28/10/2007 - Dream Theater + Symphony X @ Datchforum - Milano

Pubblicato il 12/11/2007 da
A cura di Matteo Cereda
 
 
Non conosce limiti la voglia di Dream Theater del popolo italiano: le numerose scorribande della band americana sui palchi del nostro paese negli ultimi anni non sembrano essere un buon motivo per allontanare i fan, accorsi ancora una volta numerossissimi al richiamo di Portnoy e compagni, invogliati ancor di più da un album positivo come “Systematic Chaos” da supportare e da un guest di valore che risponde al nome di Symphony X.

SYMPHONY X

Con rara puntualità i Symphony X assaltano il palco alle otto e mezza in punto, cogliendo di sorpresa i ritardatari alle prese col traffico milanese: Michael Romeo e soci appaiono da subito in grande forma con “Set The World On Fire” preceduta dall’intro sinfonica dell’ultimo disco. La scaletta, comprensibilmente ridotta, verte essenzialmente sui successi del recente “Paradise Lost”, dalla quale possiamo apprezzare le strepitose riproposizioni di “Domination”, “Serpent’s Kiss” e “The Walls Of Babylon”; investite di ulteriore impatto nelle versioni live, sottolineano i virtuosismi tecnici di Romeo alla chitarra e la straordinaria versatilità canora di un brillante Russel Allen. La titletrack serve a riprendere un attimo il fiato con melodie di gran classe ed atmosfere eleganti, dove finalmente trova spazio anche la tastiera di un Pinnella il cui suono discontinuo sarà l’unico neo nel concerto per il quintetto a stelle e strisce. Nel finale trovano finalmente spazio un paio di perle dal passato: “Inferno” e “Of Sins And Shadows” chiudono in bellezza uno spettacolo senza tregua e ad alta intensità.

DREAM THEATER

Anche i Dream Theater non si fanno troppo pregare attaccando verso le nove e mezza con un’intro sinfonica molto lunga che culmina con l’entrata dei nostri in esecuzione della famosa soundtrack di “2001 Odissea Nello Spazio”, lanciando lo show in maniera trionfale. L’attacco è subito incisivo, anche perché le note della potente “Constant Motion” sono sufficientemente affilate da scatenare il numeroso pubblico accorso. Il sound si presenta pulito e potente sin da subito, lasciando adeguato spazio a tutti gli strumenti, mentre dal punto di vista coreografico i Dream scelgono lo schermo gigante sulle loro teste, sul quale durante l’introduzione viene ripercorsa con foto amarcord tutta la carriera dei nostri, mentre un semaforo appeso al soffitto segnala col colore verde acceso l’inizio delle ostilità, riprendendo l’artwork dell’ultimo sigillo discografico. Sempre sbalorditiva la strumentazione con l’astronave…pardon, la batteria di Portnoy a dominare la scena, seguita dalle tastiere girevoli di Rudess che si ritroverà a suonare in tutte le posizioni. Le successive “Strange Déjà Vu” e “Blind Faith” riscuotono ampi consensi grazie anche alla prestazione senza sbavature di un LaBrie in discreta forma (vocale), con tanto di baffi, pizzo e panza. Sempre acclamata, “Surrounded” viene eseguita con un taglio più moderno dalle stelle newyorkesi, con tanto di citazioni di Marillion e Pink Floyd, impreziosite dai ricami virtuosi dell’eccellente Petrucci, mentre “Dark Eternal Night” dimostra tutto il suo valore là dove aveva deluso su disco, contrassegnata da riff taglienti e ritmiche vertiginose da thrash band col tasso tecnico che supera abbondantemente il limite consentito. A questo punto il concerto vive l’assolo di Jordan Rudess, troppo concentrato sulle scale stratosferiche suonate alla velocità della luce per farci divertire. Accogliamo come l’acqua nel deserto il ritorno sul palco dagli altri quattro desaparecidos, che attaccano con la sempre attuale “Lines In The Sands”, prima di ritornare sul materiale più recente con le ottime versioni di “The Ministry Of Lost Soul” e “In The Presence Of The Enemies”, proposta in versione integrale e capace di emozionare a dispetto degli oltre venti minuti di durata. La canonica pausa serve ai cinque fenomeni statunitensi per recuperare le ultime energie per il gran finale, ed ecco che un Portnoy, con la più diplomatica casacca azzurra della nazionale italiana, apre le danze di un succoso medley che, dopo aver accarezzato le note di brani come “Learning To Leave” e “Finally Free” (per la scaletta precisa vi rimando alle note), chiude con “Octavarium” uno spettacolo che ancora una volta non tradisce le attese, mettendo in bella mostra una setlist sempre varia, la solita prestazione impeccabile (a tal proposito, il posto più alto del podio lo assegneremmo alla macchina John Myung), l’ottimo coinvolgimento fisico ed emotivo e l’esibizionismo tecnico, caratteristiche capaci ancora una volta di mandare in estasi i numerosi fan dei Dream.

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