25/11/2012 - DEVIN TOWNSEND PROJECT + FEAR FACTORY + DUNDERBEIST @ Magazzini Generali - Milano

Pubblicato il 30/11/2012 da

Report a cura di Marco Gallarati
Foto di Enrico Dal Boni

A soli tre giorni di distanza dalla piacevole data dei Katatonia, ci ritroviamo agli acusticamente temuti Magazzini Generali di Milano per una nuova tornata di metallo, questa volta quasi completamente agli antipodi rispetto al concerto citato sopra. In una serata in cui, oltre all’imperdibile appuntamento calcistico Milan-Juventus, si sovrappongono anche i Lacuna Coil al Live Music Club di Trezzo e i Gotthard all’Alcatraz, l’evento che andiamo a raccontarvi è chiaramente quello più di riferimento per chi apprezza l’underground (insomma…) e la musica più estrema: Fear Factory e il Devin Townsend Project assieme sono una ghiotta opportunità di vedere in contemporanea due entità che hanno segnato indelebilmente l’heavy metal degli anni ’90, soprattutto per quanto riguarda l’approccio visionario e futuristico della nostra musica preferita – e per il vecchio Devin stiamo chiaramente tirando in ballo i suoi ormai sepolti Strapping Young Lad. Abbastanza evidente come il richiamo della partita non abbia influito più di tanto sull’audience odierna, come del resto lo stesso si può scrivere di Lacuna Coil e Gotthard, proposte musicali molto differenti da quella dei due attori principali di questa ultima domenica novembrina, grigia e uggiosa: all’appello, quindi, presenti parecchi sostenitori delle formazioni, per dei Magazzini solo un pelo meno pieni che per i Katatonia. Ad aprire la strada ai due Terminator dello show, al posto dei modern thrasher britannici Sylosis, ci sono degli sconosciuti provocatori norvegesi, i Dunderbeist, che però ci diranno veramente pochissimo. Ma la sorpresa vera, che ribalta ciò che era stato annunciato fino a qualche giorno prima dello spettacolo, è che a fare da headliner sarà Devin Townsend, con i Fear Factory di supporto! Un’inversione di slot che in molti hanno scoperto solo una volta messo piede nel locale. Ma andiamo piano e con ordine…

 


DUNDERBEIST

I norvegesi Dunderbeist ci sono totalmente sconosciuti, lo ammettiamo senza problemi. Scopriamo, poco prima di vederli salire on stage alle 20.00 spaccate, che sono soliti presentarsi sul palco vestiti in bianco e nero, con bretelle, papillon e cravatte, e che usano truccarsi il viso da ladri, ovvero semplicemente dipingendosi una maschera à la Banda Bassotti attorno agli occhi. E’ esattamente ciò che ci vediamo apparire davanti non appena la musica sinfonica introduttiva prende piede fra le mura dei Magazzini: un sestetto di ragazzacci dalle varie pettinature, fra i quali due cantanti dalla dubbia utilità, che pare un accrocchio a metà strada tra la Banda Bassotti – appunto – i drughi di Arancia Meccanica e dei semplici clown deviati; microfoni a forma di scheletro e una scenografia curata, per essere una band d’apertura, completano l’impatto visivo di questi aspiranti simpaticoni di Oslo. I Dunderbeist, come prevedibile, ce la mettono tutta per coinvolgere l’audience, in parte anche riuscendoci, ma non fino ad arrivare alla convinzione piena. Anzi, ve lo diciamo piatto piatto: musicalmente, la band ci è parsa molto confusa sullo stile da proporre, senza capo né coda, con mille riferimenti ma senza avere in mente uno straccio di concept musicale. Insomma, scusateci le male parole, ma è stato un mezzo schifo: la goliardia che contraddistingue i sei scema dopo il secondo pezzo – debolissimo – presentato e nel giro di mezzora la voglia di salutarli si eleva a potenza. Sei album all’attivo in cinque anni di esistenza la dicono lunga sul modus composendi dei Dunderbeist, che hanno però da pochissimo fatto uscire il nuovo disco, “Songs Of The Buried”, addirittura per la valida etichetta Indie Recordings. Pazienza, mistero di scandinava natura: per chi scrive restano una delle bufale del 2012.

 

FEAR FACTORY
Come anticipato nell’introduzione, in molti fra il pubblico si stupiscono quando il drappo nero gigante dei Fear Factory viene sollevato al posto dei due schermi che poi vedremo in azione per Devin Townsend. D’altronde, anche la batteria montata on stage è più adatta al liveset della Fabbrica Della Paura che ad altro, per cui c’è poco da sbagliare su chi saranno i prossimi a suonare. Siamo curiosi, perciò, di vedere per la prima volta la band di Dino Cazares e Burton C. Bell esibirsi da noi con la nuova line-up, comprendente l’ex-Chimaira Matt DeVries al basso e Mike Heller dei Malignancy alla batteria. Parte l’incipit cibernetico di “The Industrialist”, title-track dell’ultimo, decisamente scontato, lavoro dei ragazzi ed ecco che in men che non si dica un’overdose di cassa triggerata ci penetra nel più profondo delle vene ad un volume disumano. Luci fredde – bianche, verdi e blu – contornano i tre musicisti di movimento della formazione che, senza le ingombranti moli di Hoglan e Stroud, sembra essersi quasi rintanata in una versione micromachine di sé stessa. E’ certamente in versione micronizzata, purtroppo, la voce pulita di un Burton ai minimi storici per potenza ed estensione: quasi inascoltabile, ha letteralmente demolito in negativo le sue stesse spettacolari linee vocali e tutti i ritornelli epici di cui la band è maestra. Latrati d’agonia imbarazzanti che, pur essendo noi arrivati preparati al peggio sotto questo punto di vista, ci hanno lasciato comunque piuttosto atterriti; diamo atto almeno ai Nostri e a Bell di tenere duro e non scadere nell’utilizzo a raggiera di basi campionate per la voce, ma è lampante come il gruppo esca parecchio ridimensionato da tale impasse. Peccato, perché comunque Burton ha dimostrato di essere ancora apprezzabile nella sua timbrica aggressiva e il resto della Fabbrica ha macinato note, riff e ritmiche in maniera certosina e soddisfacente, se si esclude qualche sbavatura di Heller alle pelli. L’ora e un quarto a disposizione è trascorsa molto veloce per i Fear Factory che, come spesso scelgono di fare, hanno proposto a blocchi la loro discografia, omaggiando in partenza “Obsolete” (“Shock” + “Edgecrusher” + “Smasher/Devourer”) e poi “Digimortal” (la doppietta “Acres Of Skin”/”Linchpin”, ancora una volta fra le più apprezzate!). Poco spazio concesso all’ultimo nato, con la sola “Recharger” eseguita oltre alla traccia d’apertura. L’esecuzione di “Resurrection”, uno dei brani emotivamente più coinvolgenti della formazione losangelina, è da segnalare come il nadir estremo della performance di Burton, in serissime difficoltà. Fortuna che, per il gran finale, sono arrivati prima la vecchissima e stupenda “Martyr” e di seguito, nell’ordine come su album, i primi quattro capolavori di “Demanufacture” a dare il colpo di grazia ad un pubblico tutto sommato soddisfatto e contento, che ha anche potuto godere di suoni accettabili e deflagranti, facilitati oltretutto dalla presenza di una sola chitarra da settare e dal relativo minimalismo del songwriting del gruppo. Dinone e soci quindi in definitiva promossi, dando ormai per defunte ad perpetuum le tanto amate clean vocals…

Setlist:
The Industrialist
Shock
Edgecrusher
Smasher / Devourer
Powershifter
Acres Of Skin
Linchpin
Resurrection
Recharger
Martyr
Demanufacture
Self Bias Resistor
Zero Signal
Replica

 

DEVIN TOWNSEND PROJECT
Con Devin Townsend ci si trova letteralmente catapultati su un altro pianeta, possibilmente non quello in procinto di essere distrutto da Ziltoid l’Onnisciente, alieno ranocchiomorfo ormai a tutti gli effetti parte integrante del personaggio Townsend, del suo merchandise e del suo liveset. Infatti, non appena elevatisi dal suolo i due schermi della scenografia durante il cambio palco ed il settaggio degli strumenti, ecco partire i surreali e demenziali video di intrattenimento della ZiltoidTV, fra i quali, da incorniciare fra il trash più abominevole di sempre, va segnalata una lezione di danza guidata da un’improbabile signorina-tutti-muscoli le cui allieve sono delle barboncine umanoidi: raccapricciante ed esilarante al tempo stesso. Quasi non ci si accorge neanche di quando tali siparietti terminano, talmente sono stupidi, che Devin e i suoi tre fedelissimi – Dave Young alla seconda chitarra, Brian Waddell al basso e Ryan Van Poederooyen alle drums – entrano di soppiatto on stage: gasato dalla recente esperienza teatrale del The Retinal Circus e da un’abominevole verve agonistica e interpretativa, il Genio canadese parte alla chetichella con ringraziamenti e smorfie, per poi infilare una prima parte di setlist dal mood spaziale, mesmerizzante e sognante, in cui un’apoteosi di groove, liquidità di suoni e melodie epiche ha sommerso gli astanti tramite ondate di ipnosi e annichilimento. Un wall-of-sound degno di tale nome è rimbalzato fra le pareti della venue, che, vuoi per l’abilità di Townsend quale produttore/ingegnere del suono, vuoi per il caos organizzato che anche su disco rappresenta la sua musica, ha potuto finalmente smentire, financo per una volta sola, la realtà di locale dall’acustica pessima: suoni ottimi, difatti. L’istrionico artista ha poi imbastito come al solito il suo campionario di trovate a volte banali, a volte divertenti, a volte profonde, prima di lanciare la propria creatura in una seconda fase di spettacolo in cui hanno trovato spazio brani più diretti e movimentati, spesso accompagnati da video (“Vampira” e “Juular”, eccezionali!) oppure da estemporanee coreografie di bassissima lega, come ad esempio le manine del pubblico sbrillucicanti al cielo in occasione della travolgente e nuovissima “Lucky Animals”. Il pezzo che però ha più trasmesso il feeling positivo che, di questi ultimi tempi, Devin pare voglia diffondere attraverso la sua musica, anche tramite il rifiuto concettuale degli Strapping Young Lad, è stato “Grace”, dove la voce in base di Anneke Van Giersbergen e le urla di Townsend hanno spaccato in mille pezzi il parterre. Unico bis concesso ad una platea conquistata è stata l’esecuzione di “Bad Devil”, sulla quale metà dei Magazzini Generali si è messa a ballare entusiasta. Gran chiusura di serata, dunque, e bellissima performance a tutto tondo del musicista di Vancouver che, come potete scorgere dalla setlist qui sotto, ha attinto da praticamente tutta la sua discografia solista o pseudo-solista, tra Devin Townsend, The Devin Townsend Band e il Devin Townsend Project. Un personaggio all’insegna dell’Ego, una musica individuale, uno show egoista: grazie Dev!

Setlist:
Supercrush!
Kingdom
Truth
Planet Of The Apes
Sunday Afternoon
Where We Belong
Vampira
Lucky Animals
Juular
Grace
Deep Peace
Encore:
Bad Devil

 

 

12 commenti
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