A cura di Claudio Giuliani
Hanno suonato a Roma nel 2008, poi nel 2011. Ora, con un nuovo album che li ha riportati su coordinate leggermente più dure, “Primitive And Deadly”, gli Earth tornano di nuovo in tour non mancando di fare una puntata nella Capitale. Ad aprire per loro, un paio di gruppi strumentali, i Black Spirituals e il Don McGreevy & Rogier Smal Duo, del quale il primo nome già bassista proprio degli Earth, e le cui recensioni approfondite potete leggerle nella data di Milano, precedente quella di Roma.
EARTH
La sala dell’Init è piena quando dal backstage i musicisti salgono sul palco. Il pubblico è di diverse estrazioni: c’è chi, come il vostro recensore, conosce gli Earth dal metal; ma c’è anche il pubblico che entra nel locale dove c’è musica dal vivo, sorseggiando il gin-lemon e vestendo la camicia d’ordinanza aperta sul petto, ignorando che si troverà di fronte a un profluvio di note tristi e suadenti, senza cantante sul palco – anche perché non ci sono microfoni. D’altronde, siamo pur sempre al centro di Roma. Dylan Carlson sale sul palco e introduce “Badger’s Bane”, canzone lunga, bonus-track presente solo sul vinile dell’ultimo “Primitive And Deadly”. Sono in tre a suonare questa volta, manca infatti la violoncellista dello show di tre anni fa sempre qui all’Init. Fuori, sulle mura del locale, sono appesi manifesti rosso porpora con in evidenza il logo bianco degli Earth, per un minimalismo estremo, grafico e musicale. Dylan Carlson appare ancora più smunto dall’ultima volta, ma fa subito volteggiare la chitarra, liberata dal braccio destro che la abbandona dopo le lunghe plettrate. Il bassista, dopo aver raccomandato con tono perentorio di non fare foto col flash, dà sostanza al tappeto sonoro col suo strumento variando il minimo, con l’effetto finale di una unica, interminabile nota a fare da supporto alla sei corde. Adrienne, la storica batterista, allunga le braccia affusolate sugli enormi piatti dal suono secco. Manca il microfono sul palco: Dylan annuncia le canzoni con la sua voce stridula ma nessuno lo sente; si acclama per empatia. Dal nuovo album arriva subito “There Is A Serpent Coming”, canzone che su disco è cantata ma che dal vivo è priva della voce, in modo da esaltare le linee di chitarra che addirittura presentano qualche stop and go. Segue “The Bees Made Honey in the Lion’s Skull”, traccia-capolavoro del disco che porta lo stesso nome, dove il riff-mantra del finale sembra senza fine: incalza l’audience, già attonita in sala, e quando sembra che il brano sia terminato, torna ancora per un altro giro. E un altro ancora. Si potrebbe andare avanti ancora per molto su questo riff, con le teste ciondolanti del pubblico e i musicisti sul palco che suonano con gli occhi chiusi, assorti in chissà quale rapimento dei sensi. È tempo poi di “Old Black”, da “Angels Of Darkness, Demons Of Light Pt. I”, e il pubblico è sempre lì, fermo. Qualche testa asseconda lievemente il lento ritmo di batteria, altri, volgendo lo sguardo, guardano fissi il palco, assorti nel doom meditativo del brano. Catarsi, altro non è che catarsi. Durante l’esibizione della recente “Rooks Across the Gate”, rimaniamo ipnotizzati dai movimenti di Adrienne, con le sue bacchette che si muovono violentemente nell’aria prima di frenare improvvisamente, quando c’è da colpire i piatti. Le note di “From the Zodiacal Light”, anche questa eseguita senza voce, chiudono l’esibizione. È l’ultimo vero brano di una serata lunga. Niente dilata il tempo come la musica degli Earth. Come il buco nero di ‘Interstellar’, alla fine dello show sarà passata un’ora e mezzo, ma per gli altri: perché gli Earth hanno fermato il nostro corso temporale.