17/02/2017 - DOYLE + HOLLYWOOD GROUPIES + SCARLET AND THE SPOOKY SPIDERS @ Legend Club - Milano

Pubblicato il 20/02/2017 da

Report a cura di Simone Vavalà

Alzi la mano chi fra i nostri lettori non conosce, o meglio non ama, i Misfits. Immaginiamo il risultato scarsissimo, ma siamo altrettanto certi che ben pochi hanno invece seguito con interesse la carriera solista dell’iconico chitarrista della band di Lodi – New Jersey: dall’esperimento heavy metal Kryst The Conqueror (assieme al fratello Jerry Only), passando per i Gorgeous Frankenstein e ora questa omonima band. E non a caso Doyle e i suoi compari di avventura giungono in Italia a promuovere l’album di esordio a quasi quattro anni di distanza dalla pubblicazione, a conferma che l’interesse principale, per il pubblico come per loro, sta nella restituzione di parecchie canzoni dei Misfits; che costituiscono infatti una metà abbondante del loro serratissimo set. A scaldare un parterre decisamente curioso, due band italiane che, lo confessiamo, scopriamo questa sera con discreto piacere.


SCARLET AND THE SPOOKY SPIDERS
La band toscana sale sul palco con grinta e dimostra subito di saperci fare alla grande; eredi anche visivamente dei Cramps, con un’estetica che unisce l’era rockabilly al trucco da Halloween, Scarlet e i suoi ragnacci suonano un mix di punk e glam rock azzeccatissimo, con pezzi divertenti e coinvolgenti. Il frontman – Scarlet, appunto – sembra un affascinante Baron Samedi e officia il suo rito scanzonato con classe e ottima tenuta di palco; ma i quattro compagni non sono da meno e tengono il tiro altissimo per tutti i quaranta minuti dell’esibizione; le due chitarre dimostrano che suonare musica semplice ma in grado di trascinare non è facile, mentre la sezione ritmica divide i meriti tra il furioso batterista e lo zombi in gonnella che, se in parte ruba l’attenzione visiva, non fallisce nel tenere alto il livello musicale. La band è rodata, ha un buon numero di astanti evidentemente presenti per loro, ma conquista decisamente anche il resto del pubblico, che finisce per unirsi sui ritornelli dei pezzi più orecchiabili, in testa al primo ascolto. Bravi e da rivedere con piacere.

HOLLYWOOD GROUPIES
La proposta della seconda band, anch’essa italiana, è decisamente più ortodossa: puro rock’n’roll, come si premura di ricordarci il frontman Ace, e via senza troppi artifici. Il loro concerto scorre senza particolari sbavature, o meglio: con tutte le giuste e inevitabili sbavature che fanno parte dello sporco mestiere di rocker. I loro brani  non sono male, forse solo un po’ troppo derivativi (gli echi vanno dalla L.A. più grezza a una certa via svedese al RnR), e in effetti non restano in mente particolari momenti dell’esibizione; ma i ragazzi ci mettono impegno, sudore e sorrisi. E cercano di scaldare gli animi anche rivolgendosi spesso al pubblico. Pagano secondo noi un po’ il pegno di esibirsi dopo una band molto più coinvolgente e particolare, ma l’attitudine da live band c’è sicuramente.

DOYLE
Come si suol dire, arriva il momento che tutti aspettavano e… basta poco per storcere il naso. Doyle e i suoi tre compagni di avventura mettono sul piatto una performance sicuramente quadratissima e senza compromessi, ma il prevalere della dimensione hardcore è insieme il punto di forza e debole dell’ora che trascorrono sul palco. Il palestratissimo Frankenstein che dà il nome e una ragione di essere alla band passa la maggior parte del tempo dando le spalle o il profilo – la dimensione, tanto, è la stessa – al pubblico, masticando un chewing-gum e percuotendo la sei corde forsennatamente; tanto che cambia chitarra ogni due o tre brani, mentre il tempo delle canzoni resta ininterrottamente quello dei Misfits in anfetamina. La sezione ritmica è potente ma altrettanto priva di compromessi e varietà, mentre il cantante Alex Story resta un mistero: stonato, sgolato, rende abbastanza sui pezzi tratti dal loro album “Abominator”, mentre oggettivamente stupra più di un classico dei Misfits. E non a caso, a parte pezzi inevitabili come “Last Caress” e “Astro Zombies”, il ripescaggio punta soprattutto sull’ultimo lavoro (almeno della formazione classica) “Earth A.D.”, in cui brani come “Devilock” o “Green Hell” o la conclusiva “Die, Die My Darling” abbandonavano qualunque residua velleità rock’n’roll a favore dell’intransigenza HC. Oltre alle scarse doti vocali, il frontman si dimostra anche un intrattenitore mediocre, in grado di ripetere la stessa formula prima di ogni singolo brano: “This is a love song, you can dance to it”. Che, se può far sorridere le prime due volte, diventa noioso sulla distanza; specie se detto da un vocalist che non riesce a dare il benché minimo segnale di differenziazione, appunto, tra i vari brani. Si torna a casa con una sola certezza: che i pezzi dei Misfits salverebbero dal disprezzo totale anche un’esibizione de Il Volo, ma non bastano a fare di un concerto un buon concerto.

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