Report a cura Dario Cattaneo
Volendo dire una cattiveria, chi più ha goduto dello split dei Dream Theater con Portnoy è stata proprio la stampa specializzata. Se tutto ciò non fosse successo, questa data o non ci sarebbe stata del tutto o avrebbe avuto un approccio, uno svolgimento ed un feeling generale completamente diversi. Magari con altri gruppi di supporto, addirittura. Ed invece, eccoci tutti qui: testate famose e meno famose, cartacee, telematiche o televisive; tutti con in mano Blackberry, registratori e taccuini, pronti a vedere che cosa succede con questi ‘nuovi Theater’, tutti pronti a cassare (o ad incensare) a seconda dell’occasione. Certo è che tutto questo rumore e movimento sui vari argomenti quali il nuovo album, la nuova canzone e il nuovo batterista ci fanno per qualche tempo dimenticare addirittura che comunque ci troviamo di fronte ad una data già decisamente strana di per sé, che vede tre band molto diverse nello stile condividere un palco inusuale ed immerso in una cornice quanto meno suggestiva: il castello di Villafranca di Verona. La serata risulta nella media riuscita, anche se la differenza tra i generi proprosti non ha aiutato i primi gruppi con la partecipazione dei presenti… in tanti (troppi?) erano lì solo per il gruppo progressive statunitense, e si sono mostrati fin troppo disinteressati agli altri due show. Ad ogni modo, con tutto il materiale visto, sentito e raccolto in questa serata si potrebbero sicuramente scrivere diversi articoli… quanto a noi, prima della pubblicazione dell’intervista con Mike Mangini a settembre, vi proponiamo il solito fedele reportage dell’intera serata, cominciando dagli Anathema, prima band in scaletta…
ANATHEMA
Anche se ormai parecchia gente tende a non definirli quasi più metal, gli Anathema ci sono sembrati meno fuori genere rispetto ai successivi Gamma Ray. Il gruppo inglese, infatti, complici la direzione ragionata e di classe oramai intrapresa negli ultimi album, propongono delle sonorità ed un insieme di suoni (non possiamo parlare di wall of sound, descrivendo le morbide ed avvolgenti carezze sonore prodotte dai cinque musicisti) che riescono a piacere anche a coloro che al concerto ci erano venuti solo per i Dream Theater senza conoscere nemmeno una nota delle altre band. Prendendo dagli ultimi “We Are Here Because We Are Here” e “A Natural Disaster”, e lasciando la sola conclusiva “Fragile Dreams” a rappresentare il passato più remoto (da “Alternative IV”), gli Anathema compiono la scelta giusta, fornendoci un’oretta per cinque pezzi di buona musica, che entra nelle orecchie e nel cervello dell’ascoltatore casuale senza stancarlo e anzi strappando pure qualche commento positivo. Diverso discorso per lo zoccolo duro dei fan, venuti anche se in numero ridotto a sentire espressamente loro. In quel caso, i commenti positivi si sono sprecati, ma d’altro canto è ben nota la capacità degli Anathema di riprodurre in sede live la stessa tavolozza di sentimenti, emozioni e suggestioni che è possibile trovare sui loro album. Come sempre, protagonista della serata la voce emozionale di Vincent Cavanagh, per una volta ben udibile sopra le vibrazioni del basso (troppo alto, secondo noi) ed alcuni assoli vibranti e sentiti del Cavanagh grande, Daniel. Ci sentiamo di fare un applauso ad una band che, pur essendo chiaramente un pesce fuor d’acqua nel contesto in cui era inserita, è riuscita comunque a trasmettere qualcosa con la propria musica.
GAMMA RAY
Poveri Gamma Ray, questo non sembra essere proprio il loro periodo… Dopo il deludente album mezzo acustico pubblicato qualche mese fa allo scopo di avere una scusa per suonare da qualche parte, la band capitanata da Kai Hansen pensa bene di deluderci pure sotto l’aspetto live, presentandosi a questa serata di Verona sia decisamente fuori scaletta che anche fuori forma. Già dalla salita sul palco vediamo che l’aspetto dei quattro musicisti non è dei migliori, assolutamente eterogeneo e male assortito. Kai Hansen con una nuova capigliatura ‘giovane’ dal ridicolo ciuffo centrale ad evidenziare la stempiatura, Henjo Richter con uno stonato cappellone da cowboy, Dirk Slachter in versione metallaro pelle & borchie stile Rob Halford, ed infine un anonimo Dan Zimmerman in abiti casual. Sembravano quasi musicisti appartenenti a band diverse! A parte l’aspetto scenico (comunque importante in un concerto, presentarsi ognuno con il suo stile non dà un’impressione di coesione della band) anche la scelta della scaletta e la performance generale non è che abbiano brillato. L’opener infatti lascia da subito spiazzati… quando i fedeli fan si sarebbero aspettati una partenza a razzo con “Anywhere in The Galaxy”, sovente cavallo di apertura per i loro concerti, la band dà il via alle danze (si fa per dire, visto che non si muoveva nessuno) con una più spompata “Garden Of The Sinner”, pezzo dal tiro inferiore, che raffredda fin da subito gli animi dei fan che erano giunti per loro. La setlist rimbalza un po’ tra tutti gli album, dando un’idea di confusione, proponendoci pezzi presi un po’ da ovunque ma senza purtroppo veicolare un senso di continuità allo show. Alcuni pezzi che di solito non vengono proposti (come “Fight” da “Majesty”) hanno trovato collocazione, strappando via classici che il pubblico avrebbe preferito, come “Watcher In The Sky” o “Dethrone Tyranny”, e in una setlist che vedeva così poco tempo per suonare la mossa non sembra essere stata delle migliori. Il comportamento sul palco risultava comunque a tratti divertente, con le solite facce e le tre chitarre che si muovevano contemporaneamente a ritmo, ma l’idea di svogliatezza è purtroppo trapelata anche sotto questo aspetto. Peccato, i Gamma Ray sono sempre stati tra i preferiti da vedere dal vivo del sottoscritto per l’energia e la simpatia mostrate, ma stavolta eravamo ben lontani dallo standard che ci aspettiamo da loro. Voto pessimo anche ad una particolare fetta dei fan dei Dream Theater, che verso la fine dello show si è lanciata in commenti e gesti inequivocabili che invitavano Hansen & soci a levarsi dalle scatole. Purtroppo, si devono vedere ancora di queste cose…
DREAM THEATER
Molto particolare lo show dei Dream Theater. Più che essere caratterizzato dalle sue due più grandi novità, ovvero Mangini alla batteria e la nuova “On The Backs Of Angels”, la scelta più forte che hanno operato i Dream Theater sulla serata è stata quella di fornire una scaletta che coprisse tutta la discografia, dal primo “When Dream And Day Unites” ad appunto il nuovo “A Dramatic Turns Of The Events”. Più di vent’anni di carriera coperti in due ore, con la regola autoimposta di mettere una singola canzone per ogni album, con spazio per un doppione solo nei bis. Con questa scelta davvero forte, i Dream Theater si infilano nel difficile compito di scegliere la song più rappresentativa per ciascun album, ma mantengono saldi e attuali i ponti con il passato, veicolando il loro messaggio più forte: ‘noi siamo i Dream Theater, e quello che è successo non cambia niente sul nostro passato’. Una dichiarazione di intenti che ci sentiamo di apprezzare, ma che ha avuto ovviamente anche i suoi lati negativi, che valuteremo durante il report. Undici pezzi dunque per undici album, aprendo con l’album preferito da tutti, ovvero “Images and Words”, con la buona scelta di “Under A Glass Moon”. Il suono è limpido e potente, Mangini eccezionale dietro al drumset più vasto cui gli sia mai capitato di suonare. Anche La Brie, spesso punto di debolezza degli show dei Dream Theater, si è mostrato abbastanza in palla, con ovviamente qualche errorino o piccola stecca sulle note più alte, ma che almeno ha provato a fare invece di rigirare completamente la tonalità per renderla più facile da prendere. La canzone prosegue bene, tra le urla gioiose dei fan e i begli assoli di Rudess e Petrucci, ben supportati da una resa sonora che all’inizio del concerto era buona per gli standard di uno show all’aperto. Gli album più recenti vengono omaggiati subito dopo con estratti da “Octavarium” (“These Walls”), “Train Of Thoughts” (“Endless Sacrifice”) e “Systematic Chaos” (“Forsaken”) le scelte si confermano buone, e lo show prosegue su livelli molto alti. L’atteso drum solo di Mangini (unico pezzo solista della serata) strabilia tutti prima di una bella “Ytse Jam”, che rende pienamente il livello tecnico della band senza doversi per forza ritagliare ognuno il proprio spazio solista. Ottima scelta, tra i momenti migliori della serata! Serata che continua con il rallentamento di “Peruvian Skies” (in rappresentanza al bistrattatto “Falling Into Infinity” del ’97) e con un sempre grande assolo di Petrucci e poi con la monolitica “The Great Debate”, estratta da “Six Degrees…”. Qui la scelta di voler rappresentare tutti gli album comincia in realtà a farsi pesante, forse creare dei medley contenenti più pezzi estratti dallo stesso album avrebbe aiutato i fan nell’ascolto, ma così non è stato. “Six Degrees…” è sempre stato un album difficile, e rappresentarlo con una sola canzone è stato un forte limite, dando un colpo allo show che ha cominciato a far affiorare la noia. Forse “Glass Prison” avrebbe avuto un altro impatto, ma non lo sapremo mai. Ci si avvicina poi alla fine dello show con la song nuova e gli estratti da due degli album preferiti dal pubblico ovvero “Awake” (“Caught In A Web”) e “Scenes From A Memory” (“Fatal Tragedy”), e lo show riprende quota, salvo poi perderla di nuovo con “The Count Of Tuscany”, che condivide i problemi della già citata “The Great Debate”. Il bis affidato a “Learning To Live” restituisce però il sorriso a tutti e manda a casa soddisfatti pubblico e anche band. Mangini promosso, e con lui i Dream Theater. Non rimane che aspettare il tour…