Report a cura di Fabio Galli
Una serata imperdibile per tutti i fan delle sonorità più lente e cupe o semplicemente l’ennesimo evento per i fans italiani di tributare il loro proprio amore per la band della Louisiana. Una bella e calda serata estiva in cui “Colonia Sonora” di Collegno (TO) si è rivelata la cornice ideale per questo evento musicale: spazio a iosa, sedie per i più sfaticati, bancarelle di vario genere, stand merchandising con prezzi abbordabili, ma, soprattutto, un palco IMMENSO. Nulla da recriminare sui volumi dell’intera serata: gli organizzatori non hanno certo risparmiato i watt dell’impianto con bassi esagerati che hanno letteralmente fatto sobbalzare i ragazzi delle prime file. Pubblico di tutte le età, dai numerosi teenagers ad altrettanto numerose orde di metallari che dimostravano decisamente qualche anno in più: le magliette indossate spaziavano dagli headliner della serata alle innumerevoli band parallele (Eyehategod, Crowbar, COC, Superjoint Ritual) senza ovviamente tralasciare i compianti Pantera. Sicuramente la recente calata italica dei Down in occasione del Gods Of Metal ha influenzato la presenza del pubblico, abbondantemente sotto le mille unità, ma tutti fortemente motivati a tributare il proprio calore alla band di New Orleans. Ottima l’organizzazione dell’evento: orari rispettati e grande gentilezza e professionalità dimostrata dai ragazzi della security, sempre pronti ed attivi a raccogliere i ragazzi che hanno voluto cimentarsi nel crowd surfing e nel consegnare alle prime file i plettri distribuiti dagli headliner e finiti in zona morta oltre le transenne. Data la nostra presenza nelle prime file non ci sentiamo di esprimere un parere sulla qualità sonora della manifestazione anche se amici e presenti dislocati nelle retrovie confermano una discreta resa sonora che è andata via via migliorando durante l’intera serata. Sono le ventuno in punto e gli Ufomammut salgono sul palco…
UFOMAMMUT
Palco spoglio, nessuna coreografia a supportare la band di Tortona, a parte il nome del gruppo impresso sulla cassa di una batteria semplice ed essenziale. Inizia così l’esibizione degli Ufomammut: tre ragazzi che hanno letteralmente portato sul palco di Collegno un’autentica odissea sonora. Suono pachidermico, ritmi lenti ed ossessivi, semplicità e impatto: in tutto il suo minimalismo la proposta dei Piemontesi non tarda a raccogliere i consensi tra i partecipanti che, seppur timidamente, applaudono e incitano la band in ogni qualsivoglia break strumentale. La proposta del trio non è delle più semplici da assimilare, dato che non ammette le mezze misure: o si amano o si odiano. Fortunatamente la musica degli Ufomammut (difficile pensare ad un nome più azzeccato) non è sterile riproposizione su palco degli episodi più riusciti della loro discografia: i tre non lesinano sudore ed energia durante la loro performance sebbene qualche presente abbia abbandonato la zona antistante al palco per fiondarsi alla ricerca di qualche autografo e foto con Kirk Windstein e Jimmy Bower, che hanno fatto capolino tra il pubblico durante la loro esibizione. Sono le parti strumentali e il groove creato dalle composizioni a farla da padrone nei trenta minuti a disposizione della band e come su disco la voce di Urlo è una semplice parentesi nell’inferno sonoro creato dal combo. Il tempo è tiranno e in men che non si dica – forse qualcosa in più per chi non ha digerito il terzetto – si arriva ai saluti: Urlo, Poia e Vita salutano e ringraziano tutti i presenti che anche negli ultimi attimi di presenza della band sul palco non hanno smesso di incitare ed applaudire l’esibizione della band nostrana.
DOWN
Dopo la recente esibizione al Gods Of Metal i Down sono stati chiamati a riconfermare (superare?) la fortunata esibizione che li ha visti protagonisti poco meno di un paio di settimane fa al Brianteo di Monza. Dopo la performance degli Ufomammut la tensione tra i presenti è decisamente salita in vista dell’avvicinarsi della performance dei Down. Le file e in generale lo spazio tra i presenti si fa più serrato anche per via di molta gente accorsa durante la performance del gruppo di supporto: a stemperare l’attesa – resa ancora più sentita da un soundcheck un tantino tedioso – ci pensano i roadies dei Down che tra la prova di uno strumento e l’altro non perdono l’occasione di lanciare qualche plettro ai fans delle prime file. La musica di sottofondo cessa improvvisamente, appare qualche torcia nel backstage ad illuminare gli scalini per l’accesso al palco ed ecco salire sul palco la band accolta da un boato: si parte con le note tristi e umide di "Lysergik Funeral Procession" che preannunciano l’arrivo sul palco di uno scatenato Phil Anselmo che, come da tradizione, si è dimostrato il classico animale da palco. Fortunatamente la band sembra in forma smagliante e, sebbene non ci sia grosso movimento sul palco, il gruppo si dimostra coeso e quasi sorpreso dall’incitamento e dalla partecipazione dei fan accorsi alla data Torinese. Rex Brown appare visibilmente invecchiato, ma basta seguire per qualche minuto la sua prestazione per capire che poco o nulla è cambiato dalla sua dipartita dai Pantera: sigaretta perennemente in bocca, pochi sorrisi e/o siparietti, ma solo tanta voglia di suonare e fare il culo a tutti i presenti. "Down the Under" è uscito ormai da un paio di anni e, come era logico immaginarsi, la band ha selezionato i brani della scaletta pescando in maniera abbastanza equa da tutta la propria discografia: "Loosing All", "Lifer" e "Ghost Along The Missisipi" vengono eseguite in rapida successione con ovvio consenso (e partecipazione) dei presenti, che non perdono occasione per scatenare un po’ di sano casino. Anselmo appare in buona forma e non perde occasione per dialogare con il pubblico (probabilmente anche per prendere un po’ di fiato) e data la consistenza di "Yeah" nelle risposte si chiede giustamente se qualcuno stia capendo quello che dice. Rex e Jimmy Bower introducono una "New Orleans Is A Dying Whore" ancora più sporca e marcia che su disco e ben supportata dagli spettatori, che non si tirano indietro quando Phil chiede il loro contributo nel refrain. "Hail The Leaf" riporta la memoria all’esordio della band nell’ormai lontano ’95, mentre, con la successiva "N.O.D.", si torna ai tempi "recenti" di "Over The Under": Phil è il solito bonaccione e non perde occasione per scherzare con la testa pelata di Kirk o maltrattare la folta barba del chitarrista dei Crowbar. I toni si fanno più distesi e melliflui con "Nothing in Return", che segna la conclusione della prima parte dello show dopo un’ora di performance. Dopo qualche minuto e a seguito del continuo incitamento da parte del pubblico la band torna sul palco e attacca con l’immancabile "Stone The Crow", seguita da "Bury Me In Smoke". Tutti lasciano i propri strumenti ai roadies e si dedicano al cazzeggio più totale su palco ringraziando i presenti e distribuendo plettri e bacchette al pubblico. Phil incitato dalla folla (immancabile il classico "Filippo, Filippo, Filippo!!") si ferma ulteriormente sul palco e congeda tutti intonando "Starway To Heaven" e ringraziando i fans per il calore dimostrato. Si poteva sperare in qualche canzone in più, data l’ora e venti scarsa con cui i Down hanno intrattenuto il pubblico intervenuto, ma la carica e il coinvolgimento espresso dalla band hanno comunque messo in secondo piano la breve durata dello show. Ora non ci rimane altro che sperare che la band non ci faccia aspettare troppo per il successore del riuscito "Over The Under".