Report e Foto a cura di Riccardo Plata
Prossimo a divenire un appuntamento tradizionale della stagione concertistica autunnale, sbarca anche quest’anno a Milano il carrozzone dell’Eastpak Antidote Tour, stavolta in una veste nettamente sbilanciata verso sonorità di stampo punk-hc, potendo contare sulla contemporanea presenza di nuove leve e pietre miliari del genere. Purtroppo la giornata prescelta (lunedì) e la programmazione ravvicinata di numerosi altri eventi concertistici non ha garantito il pienone, ma, grazie anche alla strategica apparecchiatura del palco B, il colpo d’occhio offerto dall’Alcatraz non appare poi così desolante, offrendo in pasto agli artisti una folla di giovanissimi accorsi a sostenere i loro beniamini. Persi, per i canonici problemi con il traffico milanese, i gruppi di apertura (Mainline, Ghost Of A Thousand e Four Year Strong), passiamo dunque subito in rassegna gli show degli headliner, ovvero gli Alexisonfire e gli Anti-Flag.
ALEXISONFIRE
Con ancora nelle orecchie l’energia travolgente dell’ultimo “Old Crows/Young Cardinals”, eravamo sinceramente curiosi di vedere all’opera on-stage la band canadese, ma purtroppo la nostra curiosità si è esaurita nel giro di un paio di canzoni. Superato in fretta l’entusiasmo iniziale dettato da una presenza scenica davvero travolgente – merito soprattutto del tarantolato bassista Chris Steele e dell’indomito singer George Pettit: a giudicare dalla movenze, e dalla quantità di sputi, si sarebbe quasi portati a credere che le assi del palco avessero lasciato il posto a dei carboni ardenti… – la proposta musicale dei cinque appare quanto mai lontana dalla qualità udita su disco, quasi i nostri avessero voluto privilegiare l’adrenalina a dispetto della resa sonora. Se gran parte del (de)merito di tale disfatta è da ricercare nella performance offerta dietro al microfono dal chitarrista Dallas Green – in grado di competere, a livello vocale, con il suo stonatissimo collega dei Caliban – va altresì detto che anche il resto della formazione ha destato parecchie perplessità sia nella riproposizione dei vecchi classici che dei nuovi cavalli di battaglia. Insomma, chi ha vissuto il concerto nelle prime file probabilmente avrà avuto modo di godersi comunque lo spettacolo, ma il resto della platea avrebbe meritato decisamente di meglio.
ANTI-FLAG
Archiviata la prova incolore degli Alexisonfire, la maggior parte del pubblico presente attende con trepidazione gli Anti-Flag, i quali si materializzano on stage allo scoccare della ventiduesima ora e riescono, già nel giro di un paio di pezzi, a risollevare le sorti della serata grazie all’apertura affidata alle scoppiettanti “The Press Corpse” e “Sodom, Gomorrah, Washington D.C. (Sheep in Shepherd’s Clothing)”. Ma non siamo che all’inizio, perchè, scaldati i motori della band e gli animi del pubblico, a partire dalla successiva “Turncoat” (indimenticata opener del capolavoro “The Terror State”) il quartetto di Pittsburgh dà vita ad uno show infuocato, confermandosi come una delle punk band più in forma attualmente in circolazione. Mattatore assoluto della serata risulta essere lo scatenato bassista Chris #2 – in grado di coinvolgere il pubblico in un circle-pit da far quasi invidia ai Devildriver – ma anche Justin Sane, Pat Thetic e Chris Head non sono stati da meno, divertendosi e facendo divertire il pubblico sulle note delle varie “War Sucks, Let’s Party!”, “1 Trillion Dollar$” e “The Economy Is Suffering, Let It Die”. Uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie, accompagnato da un pogo festoso e culminato, dopo il dovuto omaggio ai maestri Clash con “Should I Stay Or Should I Go”, in una grande festa sul palco, dove una decina di fan sono stati invitati, in veste di percussionisti, ad accompagnare i nostri durante l’esecuzione dei bis “Die For Your Government” e “Cities Burn”. Insomma, saranno sempre i canonici quattro accordi, ma in mano agli Anti-Flag suonano dannatamente bene, al punto che anche chi scrive avrebbe voluto avere, in ordine opposto, trenta centimetri, dieci anni e una macchina fotografica in meno per poter lasciare un po’ del proprio sudore sul pavimento dell’Alcatraz.