volume nei suoni fin dai primi feedback con riverbero e delay, creando un’atmosfera plumbea che cresce di intensità progressivamente con i primi accordi di “Silen”, opener di “DOMA”, uscito nel 2018. La serie di accordi ben definiti rendono spontaneo l’ingresso crescente della batteria che non tarda a culminare in rullate sopra ai taglienti riff. I blast-beat sono incessanti e la melodia riverberata è portata avanti riff dopo riff, in un’atmosfera nebbiosa e buia, fino a terminare in un lento assolo dal tono malinconico. É uno show bello compatto in cui i Selva uniscono a dovere lo screamo e varie influenze black metal, comunicando una grossa carica espressiva di emozioni grazie anche al perfetto gioco di urla tra chitarrista e i cori al basso. I primi dieci minuti di set volano e al termine del pezzo le luci sopra al palco illuminano il pubblico, che si lascia andare ad un caloroso applauso. Qualche rapido secondo di pausa serve per dare il via alla seconda raffica di blast beat con l’inizio di “Indaco”, tratto dal secondo album “Eléo”. Sempre immersi nel buio, veniamo travolti da un muro sonoro di urla e blast-beat, dietro ai fusti, Tommaso (presente nella penultima formazione degli Hexis) viene illuminato dalla luce strobo posta a terra, contornando la propria sagoma come un uomo nell’ombra. Il riffing di chitarra si lascia andare ad un arpeggio pulito dai colonnati di riverbero che non lascia sfumare l’atmosfera, prima di aprirsi ad una parte più distesa e cadenzata. “Soire” e “Alma” chiudono l’offerta dei Selva a cui il pubblico reagisce bene facendo partire un timido accenno di pogo. La sezione di archi presenti nell’ultimo brano, registrati da Nicola Manzan (in arte Bologna Violenta), fa da outro precedendo l’ultima sezione, cadenzata e dai decibel altissimi prima che le luci sopra al palco illuminino i presenti per l’ultima volta.
Al termine della scaletta dei Selva, i tecnici a bordo palco rimuovono prontamente la seconda backline per lasciare spazio al soundcheck della prima band estera del festival, i SANGUISUGABOGG. Il quartetto americano è stato protagonista di una recente ascesa grazie a diverse tournée in patria con Suffocation, Nile, 200 Stab Wounds e Cannibal Corspe. Century Media Records ha accolto la pubblicazione dell’EP di debutto, del primo album “Tortured Whole” e si occuperà inoltre della promozione della futura release. Dopo una breve controllata ai suoni, i Sanguisigabogg iniziano lo show belli lanciati con una manciata di brani inediti: “Black Market Vasectomy” e “Pissed” trascinano il pubblico, ora arrivato a riempire il TPO, in vari circle-pit grazie ai ballabili ritmi catchy che vengono seguiti da repentine accelerazioni e da blast-beat esplosivi. La prima pausa si apre con un sonoro “We’re Sanguisugabogg from Ohio, USA” da parte del carichissimo Davin Swank, alla voce, il quale fa partire varie urla di apprezzamento tra i presenti e si dimostrerà più che disponibile per scambiare qualche parola dopo lo show. Grazie allo scambio di battute, siamo riusciti a reperire una loro scaletta notando con stupore la totale assenza di brani già pubblicati. Infatti riprendono il set immediatamente con “Face Ripped Off” in cui il groove non viene assolutamente messo da parte e una grande fetta del pubblico si lascia andare all’headbanging sfrenato, fino al primo “Make some noise!” alla fine del brano che fa urlare i presenti con tanto di corna al cielo. Ci rendiamo conto che il pubblico si è scaldato per bene ed il pit non accenna a chiudersi, così il tupa-tupa di “Skin Cushion” trascina gli astanti nel mosh continuo, esplodendo in vari breakdown ignoranti e vincenti. I Sanguisugabogg alzano l’asticella del livello tecnico della serata, non solo grazie all’inarrestabile velocità della doppia cassa, ma anche dalla varietà di riff messi in campo, caratterizzati da un sound cupo e massiccio. Continuando con “Feening For Bloodhshed” e “Hungry For Your Insides” il set vola veloce in tempo record e il quartetto americano annuncia l’ultimo pezzo. Come già accaduto, David incita il pubblico con un cattivissimo “Bang you head!“, tra i vari growl urlati e scream paurosi. I presenti rispondono benissimo a “Mortal Admonishment” e qualcuno si lascia andare anche al crowd surfing sopra la folla, mentre la formazione dell’Ohio ringrazia calorosamente e si allontana dal palco. Notiamo moltissimi sorrisi sui volti dei presenti, reduci da uno show gore-grind da pasta e fagioli estremamente convincente nonostante la scaletta ridotta, formata solamente da brani presi da “Homicidial Ecstasy” che verrà pubblicato nel prossimo febbraio.
Terminati i ringraziamenti dei Sanguisugabogg ci spostiamo immediatamente dalla zona del palco verso l’uscita laterale passando per il centro della sala. In prossimità del mixer troviamo FERA, pseudonimo di Andrea De Franco, rumorista, illustratore e artista bolognese, pronto ad iniziare il suo set. Il suo bancone è stato preparato con attenzione e lo troviamo colmo di sintetizzatori e delay analogici tra cui si intravedono anche vari pedali per chitarra. Il pubblico rimasto in sala si raduna tutto attorno all’area del mixer e della sua postazione, incuriosito dai vari effetti e attento ai movimenti delle mani di Andrea. Uscito per Maple Death Records e parte integrante del collettivo Undicesima Casa, spara senza pause una serie di brani in chiave elettronica con molti rimandi al noise e alla drum and bass molto cadenzata. Il pubblico riunito di fronte a lui si fa trascinare nel flow dei rumori muovendosi a tempo e apprezza il particolare show tutt’altro che minimale. La sua esibizione, all’interno di questo contesto, si rivela completamente azzeccata e perfetta per spezzare il tiro estremo della serata. Sopra agli ultimi feedback noise, l’artista ringrazia e saluta il pubblico di fronte a lui.
Nel frattempo decine di persone si sono dirette verso lo stage principale dove si è appena concluso il cambio palco e i CELESTE sono pronti ad esibirsi. Il palco è completamente immerso nel buio e dietro di noi, un mare di gente riempie completamente la sala del TPO. Il quartetto di Lione sferra i primi colpi di basso e di batteria con “(A)”, estratto dall’ultima uscita per Nuclear Blast Recordings, “Assassine(s)”. Il tempo di lasciare scorrere un build-up di introduzione ed ecco che i primi lenti riff di chitarra ci travolgono, grazie ad un volume pazzesco dal sound molto moderno. Per il momento, le torce rosse portate alla fronte, tipiche dei loro live, fanno spazio ad uno show di luci bianche e rosse, sistemate di fronte agli amplificatori e pronte a lasciare tutti nel buio pesto a tempo debito. Continuano con “De Tes Yeux Bleus Perlés”, in cui entrano in scena le quattro torce rosse che combinate al perfetto gioco di luci e all’aria completamente saturata dalla macchina del fumo, creano un’atmosfera trascinante che amplifica la resa della performance. I nuovi brani colorano di un tratto moderno il post-metal/sludge quadrato dei transalpini, tanto da strizzare l’occhiolino al metalcore durante i breakdown che comunque hanno un’ottima presa sul pubblico, entrando direttamente nello stomaco. Corna al cielo e urla di apprezzamento scandiscono la breve pausa che precede i prossimi brani, “Des Torrents De Coups”, “Il A Tant Rêvé D’elles” e “Elle Se Répète Froidement” tra mitragliate di doppia cassa trascinante e accordoni monolitici. I Celeste ripongono le torce sopra agli amplificatori e lasciano che i visual ora proiettati dietro la batteria illuminino il palco. Ciò che vediamo è il video di “Le Cœur Noir Charbon”, perfettamente eseguita a tempo in un flusso continuo di mazzate. Le luci bianche sopra al palco creano un effetto quasi da rituale liturgico tipico di certo post-metal, ampliato da un secondo giro di emissione di fumo sintetico, in cui dei Celeste rimangono solamente le ombra. I riff si fondono gli uni con gli altri in modo ipnotico fino al termine del brano rendendo il loro set molto dinamico e d’impatto. Il repertorio proposto fino a questo punto non lascia spazio a ciò che precede l’ultimo disco ma, per chiudere il set, la formazione francese scaglia l’ultima raffica di colpi ossessivi e opprimenti con “Comme Des Amants En Reflet” e “Cette Chute Brutale”, entrambi presenti in “Infidèle(s)”. I Celeste convincono moltissimo e dimostrano ancora una volta quanto ci sappiano fare in termini di presenza scenica. I colpi martellanti chiudono la scaletta subito prima che il pubblico si lasci andare ad un lungo applauso di apprezzamento.
Ancora una volta il pubblico si dirige verso l’uscita laterale della sala del TPO fermandosi però nella zona ‘parterre’ sta per iniziare l’esibizione elettrica dei þE CLOVDE OF VNKOWYING. Adattato dall’inglese antico, i The Cloud Of Unknowing sono un duo bolognese formato da Fera e da Presente, altro artista dalle sonorità più conformi alla techno. Questa performance rappresenta il loro show di debutto, registrato in presa diretta, e poi inciso su di una cassetta e illustrata a mano sempre da Andrea De Franco. La gente si è nuovamente riunita attorno a loro, che si presentano in completa tenuta mimetica, ricoperti dalla testa ai piedi. I primi feedback noise escono dall’impianto e ci entrano nei timpani come uno scalpello. I presenti sono interessanti dai loro movimenti e rimangono attenti a ciò che i due mettono in campo tra campionatori, delay analogici e sintetizzatori. É un set di puro harsh noise, con qualche sporadica sezione più cadenzata dai bassi profondi che rimanda al sound tipico di Presente.
Un muro di fischi e di rumori si abbatte senza alcuna pausa sui presenti all’interno della sala fino alla fine del set, accompagnando il cambio palco sullo stage principale, dove, una volta terminata la coda di feedback noise, si esibiranno i ROTTEN SOUND. Senza troppo ritardo sulla tabella di marcia i pionieri del grindcore iniziano il proprio show sparando un paio di pezzi di “Cycles” e del più recente “Abuse To Suffer”. Il groove trascinante di “The Effects” da subito fa aprire un violentissimo pit in cui i malcapitati all’interno si menano senza ragione, contenuti solamente dalle transenne a ridosso del palco. Sami Latva dietro le pelli è un mitragliatore inarrestabile che sfodera esplosivi blast-beat senza fine, presto mimati dalle mani dei presenti in prima fila. Il sound da tritacarne al basso di Matti Raapana, entrato stabilmente nella formazione solamente l’anno scorso, sorregge egregiamente l’impatto sonoro brano dopo brano. L’intesa tra band e pubblico è fortissima tanto che il carichissimo Matti spacca una corda del basso e lo posa a terra nell’attesa di sostituirla, ma ciò non fa arrestare la furia totale considerando l’imponente sound motosega di Mika Aalto, il quale spara riff su riff in maniera impeccabile. Alla prima pausa leggermente più lunga Keijo Niinimaa ne approfitta e prende parola, per ringraziare calorosamente tutta la crew che ha messo in piedi il festival, prima di ripartire con un altro blocco di pezzi furiosi tratti da “Murderworks” e da “Exit”. Le sfuriate dei blast-beat di Sami fanno cadere a terra un’asta della batteria e sarà lui stesso a riposizionarla a dovere durante la successiva pausa. Luci rosso fuoco illuminano dall’alto la formazione di Vaasa che ora rincara la dose di violenza con “Plan”. Keijo è una colonna che urla come un drago decisamente arrabbiato senza sbagliarne una, ma poi si lascia andare a dei lunghissimi sorrisi durante le pause, ringraziando più volte il pubblico di Bologna. “Trashmonger” chiude un altro blocco di canzoni, caratterizzate dall’headbanging generale a tempo con il groove prima di annunciare tre brani inediti, presentandoli come brani ‘antiguerra’, proprio perchè incredulo dell’attuale conflitto che sta colpendo l’Europa. Tutto il pubblico apprezza le nuove canzoni, che non fanno arrestare il crowd surfing generale e le botte rifilate tra i membri del pit. “Decay” e “Sell Your Soul” rappresentano le munizioni sparate prima dell’ultima pausa, in cui Keijo si sofferma nel complimentarsi con le band presenti al festival e regalandoci l’ennesimo sorrisone. La scaletta si chiude con “Corponation”, “Blind” e “GDP”, in cui, a metà di quest’ultima, Matti decide di lanciare il basso sul palco e di tuffarsi sopra le prime file in stage diving. Dopo aver rischiato di aprirsi la fronte cadendo nel pogo, viene risollevato e portato dall’altra parte delle transenne per suonare gli ultimi accordi, tra i sorrisi divertiti del resto della band. Sopra una montagna di feedback da HM-2 i Rotten Sound ringraziano calorosamente il pubblico ed escono dal palco.
In poco meno di mezz’ora i tecnici a lato del palco risistemano lo stage per accogliere i FULL OF HELL dal Maryland, headliner della serata. Nonostante la giovane età dei membri, il quartetto americano ha già accumulato dieci anni di tour in tutto il mondo e la loro ascesa sembra irrefrenabile, considerando inoltre l’attenzione richiamata dai loro prodotti più sperimentali, come i dischi di collaborazione con The Body e Merzbow. Il rack pieno di pedali, sintetizzatori ed effetti per la rumoristica è stato posizionato al centro del palco, come d’abitudine, ed è pronto a ricevere i primi input del frontman per iniziare lo show. Dylan Walker manovra i vari effetti e un tuono di feedback harsh noise investe il pubblico del TPO. Il frastuono di matrice elettronica crea strati su strati di feedback e, al loro culmine, Dylan impugna il microfono aspettando ‘il quattro’ per iniziare. Dave Bland alla batteria è una furia tra blast-beat e le rullate devianti di “Halogen Bulb, mentre alla chitarra non troviamo Spencer Hazard – assente per tutto il tour europeo ma incredibilmente sostituito da Gabe Solomon, chitarrista nel quartetto stoner/doom Dirt Woman. Un rimbombante “Bologna grazi! This song is about drinking blood!” crea un attimo di sospensione prima di una scatenata serie di pezzi feroci e aggressivi tra grindcore e hardcore punk, fino ai folli intermezzi elettronici. Sentire “Branches Of Yew”, “Bound Sphinx” e “Digital Prison” dal vivo fa letteralmente provare una scarica di adrenalina che influenza gran parte dei presenti, infatti in molti si lasciano andare al crowd surfing generale. Senza un attimo di respiro l’intro di “Crawling Back To God”, tratto dal prologo di “The Exorcist” di William Blatty, scoppia nelle casse dell’impianto e la sua riproduzione viene fatta echeggiare fino a provocare le urla di apprezzamento del pubblico. Dylan è caricato dalla risposta positiva dei presenti tanto da sporsi oltre la transenna del palco e cantare il ritornello in faccia alle prime file. La medesima situazione si presenta anche nel pezzo successivo quando si tratta di urlare l’outro di “Gnawed Flesh” alzando il livello di intesa con il pubblico, che apprezza parecchio e inizia a darsele di santa ragione nel pit. Una breve pausa conduce Gabe e Sam DiGristine al basso, ad un veloce cambio strumenti prima di qualche brano delirante estratto da “Garden Of Burning Apparitions”, come “Eroding Shell” e la stessa title-track. Dylan è lanciatissimo e urla come un demone, alternando repentinamente senza alcuna difficoltà growl profondissimi a scream spaventosi. Il live procede rapido come un battito di ciglia, e la botta sonora tocca il suo apice della serata grazie ad una sezione puramente harsh noise dagli infiniti fill di batteria e urla effettate durante “The Lonely Path Of Cestoda”, prima di ringraziare calorosamente e annunciare gli ultimi pezzi del set. I Full Of Hell chiudono con “Rat King”, tratto dal full-length di debutto “Roots Of Earth Are Consuming My Home”, in cui Dylan urla le sue ultime energie attraverso il suo scream viscerale e lasciando spazio al circle-pit che si apre durante la ripartenza del brano. Il groove che viene creato è particolarmente trascinante ed apprezzato dai presenti, che si lasciano andare alle ultime sberle in faccia prima del muro rumoroso tra urla e fischi dalle caratteristiche quasi industrial. Il pubblico applaude la performance del quartetto di Ocean City e si prepara per dare un’ultima occhiata ai tavoli del merch prima di indirizzarsi verso i cancelli del TPO. Tutti sono soddisfatti e sorridenti per l’esito la serata, speranzosi per una seconda edizione di questo festival nel corso del prossimo anno.