Report di Roberto Guerra
Foto di Simona Luchini
Dopo lo splendido spettacolo messo in piedi dai Ghost e dal loro leader Tobias Forge, il Forum di Assago si tinge nuovamente di colori metallizzati, in questo caso in compagnia di ben due formazioni tra le più apprezzate e discusse del panorama metal, nonché rappresentative di quello che ha incarnato e incarna tuttora lo stile progressive. Gli headliner della serata sono naturalmente i Dream Theater, ancora freschi dell’uscita del loro ultimo full-length “A View From The Top Of The World”, ma ancora più interessante è forse l’atto di apertura della serata, che vede nel folle e geniale frontman Devin Townsend il proprio araldo, prontamente accompagnato dalla sua band.
A livello di affluenza dobbiamo ammettere di essere rimasti leggermente delusi: ci saremmo aspettati che, con dei nomi simili coinvolti, saremmo stati testimoni di un sabato sera decisamente più caotico e/o gremito sul versante del numero di partecipanti. Ma a questo potrebbero aver contribuito le ben tre date previste in territorio italiano, così come le prime notizie in merito alla scaletta degli headliner, ma di questo parleremo più avanti. Buona lettura!
DEVIN TOWNSEND
Lo scoppiettante Devin Garrett Townsend non ha certo bisogno di presentazioni, trattandosi di uno dei musicisti più visionari e riconoscibili di tutto il panorama, con alle spalle una carriera davvero degna di rispetto e numerosi dischi pregni di quella seducente ed elettrica follia tanto cara agli estimatori del frontman canadese.
La sua esibizione inizia invero in maniera relativamente pacifica con “Failure” e “Kingdom”, ma lo show ci mette davvero poco a esplodere insieme alle meningi degli ascoltatori presenti in sala, con picchi del calibro di “By Your Command” e persino la cattivissima “Aftermath”, direttamente dal repertorio degli Strapping Young Lad. Il coinvolgimento generale trae giovamento non solo dall’esecuzione dei pezzi, pressoché impeccabile, ma dall’indiscussa capacità dello stesso Devin di fomentare le folle con la sua espressività degna di un fumetto, nonché con la propria, innata naturalezza nell’interfacciarsi con degli ascoltatori non necessariamente ferrati sulla sua proposta musicale. La poeticità di “Deadhead” e “Deep Peace”, abbinata all’headbanging stimolato da “March Of The Poozers”, permette ad ogni amante delle sonorità progressive di trovare pane per i propri denti in compagnia di quell’assurdo e geniale personaggio che si appresta purtroppo a lasciare il palco dopo appena un’oretta; non prima di aver accontentato l’immancabile “we want more!” del pubblico con l’esecuzione, per l’appunto, del brano “More!”, il cui piglio risulta indiscutibile anche dal vivo e non solo su disco.
Sebbene ci sarebbe piaciuto udire anche la divertentissima “Bad Devil”, stasera assente in scaletta, dobbiamo ammettere che il buon Devin ci ha davvero rapito e trascinato, lasciandoci con la speranza di replicare, se non bissare, la qualità di quanto udito finora grazie al main act dell’evento in corso. Staremo a vedere se la suddetta possibilità andrà incontro alla concretezza, o se chi ha dato il via col botto allo spettacolo possa fare davvero scuola anche ai maestri del genere.
Setlist:
Failure
Kingdom
By Your Comment
Aftermath
Regulator
Deadhead
Deep Peace
March Of The Poozers
More!
DREAM THEATER
Sui Dream Theater se ne sono lette di cotte e di crude sin dall’epoca in cui erano una band esordiente, tra chi li ha sempre difesi a spada tratta per via della loro indiscutibile genialità esecutiva e/o compositiva, e chi da sempre ritiene la loro proposta qualcosa di noioso, prolisso e superfluo. Personalmente riteniamo che, almeno sulla carta, si tratti di una band a dir poco sacra, soprattutto per chi ama la musica tecnica e le composizioni maestose, ma ciò nonostante non possiamo non esprimerci in merito a quella che riteniamo essere la vera problematica delle loro esibizioni in sede live: la scelta dei brani che compongono la scaletta.
Chiariamoci, ci saranno sicuramente svariati estimatori che riterranno ‘flawless’ anche la setlist corrente, anche perché parliamo comunque dei Dream Theater e, di conseguenza, di una commistione di elementi propositi in modo magistrale, ricchi di poeticità e suonati con somma maestria. Tuttavia, notare che in oltre due ore di concerto siano previste appena dieci canzoni lascia intendere l’inevitabile controversia dello spettacolo cui andremo ad assistere: al di là dello spazio importante riservato al nuovo album “A View From The Top Of The World” – di cui troviamo ben quattro estratti – la scelta dei pezzi è ricaduta interamente su un repertorio post anni Duemila, fatta eccezione per la graditissima “6:00”, opener dell’apprezzato “Awake”. Ciò di base non rappresenta una critica, considerando che sono ben dieci i lavori usciti dopo l’avvento del nuovo millennio, ciascuno coi propri estimatori e detrattori; il problema risiede piuttosto nel fatto che alcune parentesi risultano inevitabilmente meno ficcanti di altre, su cui invece si sarebbe potuto puntare: le menzioni a “Systematic Chaos” e “A Dramatic Turn Of Events”, rappresentate da “The Ministry Of Lost Souls” e “Bridges In the Sky”, per quanto non spiacevoli, risultano a loro modo un po’ superflue, senza contare che la collocazione a fine scaletta di ben tre tracce dalla durata vicina ai venti minuti potrebbe non essere propriamente funzionale al coinvolgimento del pubblico. Riteniamo che qualche momento in più dedicato all’intrattenimento, alla nostalgia e alla varietà avrebbe giovato moltissimo ad uno show che, all’atto pratico, infiamma relativamente poche volte il pubblico presente, la cui adrenalina emerge solo in concomitanza di “Endless Sacrifice”, della sopracitata “6:00” e della più breve “About To Crash”.
Con questo non vogliamo togliere nulla a cinque musicisti tra i più mostruosi dell’intero pianeta, con quei duelli a colpi di assoli tra John Petrucci e Jordan Rudess a illuminarci gli occhi e le orecchie, mentre alle loro spalle due orologi umani come John Myung e Mike Mangini sorreggono un comparto ritmico incrollabile. Ci sarebbero da fare le solite critiche sulla voce di James LaBrie (peraltro sempre più ricca di effetti esterni) ma riteniamo che ripetere per l’ennesima volta concetti già ben chiari e ribaditi sia di scarsa utilità.
Detto questo, dopo la conclusiva dedica all’Italia sulle note di “The Count Of Tuscany” possiamo definire lo show dei Dream Theater come un alternarsi di emozioni e sbadigli per i motivi che vi abbiamo già elencato alcune righe sopra. Fermo restando che si tratta di una line-up da vedere almeno una volta nella vita, riteniamo che con un approccio meno opulento e più orientato alla varietà John Petrucci e compagni potrebbero mettere a segno qualche colpo in più nelle prossime occasioni.
Setlist:
The Alien
6:00
Awaken The Master
Endless Sacrifice
Bridges In The Sky
Invisible Monster
About To Crash
The Ministry Of Lost Souls
A View From The Top Of The World
The Count Of Tuscany