Report a cura di Marco Gallarati
Dopo la data di supporto ai Cannibal Corpse dell’ottobre scorso, ecco tornare in terra lombarda i Dying Fetus, headliner del brutale Thrash And Burn Tour 2010. Nonostante il monicker molto Eighties affibbiato alla tournée, bisogna però precisare che di thrash metal, in quel del piccolo ma glorioso Tunnel di Milano, se ne è sentito davvero poco, decisamente in netta minoranza rispetto alla caterva di death metal riversato sull’audience dai quattro gruppi protagonisti della serata. Se gli scozzesi Man Must Die hanno dovuto rinunciare al carrozzone causa recente abbandono in line-up, Revocation, Beneath The Massacre e soprattutto Origin hanno steso un lungo e sanguinolento tappeto rosso al Feto Morente, come al solito in gran forma. Ma entriamo assieme nel Tunnel e vediamo bene cos’è successo…
REVOCATION
Danno il via alla carneficina odierna i bostoniani Revocation, autori sul finire dell’anno scorso di un validissimo lavoro quale “Existence Is Futile”. La band, fra il poker da visionare questa sera, è la più thrash-oriented, sebbene derive verso il death metal siano parecchio presenti nelle loro composizioni. Il terzetto yankee si trova a dover suonare, come prevedibile, con ancora poche persone presenti alla venue, ma David Davidson, Anthony Buda e Phil Dubois non si preoccupano molto e tirano dritto lungo la setlist, baciata purtroppo dai suoni peggiori del concerto, poco potenti e approssimativi. Dal vivo, inoltre, le lunghe tirate solistiche alla chitarra di Davidson hanno il potere di castrare un po’ la veemenza di brani altrimenti piuttosto coinvolgenti e ben costruiti. Insomma, un appena sufficiente antipasto di serata: chiaro che le portate seguenti saranno di ben altra caratura…
ORIGIN
Gli Origin suonano prima dei Beneath The Massacre questa sera, ma la famigerata proprietà commutativa non sbaglia proprio mai, perché scambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia: il Tunnel si riempie magicamente di gente per l’esibizione degli autori del devastante “Antithesis”, uno dei dischi death metal più riusciti del 2008, sicuramente più attesi dei loro compagni d’avventura citati sopra. In formazione a quattro, senza il chitarrista co-fondatore Jeremy Turner – che ricordiamo non prende parte ai tour del gruppo – e con il nuovo cantante Mica ‘Maniac’ Meneke – gli Origin si dimostrano dei perfezionisti fin dal lungo soundcheck precedente l’inizio dell’esibizione, per poi esplodere in un massacro sonoro che, per chi scrive ed in questa stagione concertistica, non ha ancora avuto eguali. Le voci leggermente sommerse dal wall of sound degli strumenti non hanno inficiato troppo l’operato della band, piuttosto simile a livello scenico a quello dei Nile, con tre vocalist ad alternarsi al microfono. Segnalazione a parte va fatta per il bassista Mike Flores, davvero una scheggia a far scorrere le dita sul suo manico (e non pensate male!). “Reciprocal” e “The Aftermath”, fra le altre, hanno annichilito e sotterrato un’audience entusiasta e partecipe. Grandi.
BENEATH THE MASSACRE
E se dunque per gli Origin il pubblico era tutto presente all’interno del locale, per i canadesi Beneath The Massacre bisogna segnalare dei bei spazi vuoti almeno per i primi dieci minuti d’esibizione, esibizione fra l’altro più corta di minutaggio rispetto a quella di chi li ha preceduti. La band di Montréal è quella più legata al death-core fra le quattro in campo nel Thrash And Burn Tour: i loro stacchi monolitici, iper-cadenzati e quasi ‘militari’ – da non paragonare con i riff groovy dei Dying Fetus, di diversa fattura – sono un’eccezione nella serata, per il resto votata alla velocità più estrema, come d’altronde gli stessi Beneath The Massacre sanno ben riprodurre. Elliot Desgagnés è l’esatta trasposizione fisica della musica della sua band e davvero ci mette tutto il trasporto possibile, con tanto di vene giugulari in procinto di esplosione, per trascinare i fan dietro i loro suoni, a dire il vero poco coadiuvato dai suoi compagni di formazione, un po’ troppo statici sui loro piedi, a prescindere dalla difficoltà delle partiture e dalla minima larghezza del palco del Tunnel. Una setlist ed una performance in crescendo, comunque, hanno permesso ai quattro canadesi di portarsi a casa la loro buona dose di applausi e consensi, soprattutto all’altezza di un brano compresso ed efficace quale “Reign Of Terror”. Avanti con i Dying Fetus, ora…
DYING FETUS
Per l’ultimo cambio di palco occorre davvero poco tempo: quello necessario a levare di mezzo la batteria usata dai support-acts e a settare velocissimamente gli strumenti, mentre Sean Beasley e John Gallagher si intrattengono con scioltezza e tranquillità fra il pubblico. Fa specie, quindi, vederli pochi attimi dopo mentre si lanciano scatenati nell’incipit di una prestazione che, nonostante duri ‘solo’ poco più di un’ora, si rivelerà spaccaossa e perfetta sotto tutti i punti di vista. I Dying Fetus, in una assolutamente efficace line-up a tre, riescono a coniugare brutal death metal e grindcore come nessun’altro, e la potenza ed il groove generati dai loro stacchi cadenzati in progressivo rallentamento è semplicemente spettacolare. Davvero difficile restare impassibili sul posto. Rispetto alla performance di spalla ai Cannibal Corpse, già all’epoca notevole, bisogna ammettere che la band, anche aiutata dal contesto più intimo del Tunnel, ha dato in pasto al pubblico uno show ancora migliore e preciso, traslando con abilità dai pezzi dell’ultimo “Descend Into Depravity” fino ai piccoli classici di una carriera ormai importante, quali ad esempio “Pissing In The Mainstream”, “One Shot, One Kill” ed il più recente “Homicidal Retribution”. Gallagher e Beasley si sono alternati con sapienza ai vocalizzi, mentre dietro di loro Trey Williams alla batteria non ha perso un colpo. Di certo gli Origin ed in parte anche i Beneath The Massacre sono formazioni meritevoli e capaci di fare male, ma in tutta sincerità i Dying Fetus risiedono stabilmente su di un altro pianeta. Almeno per ora.