Introduzione a cura di Claudio Giuliani
Report a cura di Claudio Giuliani (Roma) ed Emilio Cortese (Bologna)
Foto di Enrico Dal Boni (Bologna)
Ah, i Dimmu Borgir! Croce e delizia di ogni seguace del black metal. Da massimi esponenti del sottogenere sinfonico, per alcuni, a gruppo dissacratore del genere che va interpretato in maniera ‘true’, per altri. Ad ogni modo, anche nella loro calata italica, il gruppo ha fatto discutere dividendo le masse. Ha fatto gioire la Capitale e ha fatto imbestialire i bolognesi per lo show dimezzato che ha creato un autentico ‘giallo’. Ecco quindi i nostri reportage per le due date, quelle di Roma e Bologna, così diverse nonostante il tour fosse lo stesso: uno show di due ore quello romano, lungo la metà quello emiliano; e quindi reazioni e commenti dagli umori nettamente diversi…
ROMA, 11 giugno 2012
Era il 1997 quando la Nuclear Blast Records pubblicò “Enthrone Darkness Triumphant”, e da allora le cose non furono più le stesse nel black metal. Eravamo sul finir degli anni ’90, età dell’oro del black metal norvegese, e i Dimmu Borgir, combo che si era contraddistinto fin dall’esordio “For All Tid” per la melodia che non era relegata a mero contorno nelle loro canzoni, alzarono l’asticella del genere. La produzione pulita, raffinata, azzimata, non tolse nulla alla cattiveria intrinseca dei brani del gruppo che, giunto per l’appunto al terzo album dopo due perle dove i suoni man mano si andavano sgrezzando, utilizzò il corposo budget a disposizione dall’etichetta per scrivere un album sì nero e crudo, ma che suonasse bene, in maniera professionale e pomposa. I Nostri non sbagliarono e fecero il cosiddetto salto di qualità. Quindici anni sono passati da allora e il combo, dopo le ultime pubblicazioni in cui ha accentuato ancora di più la vena ridondante e melodica nei loro brani, parte in un tour autoreferenziale dove da solo intrattiene il pubblico proponendo per intero proprio “Enthrone Darkness Triumphant”, più una manciata degli ultimi successi. Live Nation ha organizzato la data di Roma, svoltasi all’Orion di Ciampino, una discoteca che per una sera si è colorata di nero, il colore del vestiario dei blackster incalliti, un pubblico eterogeneo per fasce d’età che si è raccolto attorno ai norvegesi per essere degna coreografia dell’esibizione dell’intero, celebrando, album. Metalitalia.com ovviamente c’era e vi dà conto di uno splendido show durato oltre due ore!
Sono le ventidue in punto quando sul palco dell’Orion arriva il fumo di scena. Le tre rune nere su sfondo bianco sono l’unico, spartano, arredo della serata. Tastiera e batteria si dividono equamente la seconda fila, mentre ad uno ad uno, con la folla che invoca il gruppo come se fosse allo stadio, entrano in scena i Dimmu Borgir. Le note di un intro di stampo epico sono già un flebile ricordo quando Galder, acclamatissimo dalla folla, fa partire il riff che marca indelebilmente l’incipit di uno dei capolavori dei norvegesi: “Mourning Palace”. Shagrath entra per ultimo, in tempo per urlare il suo ‘uh!’ del brano. L’abbigliamento è quello post-nucleare, stile Mad Max. Gli unici a vestire spuntoni e borchie sono loro, i sei musicisti: tre membri, Galder e Silenoz alle chitarre, con Shagrath inossidabile alla voce, e i tre turnisti, fra cui spicca Daray, batterista di spessore i cui suoni sono esageratamente alti. La folla è raccolta nell’emiciclo che diffonde le sonorità copiosamente in ogni settore. Il gruppo è ispirato, si vede dalle prime note e dai primi accordi, e gli astanti plaudono fieri. Quando sul finir di “Mourning Palace” i tempi cominciano a farsi veloci, le urla di gioia si fanno sentire, ancora di più quando, senza neanche tirare il fiato, parte “Spellbound (By The Devil)”, sul cui finale Daray ha finalmente la possibilità di fare ciò che meglio sa fare, ovvero picchiare duro. Il suo blast-beat è incessante e tradisce l’estrazione death metal. I binari delle canzoni dei Dimmu Borgir a più riprese sembrano stargli stretti, ma il polacco fa egregiamente il suo lavoro. Canzone dopo canzone, scorre via quindi l’album-capolavoro del 1997, con le luci che inverdiscono i musicisti e mostrano la concentrazione che riversano in ogni singolo suono. Il tastierista fa un lavoro egregio, delle volte anche troppo, per aggiungere quel velo di tristezza in composizioni come “In Death’s Embrace”, dando il là per la svolta pomposa in altri passaggi. Uno dei primi picchi dello show si registra quando il drummer dà sfogo a tutta la sua forza accelerando ancora di più i tempi già serrati di “Tormentor Of Christian Souls”, fino all’avvento del corpo del brano, thrash metal come le influenze degli esordi. La composizione, una delle più amate dell’album che si va celebrando, scatena il pubblico, che travolge anche i fotografi nel pit, stretto e claustrofobico. Il nero che scaturisce dai Dimmu Borgir pervade l’Orion, scarsamente illuminato. Il blu cobalto delle scalinate e i divanetti bianchi, un arredo sacrilego per uno show di una qualsiasi band di metallo nero, figuriamoci per i Dimmu Borgir, sono alle spalle quando “Master Of Disharmony” irrompe con tutta la sua furia. Shagrath è idolatrato, specie dal gentil sesso. Le parti di piano, scritte all’epoca dal genio Stian Aarsad, e ora interpretate da Gerlioz (God Seed, The Kovenant), dominano la parte finale dell’album, quella dove non c’è più furia ma solo voglia di rallentare, articolare e celebrare la melodia, specie nella canzone che chiude la prima parte dello show, quella “Raabjørn Speiler Draugheimens Skodde” estratta da “For All Tid”, all’epoca riregistrata e riarrangiata per “Enthrone Darkness Triumphant”. Si va in pausa, ma la musica non cessa. L’intermezzo tastieristico dà continuità all’umore della serata, sempre seguendo l’epico. Un breve assaggio della maestria di Daray alle pelli e subito il palco si ripopola per far partire “Vredesbyrd” (da “Death Cult Armageddon”), seguita da una straripante “Kings Of Carnival Creation”, sulle cui parti di voce pulita, essendo ora i Dimmu Borgir sprovvisti di un cantante live in grado di interpretarle, si cimenta Shagrath accompagnando il sample. È tempo poi di autocelebrarsi suonando la canzone più pomposa mai scritta, quella che porta il nome del gruppo, estratta dall’ultimo lavoro “Abrahadabra”, e che avvicina i Nostri ai Bal Sagoth, pur avendo momenti di pura intensità all’interno. Seguono poi una convincente “Ritualist” e soprattutto “Puritania”, uno dei capolavori del gruppo, esperimento mai eguagliato dai norvegesi e che procura il classico headbanging controllato. I Nostri abbandonano quindi di nuovo il palco, ma nessuno si azzarda a spostarsi di un millimetro dalla propria posizione. Si fanno attendere più del dovuto ma tornano per concludere la serata con due grandi classici all’insegna della fiera maestria: “The Serpentine Offering” (da “In Sorte Diaboli”) e la stupenda “Progenies Of The Great Apocalypse” (da “Death Cult Armageddon”). La mezzanotte è passata da qualche minuto, gli applausi continuano a scrosciare chissà ancora per quanto e la soddisfazione è stampata su ogni ghigno dei presenti in sala. È la prima volta dei Dimmu Borgir a Roma, Shagrath ha promesso che torneranno e i romani se lo segnano sul taccuino, desiderosi come sono di vivere ancora l’ottima esperienza di questa band dal vivo, capace di convincere anche gli scettici.
(Claudio Giuliani)
Setlist (prima parte)
- Mourning Palace
- Spellbound (By The Devil)
- In Death’s Embrace
- Relinquishment Of Spirit And Flesh
- The Night Masquerade
- Tormentor Of Christian Souls
- Entrance
- Master Of Disharmony
- Prudence’s Fall
- A Succubus In Rapture
- Raabjørn Speiler Draugheimens Skodde
Setlist (seconda parte)
- Drum Solo
- Vredesbyrd
- Kings Of The Carnival Creation
- Dimmu Borgir
- Ritualist
- Gateways
- Puritania
Bis
- The Serpentine Offering
- Progenies Of The Great Apocalypse
BOLOGNA, 12 giugno 2012
A Bologna è una serata fredda e ventosa, quella del 12 giugno. Parrebbe quasi che i Dimmu Borgir si siano portati con sé il tipico clima nordico per introdurre il pubblico a una serata di sano symphonic black metal. L’evento in questione, denominato ‘An Evening With Dimmu Borgir’ era stato annunciato in pompa magna come un concerto memorabile, addirittura con doppia setlist, dove nella prima parte del concerto la band avrebbe dovuto riproporre per intero il suo album più rappresentativo, celebre e apprezzato, il disco che ha fatto conoscere i Dimmu Borgir alle masse: “Enthrone Darkness Triumphant”. Un evento pressoché imperdibile per gli amanti della band e del genere in questione. Peccato che però, come forse avrete avuto modo di intuire dalla news apparsa nei giorni scorsi e dai commenti che ne sono seguiti, la data sia stata sì memorabile, ma in maniera negativa, in quanto verrà ricordata come uno dei più grandi flop a cui probabilmente la maggior parte delle persone presenti abbia mai assistito. A voi il resoconto della breve serata con Shagrath & Co. all’Estragon di Bologna…
La prima cosa che salta all’occhio – visto l’andazzo del 99% dei concerti che si svolgono oggi come oggi – è quella di non assistere a nessuno show di apertura da parte di un qualsiasi gruppo-spalla. Una scelta particolare, questa, e quantomeno insolita, anche se comunque non abbiamo compreso le reali ragioni che hanno portato a far iniziare il concerto alle 22:30… Almeno non in un primissimo momento. Dopo una lunga intro, la band norvegese finalmente calca il palco dell’Estragon e l’attacco di “Mourning Palace” ci butta subito indietro di quindici anni, costringendoci a squassare la chioma esaltati più dall’idea di assistere a un concerto che andrà a ripercorrere questo storico album, che realmente coinvolti da un’esecuzione impeccabile. E’ evidente sin da subito che i suoni siano piuttosto confusi, con tastiere e synth in primissimo piano che vanno a coprire la maggior parte del lavoro chitarristico. In secondo luogo, nonostante la nostra posizione sia del tutto favorevole (fronte palco e al centro dello spazio riservato al pubblico tra palco e mixer), appare evidente come il volume sia decisamente basso per essere un concerto. Dopo “Spellbound (By The Devil)” e la bellissima “In Death’s Embrace” ci aspettiamo la partenza a razzo di “Relinquishment Of Spirit And Flesh” e invece ci troviamo alle prese con “Vredesbyrd”, tratta da “Death Cult Armageddon”. Quando Shagrath annuncia “Kings Of The Carnival Creation” (dall’album “Puritanical Euphoric Misanthropia”) ci chiediamo chi si occuperà delle parti in clean vocals un tempo ad opera di Vortex. Presto ci accorgiamo che ad occuparsi dei ritornelli è ancora l’ex bassista della band, o meglio, la registrazione della sua voce, in sottofondo e coperta da una marea di effetti, mentre il frontman Shagrath, che evidentemente non è in grado di occuparsi di tali partiture, tenta di cantare a sua volta con scarsissimi risultati, in un siparietto che francamente non possiamo che descrivere come imbarazzante. Shagrath prova ad aizzare un pubblico perplesso, che per lo più si chiede quando sentirà tutte le altre tracce di “Enthrone Darkness Triumphant”, ma, per tutta risposta, vengono riproposte “Dimmu Borgir”, “Ritualist” e “Gateways”, tutte quante estratte da “Abrahadabra”; tre brani francamente evitabili, ma dove, se non altro, notiamo un miglioramento nei suoni e iniziamo a percepire in maniera abbastanza nitida gli assoli di Galder. Dopo “Puritania” è il momento per i Dimmu Borgir di prendersi una pausa, piuttosto lunga peraltro, spossati dai primi quaranti minuti di concerto che avrebbero teoricamente dovuto riproporre, lo ripetiamo, tutto “Enthrone Darkness Triumphant”, ma dal quale invece sono state tratte soltanto le prime tre tracce. A questo punto non ci resta che sperare che il resto del disco sopra menzionato venga riproposto nella parte conclusiva del concerto. Dopo una decina di minuti di pausa, a salire sul palco è soltanto il batterista, che ci regala un assolo di buona fattura, che però in tutta sincerità ci lascia abbastanza indifferenti. Le nostre speranze vengono brutalmente decapitate dalle note di “The Serpentine Offering”, al termine della quale Shagrath annuncia che “Progenies Of The Great Apocalypse” sarà la canzone conclusiva del concerto. Al termine di quest’ultima, le luci si accendono, la band saluta il pubblico e esce dalle scene lasciando un gruppo (piuttosto nutrito, peraltro) di fan attonito e stordito, che sulle prime crede che si tratti di una messa in scena, una sorta di scherzo, oltretutto di cattivo gusto. E’ soltanto quando vengono lanciate le scalette e la crew inizia a smontare il palco che ci si rende conto della realtà dei fatti: quello che doveva esser un evento sensazionale si è dimostrato uno dei più grandi flop a cui chi scrive abbia mai assisitito. In un periodo storico di crisi, sia per la musica che per l’economia in generale, crediamo che un simile atteggiamento da parte di un gruppo di relativo successo sia quantomeno offensivo nei confronti sia del pubblico pagante, che ha percorso svariati chilometri per venire a vedere uno show di nemmeno un’ora effettiva di musica, che dell’organizzazione. Vi sarebbe piaciuto se questo live report fosse stato lungo un paio di capoversi? Immaginiamo di no; noi l’avremmo ritenuto quantomeno una mancanza di rispetto, sebbene il nostro servizio sia completamente gratuito.
(Emilio Cortese)