Report a cura di Carlo Paleari
Gli appassionati del metallo più acuto e stimolante hanno potuto godere di una serata di altissimo livello, che ha presentato un ventaglio di band molto diverse tra loro ma, al tempo stesso, estremamente coerenti. Ovviamente l’attenzione maggiore è rivolta al buon Devin Townsend, che porta in tour la sua ultima fatica, “Transcendence”, un album di buonissima fattura che, pur non rientrando tra i capolavori del canadese, mostra ancora un artista in grado di scrivere ottime canzoni. Ad accompagnarlo, due band che possono ormai vantare un buon credito e un seguito di appassionati di tutto rispetto: i norvegesi Leprous, da poco fuori con un live album, dopo l’ottimo “The Congregation”, e gli statunitensi Between The Buried And Me, che hanno alzato ulteriormente l’asticella del loro percorso musicale con “Coma Ecliptic”, una rock opera che ha convinto critica e pubblico. Non stupisce, quindi, trovare già un discreto manipolo di avventori assiepati davanti ai cancelli del Live Music Club, in attesa di entrare per assistere a tre concerti di gran classe.
LEPROUS
A causa dell’orario un po’ scomodo per chi lavora, il Live Music Club è ancora ben lontano dall’essere pieno quando sul palco si presentano i Leprous, formazione norvegese che, dopo l’endorsement di Ihsahn, ha iniziato ben presto a camminare con le proprie gambe, regalandoci nel 2015 un altro ottimo lavoro, “The Congregation”. Il prog metal dei Nostri è perfetto nel contesto della serata: non abbiamo a che fare con le vorticose evoluzioni folli e spesso fini a se stesse che caratterizzano molte band del genere, al contrario i Leprous giocano di fino, lavorando sull’intensità, con ogni nota dosata al punto giusto per dare pathos all’esibizione. Le chitarre hanno un impatto possente, liberatorio e catartico, tanto da rendere quasi impossibile al pubblico non seguirne il ritmo con la testa, accompagnando l’ipnotico intrecciarsi delle melodie. Einar Solberg, dal canto suo, si distingue per una prova maiuscola, in cui riversa tutto sé stesso, alternandosi ai synth per punteggiare i passaggi più liquidi e dilatati. I suoni, pur trattandosi degli opener, sono assolutamente nitidi, supportando egregiamente l’impatto sonoro dei Leprous. Il tempo a disposizione è limitato, poco più di mezz’ora, e la band cerca di sfruttarlo al meglio dando massima visibilità a “The Congregation”, da cui vengono tratti cinque dei sei brani in scaletta; solo “Foe”, tratto dal precedente “Coal”, rimane come testimonianza della discografia precedente, ed anche l’ottima “Rewind” viene resa in una versione più breve. Ciononostante, i Leprous riescono a coinvolgere gli astanti con eleganza e maestria, guadagnandosi di sicuro qualche nuovo estimatore tra coloro che non conoscevano la loro proposta.
BETWEEN THE BURIED AND ME
La performance più ostica per il pubblico del Live Music Club proviene naturalmente dalla band di Greensboro, che non fa sconti a nessuno, proponendo un set tesissimo di cinquanta minuti. Nelle date americane, sempre in coppia con Devin Townsend, i Between The Buried And Me avevano scelto di portare in scena l’intero ultimo album “Coma Ecliptic”, affascinante viaggio introspettivo che mostrava una maggiore apertura melodica, con la voce pulita predominante e melodie un po’ più accessibili rispetto al passato. Sbarcati nel Vecchio Continente, invece, i Nostri hanno optato per una setlist più variegata che, ovviamente, si ritaglia il giusto spazio per presentare “Coma Ecliptic” ma, allo stesso tempo, sconquassa la platea con alcuni estratti del passato più o meno recente del gruppo. L’apertura, ad esempio, è affidata a “Fossil Genera – A Feed From Cloud Mountain”, da “The Great Misdirect”, e subito la band catapulta la platea in un vortice schizofrenico fatto di riff impazziti, trame arzigogolate, urla furiose e pregevoli aperture melodiche. La musica dei Between The Buried And Me è come quelle strane reazioni chimiche, dove elementi estranei si incontrano creando delle strane alchimie che si ramificano ed esplodono in un caos organizzato e abbacinante. La formazione non si concede un attimo di sosta e sfrutta il tempo a sua disposizione senza pause, suonando una traccia dietro l’altra, quasi come un flusso di coscienza univoco che attraversa tutto lo spettro delle sensazioni umane. Il pubblico segue attento l’evoluzione sonora in corso anche se, naturalmente, non si vedrà mai nella serata lo stesso trasporto, anche fisico, che si è colto durante le esibizioni dei Leprous e, poi, di Devin Townsend. Non per disinteresse, intendiamoci, ma anche solo battere le mani o scapocciare a ritmo di musica diventa un sentiero impervio nel percorso sonoro dei Between The Buried And Me, tra cambi di tempo forsennati, rallentamenti ed accelerazioni improvvise. Sicuramente, però, il Live Music Club ha apprezzato la performance e saluta con calore la band, che si accomiata per lasciare spazio all’headliner della serata.
DEVIN TOWNSEND PROJECT
Carisma. Questa è la prima parola che ci viene in mente quando si spengono le luci e sul palco esplodono le note di “Rejoice”. Devin Townsend trasuda carisma da ogni gesto, gli occhi del pubblico vengono immediatamente catalizzati dalla sua presenza scenica, dalle sue mossette, le sue smorfie ironiche e, naturalmente, dalla sua musica e la sua voce, così personale da essere unica e inimitabile. Il secondo pensiero che ci sfiora è come, oggi, Devin sia una persona finalmente serena e appagata, fatto che risulta assolutamente evidente nella musica del suo progetto solista che, certo, è ancora pennellato di quella straordinaria follia che caratterizza il personaggio, ma al tempo stesso, come sintetizza anche l’ultima fatica discografica dell’artista, trascende le miserie umane ed eleva l’ascoltatore in spazi aerei, dove domina la luce. Non a caso, per quasi tutta la durata del concerto, a farla da padrone saranno le luci con tonalità blu, azzurre e viola, adatte a sottolineare le atmosfere evocate da Townsend. Non si pensi, però, di avere a che fare con un artista che viaggia con il pilota automatico, per uno show banale e scontato: il musicista canadese ha tuttora un songwriting di tale valore da far rodere d’invidia legioni di colleghi e il viaggio musicale presentato al pubblico del Live Music Club non può che confermarlo. Devin modella a suo piacimento gli astanti, ora facendo saltare tutto il locale sulle note di “Hyperdrive”, ora elevandolo a vette di insondabile lirismo con “Where We Belong”. Pochi estratti dal passato più remoto dell’artista, solo “Night” dal capolavoro “Ocean Machine” e un ripescaggio da “Accelerated Evolution” (“Suicide”). In qualche occasione Townsend si lascia andare e sfodera ancora una grinta invidiabile e durante l’esecuzione della lunga e possente “Planet Of The Apes” riusciamo ancora a scorgere sul volto del cantante quel ringhio malsano, come una bestia sopita che, in fondo, rimarrà per sempre, e che ha donato al mondo momenti di folle distruzione totale con gli Strapping Young Lad. Immancabili, poi, i siparietti del cantante tra un brano e l’altro, con quella sua ironia eccelsa, capace di strappare più di una risata al pubblico con uscite tipo: “ho fatto venticinque album e ora suonerò un pezzo tratto da uno di questi”, oppure l’esilarante spiegazione su come, per tradizione, al termine del concerto sarebbe uscito di scena per poi rientrare fingendo sorpresa prima di esibirsi nei consueti encore. Non possiamo, però, concludere senza prima aver citato almeno l’eccezionale “March Of The Poozers”, pezzo tanto improbabile quanto arrogante e stratosferico in contesto live, e la particolare versione acustica di “Ih-Ah!”, suonata dal solo Devin e utilizzata come momento di interazione con il pubblico, per ringraziare i presenti e concedersi perfino un siparietto con tanto di singalong e accendini. Sulle note di “Higher” si chiude, quindi, questa nuova calata italica di Townsend ed è stato, ancora una volta, un successo, ponendo il giusto punto esclamativo ad una serata di grande musica che ha coinvolto gli astanti dalla prima all’ultima nota.