01/05/2019 - DIABLO SWING ORCHESTRA + GIVE US BARABBA @ Revolver Club - San Donà Di Piave (VE)

Pubblicato il 13/05/2019 da

Report a cura di Nicola Merlino

Dopo decenni di studi socio-antropologici, i ricercatori di tutto il mondo non sono ancora giunti ad una conclusione unanime su quanti siano effettivamente i sottogeneri del metal. Molti contano ancora solo quelli con un prefisso di massimo sei lettere (heavy, doom, prog, black, thrash, ecc.), altri sostengono che col tempo siano diventati più delle cifre dopo la virgola nel pi greco, mentre l’ala radicale ribatte che sono solamente due: o è true o è materiale combustibile. Se si dovesse proporre un ideale antagonista alle teorie più intransigenti, la Diablo Swing Orchestra emergerebbe come candidata ideale. Ensemble proveniente dalla Svezia, polmone nero della biodiversità metallica, da ormai tre lustri abbondanti sfida apertamente chiunque tenti di catalogarla grazie a un caleidoscopio stilistico che, partendo da fondamenta metal contaminate dal sound vintage dei roaring Twenties e da un pallino per l’opera, ha saputo abbracciare lungo quattro album raffinatamente cartooneschi sonorità provenienti da ogni latitudine e corrente. Discontinui e imprevedibili come la loro musica, i fan italiani hanno dovuto attendere il 2019 per vederli debuttare nello Stivale per un minitour di quattro date. L’attesa è stata lunga ed è tempo di toccare con mano se la riot opera scandinava regge la prova del palco. La tappa è il Revolver Club di San Donà di Piave, dove a scaldare la scena ci saranno in apertura i locals Give Us Barabba, in un abbinamento che si prospetta molto indovinato. E’ il Primo Maggio festa dei lavoratori, ma la pista da ballo dell’inferno non conosce chiusura e la lounge band del Diavolo è qui per noi. Fatevi avanti gente, non c’è riposo per i dannati!


GIVE US BARABBA

‘Siamo quelli del rock stupidino’. Questa è la dichiarazione veritiera e allo stesso tempo fittizia con cui i Give Us Barabba si presentano al pubblico della serata. Veneti nell’accento ma pan-afro-demoniaco-italostafariani nelle influenze, sono autori di un avvincente pastiche musicale dove metallo, prog e citazionismo pop si ricorrono sopra strutture ora funk, ora jazz, fusion e ska, trovando un’imprevedibile soluzione di continuità grazie a un notevolissimo bagaglio tecnico. Cinque uomini che insieme stanno alla musica come l’ornitorinco sta all’evoluzione darwiniana, suonando musica ‘de-genere’ in quanto impossibile da incapsulare e ‘degenere’ per natura cazzara intrinseca. Composizioni fuorilegge che, durante quaranta minuti di performance tra accelerazioni e fughe, si alternano ad angoli dedicati alla cultura; trovano così spazio grandi verità come “Drink Wine = Ass Flames”, i dirompenti effetti fisiologici sul membro maschile del morso dello “Spider Banana (Phoneutria Nigriventer)”, il gossip in salsa teutonica di “The Troubled Story of Boris Becker’s Balls” e ancora, come dimenticare la Top3 delle migliori cose provenienti dall’Ungheria ad introdurre l’hard rock di “Lollipop Flavoured Horse Steak”? Con titoli del genere – tutti provenienti dal loro ultimo Lp “Sadomasokissme” – avrete intuito un forte umorismo grossolano che il gruppo non perde occasione di sfoggiare con tempi comici da cabarettisti navigati, contrappeso ideale al controllo necessario a non perdere le redini di un potpourri tonale tanto intricato e imprevedibile, ma al contempo trascinante e coinvolgente. Si applaude e si ride di gusto fino all’ultima nota, quando la band, brandizzata con t-shirt gialle e blu del mobilificio scandinavo più amato da chi non ha niente da fare nel weekend, si congeda dedicando agli headliner svedesi l’augurio capolavoro ‘cento di questi tavoli’. Varrebbe la pena di giudicare alla moviola se alcune citazioni fossero frutto di un colpo di genio o meritassero un cartellino giallo – segnalazione doverosa per “Furia Cavallo del West” cantata nello stile di James ‘Yeah!’ Hetfield – ma concludiamo dicendo che i Give Us Barabba sono l’ennesima prova che nella musica, da Frank Zappa agli Elii passando per gli Skiantos, per saper fare bene i coglioni sia prima debito essere musicisti seri.

DIABLO SWING ORCHESTRA

Non manca molto alle 23.00 quando la Diablo Swing Orchesta affolla lo stage del Revolver. Oltre alle classiche chitarre, basso e batteria fanno capolino violoncello, tromba e trombone, e ovviamente la (non più) nuova vocalist Kristin Evegård, incaricata come di consueto anche delle parti di piano. Non capita tutti i giorni di vedere otto musicisti ugualmente protagonisti concentrati in così poco spazio, e la forza d’impatto scaturita sin dall’entrèe “Lucy Fears the Morning Star” è travolgente. Neanche il tempo di ricordare in quale tasca si fosse lasciato lo scetticismo che è già troppo tardi, sei già parte della sarabanda diabolica made in Sweden. Da qui in poi tutto ciò che succede sembra uscire dalla mente di un Cappellaio Matto in vena di baldoria, e tener traccia del vortice di generi, ritmi e stili che si rubano la scena è un compito che terrebbe in scacco una squadra di stenografi. Prevedere cosa seguirà da un minuto all’altro su questo tumulto di jazz, riffoni, vaudeville e fantasia multietnica è impossibile, non sarà mai ciò che aspetti, e l’unica scelta è di lasciarsi trasportare da questo toro meccanico che scalcia a ritmo di swing. Passano pochi minuti prima di iniziare a percepire uno stimolo inedito per un concerto metal, e oltre al collo iniziano a muoversi prima i fianchi, poi i piedi. Quale maleficio è mai questo? Be’, o è delirium tremens o si tratta di quella forma d’espressione e aggregazione sociale che su National Geographic chiamano danza. Basta uno sguardo al proprio fianco per scongiurare l’istinto di precipitarsi in ospedale per accertamenti e rendersi conto che la gente ormai sta ballando davvero, o meglio: è indecisa se muoversi o pogare. I più optano per una sconosciuta contemporaneità d’entrambe le attività aerobiche: due spintoni, salsa, una spallata, in alto le mani e via, ripetere all’infinito tra improbabilità e naturalezza per la gioia della band. Quello dei D:S:O è un piccolo cult, e il loro seguito è composto sia da superfan che conoscono a memoria i testi, sia da curiosi imbattutisi in loro casualmente grazie ai misteri dell’algoritmo di Spotify e, sebbene quello di San Donà di Piave non si possa definire un pienone, per un giorno festivo, ma comunque infrasettimanale, l’affluenza può essere considerata positiva. Si potrebbe pensare che con la lista di generi fin qui elencati le chitarre finiscano per nascondersi sotto il tappeto strumentale, ma non si potrebbe fare errore più grosso. C’è forza e veemenza nei fraseggi dei Diablo, e i due axemen impersonano l’animo rabbioso dell’orchestra, sorretta da una batteria intricata e da un basso dal retrogusto funk, al fianco del quale spiccano il brio degli ottoni e i funambolismi sul manico del violoncello. Questa la rete di sicurezza sopra la quale è libera di librarsi la voce della frontwoman, ormai pienamente assimilata nei meccanismi della band dopo aver sostituito la soprano Annlouice Lögdlund, al cui timbro operistico da dominatrice wagneriana che caratterizzava in maniera inconfondibile i primi lavori della band la Evegård ha sopperito con uno stile più sbarazzino e poliedrico. Sempre in pieno controllo sui vecchi fan favourite presi dal precedente corso come “Voodoo Mon Amour” e “Balrog Boogie” e semplicemente in surplace sulle più recenti stravaganze bluegrass di “Knucklehugs (Arm Yourself with Love)” o il tributo disco agli ABBA “Jigsaw Hustle”, trovando la controparte perfetta nella voce del chitarrista-songwriter-mastermind della band Daniel Håkansson. A due terzi di scaletta, la vocalist si ritaglia un momento per piano e voce da brividi sulle note di “Ode to the Innocent”, al quale segue una pausa per riprendere fiato scandita dalle note della “Parata dei Rosa Elefanti” presa direttamente da Dumbo e che ci fa tornare tutti un po’ bambini. Si arriva così all’ultimo sprint introdotto dal jungle groove di “Guerrilla Laments”, fino alle conclusive “Vodka Inferno” in salsa Bregović (e che diamine, è pur sempre il Primo Maggio!) e la sincopata “A Tap Dancer’s Dilemma” posta a termine di un concerto-fiume che tocca le due ore, giunti alle quali si arriva sfiniti ma col sorriso. C’è chi storce il naso di fronte ad una formula musicale che su disco può sembrare eccessivamente manierista, ma che dal vivo si conferma contemporanea nel suo essere fuori dal tempo, viva e fieramente riottosa verso tutti i preconcetti, venendo incontro con ironia ad uno dei più grandi bisogni del macromondo del metal, quello di sapersi prendere a volte un po’ meno sul serio.

Setlist:
Lucy Fears the Morning Star
The Age of Vulture Culture
Voodoo Mon Amour
Exit Strategy of a Wrecking Ball
Kevlar Sweethearts
How to Organize a Lynch Mob
Black Box Messiah
Superhero Jagganath
Lady Clandestine Chainbreaker
Knucklehugs (Arm Yourself with Love)
Jigsaw Hustle
Karma Bonfire
Honey Trap Aftermath
Ode to the Innocent

La Parata dei Rosa Elefanti

Encore:
Guerrilla Laments
Bedlam Sticks
Infralove
Poetic Pitbull Revolutions
Ricerca Dell’Anima
Balrog Boogie
Vodka Inferno
A Tap Dancer’s Dilemma

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