SONIC SYNDICATE
Mentre la maggior parte del pubblico sta uscendo da lavoro, è imbottigliata nel traffico o si sta bevendo un Negroni fuori dal locale, i Sonic Syndicate, in orario da aperitivo, attaccano il loro set non appena i giovani presenti (il loro target di sicuro!) hanno finito di riempirsi le tasche con i gadget. Vincitori di una competition che offriva un contratto su Nuclear Blast, i ragazzi appaiono a prima vista come i Tokyo Hotel con Avril Lavigne al basso, alle prese con un metal-core a doppia voce adornato da tastiere swedish e semplificato all’eccesso. Certo, i bambocci sono vestiti e pettinati all’ultima moda, ma le batterie triggerate, i chorus pacchiani e i brani elementari non li faranno di sicuro prendere in considerazione da qualsiasi senziente che abbia superato i quindici anni. Pupazzi.
CALIBAN
Dei Caliban abbiamo veramente detto tutto di tutto, esaminando pregi e mancanze della formazione in sede live e non, e intervistandoli più di una volta sulle pagine del portale. I difetti noti come le ‘stecche’ del chitarrista e i melodici melensi sono, le prime, leggermente migliorate col tempo (e le lezioni di canto) e i secondi si sono oramai trasformati nel trademark dei tedeschi, scelta apprezzata dalle molte MySpace girls presenti nelle prime file. Il problema è che il gruppo suona dalle nostre parti per la quinta volta in meno di due anni e l’unica novità di rilievo – il vestiario bianco sporcato di sangue – non è tale per coloro che li hanno già visti di supporto ai Machine Head lo scorso giugno. Se la formazione è decisa e rodatissima, la scaletta rimane convincente e forte di tutti i pezzi migliori del combo, che nonostante tutto convince il pubblico presente: una prestazione nella norma, la quale non cambia lo status della band. Con i Caliban si sfuma nella parte più seria della manifestazione, che vedrà Soilwork e Dark Tranquillity esibirsi davanti a un pubblico ben più numeroso, adulto ed esigente.
SOILWORK
I Soilwork sono probabilmente il gruppo, dopo In Flames e Dark Tranquillity, che più viene citato in ambito death melodico, sebbene la loro musica peschi notevolmente anche dal thrash, dal rock, dal pop e ultimamente anche dal metal moderno. L’attesa per lo show del gruppo era parecchia, in quanto i cinque svedesi (più l’ottimo batterista belga Dirk Verbeuren) non sono così assidui nel Belpaese come altri loro colleghi e, inoltre, c’era da valutare lo status della formazione all’alba della dipartita dell’ex-principale songwriter, il chitarrista Peter Wichers: diciamo subito che lo show è stato vigoroso, piacevole e nettamente in crescendo, pur essendo castrato all’inizio dal solito impastone di suoni, il quale ha reso irriconoscibile la feroce apertura di “Bastard Chain”. L’attenzione dell’audience è stata catalizzata quasi esclusivamente sul caro, vecchio Björn ‘Speed’ Strid, marcantonio tamarro e fin troppo ‘atteggione’, che però sa certamente come aizzare e coinvolgere la folla al meglio. Ha fatto un po’ specie sentire Speed richiedere addirittura un circle-pit, manco i Soilwork fossero un gruppo di sbarbatini metal-core alla moda (uh, i Sonic Syndicate!); comunque sia, tra arringhe alla folla, inviti a mostrare le ‘horns’ e terrificanti sputazze nel photopit, Björn si è confermato un vocalist di razza ed un discreto frontman. Il resto della band, ad esclusione del movimentato Ola Flink, ha fatto la sua parte senza strafare e l’apporto del nuovo Daniel Antonsson è stato positivo, seppur statico. Buona la setlist, davvero democratica nel rinverdire i fasti di (quasi) ogni album: con “Chainheart Machine” si è fatto un bel salto nel passato, mentre con la nuova “Exile” abbiamo potuto saggiare le potenzialità di “Sworn To A Great Divide”, fuori proprio in questi giorni. Non sono ovviamente mancate le più classiche “Rejection Role”, “Follow The Hollow”, “As We Speak” e “Stabbing The Drama”, mentre “Nerve” ha fatto scendere il sipario su di uno spettacolo di buon livello. Soilwork quindi ancora vivi e vegeti; non resta che dedicarsi per bene al nuovo album! E ai Dark Tranquillity, chiaro…
DARK TRANQUILLITY
Headliner ufficiali dell’Eastpak Antidote Tour sono i Soilwork; ma tale è la popolarità dei Dark Tranquillity in Italia, che nella data milanese le parti vengono invertite, permettendo così a Stanne e compagni di porre fine alla bella serata. Recentemente visionati al Summer Breeze Open Air, i ragazzi di Göteborg hanno riproposto una setlist purtroppo simile a quella eseguita al festival tedesco, sebbene il tempo a loro disposizione sia stato maggiore. Ora, la prestazione è stata, come da anni ormai a questa parte, professionale, coinvolgente e sempre all’altezza del loro nome e della qualità della loro musica, però – pur considerando l’attenuante del primo concerto italiano dalla release di “Fiction”, quindi giustamente ricco di pezzi nuovi – quello che inizia seriamente a mancare all’Oscura Tranquillità è un po’ di varietà per quanto riguarda i brani del passato. Va benissimo sentire (o risentire, nel caso del sottoscritto) le varie “Focus Shift”, “Terminus (Where Death Is Most Alive)”, “The Lesser Faith”, “Misery’s Crown”…epperò è pur vero che canzoni come “The Wonders At Your Feet”, “The Treason Wall”, “My Negation”, addirittura “Punish My Heaven”, potrebbero venire ogni tanto lasciate da parte, per far posto a qualche vera chicca. Lungi da noi criticare troppo la band, peraltro avente una discografia così imponente e ‘dotata’ che qualsiasi scelta diverrebbe opinabile, ma quando Stanne ha presentato “Punish My Heaven” come se dopo migliaia d’anni stessero per eseguire “Void Of Tranquillity”, in verità ci sono cadute un po’ le braccia e qualcosa di tondo posto più in basso… Anche “Therein”, eseguita in esclusiva per i fan italiani, non è poi stata ‘sta gran sorpresa. E allora ben vengano le intense “Inside The Particle Storm” e “Lethe”, una novità e un pezzo d’antiquariato la cui riproposizione è stata molto apprezzata. Non ce ne vogliano gli appassionati più recenti dei DT, questa non vuole essere una critica in modo assoluto, in teoria rivolta poi ad un gruppo che si ama in modo viscerale: il fatto è che, avendoli visionati e ‘reportati’ ormai parecchie volte, bisogna pur trovare qualcosa di pepato e diverso da scrivere!