Report a cura di Carlo Paleari
Duff McKagan non è un artista che accetta di porsi dei limiti o delle restrizioni: prima anima punk rock cresciuta a Seattle, poi rockstar multimilionaria a Los Angeles e oggi, perché no, anche cantautore armato di chitarra acustica, a smozzicare storie dalle tinte country e blues. L’occasione di vedere il bassista in questa veste arriva con il tour di supporto a “Tenderness”, il suo ultimo lavoro solista: niente palcoscenici fantascientifici e folle oceaniche; niente maxi-schermi o fuochi d’artificio; solo parole, canzoni, musica e quel contatto diretto che il fortunato pubblico del Santeria ha potuto sperimentare in modo inedito e coinvolgente.
SHOOTER JENNINGS
A causa di un insolito traffico domenicale, varchiamo la soglia del Santeria Toscana 31 quando Waylon Albright ‘Shooter’ Jennings e la sua band sono già all’opera sul palco. Ed è un vero peccato non aver potuto assistere all’intera esibizione del cantautore, dato che la proposta del musicista risulta davvero convincente e trascinante. La voce di Shooter è calda e avvolgente e il cantante si divide tra pianoforte e chitarra, ben supportato da una band che prevede, oltre al classico trio chitarra/basso/batteria, anche un violino. Il set si divide tra episodi più robusti, con gli strumenti a dialogare, mentre pianoforte e violino danzano al ritmo infuocato del rock (“White Trash Song”), e momenti invece più delicati, malinconici, da assaporare davanti a un fuoco, sotto le stelle d’America (“Born Again”). L’artista statunitense non inventa nulla, ripropone quegli stilemi della grande tradizione americana, che non apparterranno alla nostra cultura europea ma che, al tempo stesso, abbiamo talmente assimilato, grazie alla pervasività della cultura popolare a stelle e strisce, da renderla perfettamente riconoscibile, familiare, a maggior ragione se proposta con la padronanza e la maestria di Jennings. È musica che parla di strade infinite, orizzonti sterminati, polvere e libertà, e il pubblico, in una piovosa serata milanese, è ben felice di lasciarsi trasportare oltreoceano, applaudendo con il giusto calore e accogliendo nel migliore dei modi la backing band di Duff, che si accomiata sulle note di “Rock ‘N’ Roll Suicide” di David Bowie.
DUFF MCKAGAN
Dopo la pausa necessaria ad approntare al meglio il palco, ecco ritornare on stage i musicisti già visti nel set di Jennings, con Shooter stesso a ricoprire il ruolo di tastierista. Il boato, però, questa volta è tutto per Duff McKagan, che sale sul palco armato di chitarra acustica. Si parte alla grande, con “You Ain’t The First”, primo tra i pochi estratti del repertorio dei Guns, e accolto con calore tra le ovazioni del pubblico. La prima parte dello show è delicata ed elegante: i brani di “Tenderness” si adattano alla perfezione all’atmosfera intima del locale e i musicisti sul palco regalano arrangiamenti curati ed un’ottima performance. Duff, da parte sua, ci mette il suo notevole carisma e il pubblico gli perdona volentieri qualche incertezza dal punto di vista vocale. Anzi, forse sono anche queste imperfezioni a dare un senso diverso alla serata, in contrapposizione al mastodontico carrozzone dei Guns N’ Roses. Un concerto vero, fatto anche di racconti e ricordi, che il frontman regala a piene mani: prima commuovendosi al ricordo di Scott Weiland, Chris Cornell, Chester Bennington e i molti altri amici scomparsi; poi celebrando la scena di Seattle con la riproposizione di “River Of Deceit” dei Mad Season; oppure citando qualche aneddoto relativo ai Guns e scherzando sul fatto di aver suonato recentemente ‘qui vicino, in un posto piccolo, la metà di questo locale’ (ovviamente riferendosi alle folle oceaniche delle recenti esibizioni di Firenze e, prima ancora, Imola).
Naturalmente il nuovo album di Duff, “Tenderness”, occupa gran parte della serata, ma le chicche non mancano: “Dust N’ Bones” fa saltare tutti i presenti; “Dead Horse” scatena l’entusiasmo del pubblico; e “Patience”, suonata in medley con “You Can’t Put Your Arms Around A Memory”, viene cantata a squarciagola parola per parola. La vera sorpresa, però, è un altro brano dei Guns N’ Roses: ‘abbiamo preparato questa canzone solo oggi, proprio per il pubblico di Milano’, dice Duff. ‘Abbiamo ricevuto tantissime richieste, ma non l’abbiamo mai suonata in questo tour, quindi ho bisogno del vostro aiuto’. E, con l’aiuto di Shooter Jennings, attacca “So Fine”, accompagnato dal pubblico in visibilio. Un bellissimo gesto d’affetto verso i fan italiani, non c’è che dire, che diventa ancora più significativo cadendo nell’ultima data del tour, dove sarebbe lecito aspettarsi anche un po’ di stanchezza. Il resto della serata non ve lo raccontiamo canzone per canzone, ma scorre via che è un piacere, fino a sfiorare le due ore di durata complessiva, tra brani originali, momenti di improvvisazione semi-seria (la divertente “Milano We Love You”, che di sera in sera viene cambiata di nome e testo a seconda della città ospitante), e ancora qualche cover d’antologia, come “Clampdown” dei Clash e la conclusiva “Deepest Shade” di Mark Lanegan, drammatica ed intensa come poche altre.
Al termine del concerto, la sensazione che ci è rimasta è quella di aver assistito a qualcosa di vero, di autentico e sincero: non una superstar che vuole togliersi uno sfizio facendo un tour solista, ma un musicista che, pur godendosi comprensibilmente tutto il successo del suo status, ama ancora l’atmosfera e il calore di un club in cui è possibile vedere i volti delle persone, gli occhi che brillano, o un cartello di una ragazza che chiede di salire sul palco per portarsi a casa un ricordo che sarebbe altrimenti irrealizzabile in un’arena, in mezzo ad altre cinquantamila persone.
Setlist
You Ain’t The First
Breaking Rocks
Tenderness
Chip Away
Feel
Wasted Heart
River Of Deceit
So Fine
Dust N’ Bones
Last September
It’s Not Too Late
Falling Down
Milano We Love You
Cold Outside
You Can’t Put Your Arms Around A Memory / Patience
Parkland
Clampdown
Dead Horse
Don’t Look Behind You
Deepest Shade