A cura di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
Foto di Matteo Musazzi
Si era capito nel 2021, quando la band iniziò a rimuovere il materiale potenzialmente scomodo dal proprio catalogo digitale, che il grande passo era alla portata del gruppo. Dallo split con il cantante Sebastian ‘Sushi’ Biesler, oggi protagonista del progetto Ghostkid, i Callboy sono passati dall’essere un fenomeno tedesco/continentale al successo internazionale grazie ad una serie di hit sempre più convincenti, sostituendo poi ‘Eskimo’ con ‘Electric’ (sempre secondo il perbenismo imperante) la loro marcia si è fatta sempre più veloce ed esponenziale, come in piccolo abbiamo potuto constatare col sold-out al Legend Club di Milano. Eccoli oggi a riempire un palco B veramente gremito dell’Alcatraz, a dimostrazione che tra pandemia, venti di guerra e crisi economica c’è davvero bisogno di un po’ di zarro divertimento. Ad accompagnare il comedy metalcore elettronico dei Callboy troviamo diverse sfumature di metalcore, sempre ricco di melodia anche se meno spiritoso, di Future Palace e Holding Absence.
FUTURE PALACE
Aprono i tedeschi Future Palace, trio sotto Arising Empire guidato dalla minuta Maria. Il pubblico di oggi deve fare i conti con l’assenza del chitarrista Manuel (al suo posto una faccina di cartone), ma l’annullamento pare essere fuori discussione, di conseguenza lo show si riflette in una bizzarra esibizione di voce e batteria su basi pre-registrate. I presenti sostengono la scelta, reagendo davvero bene alla proposta del duo, tra metalcore, post/hardcore e rock, Spiritbox, Paramore e un’evidente propensione a melodie catchy. Maria bene o male tiene in piedi lo show e dona personalità al gruppo con una tonalità tutta sua e una performance vocale solida, quindi nonostante un simil-karaoke non ce la sentiamo di smontare queste giovani promesse.
HOLDING ABSENCE
Li avevamo nel radar per le collaborazioni con Alpha Wolf e Loathe (in cui è finito a suonare il fondatore Feisal El-Khazragi), oggi finalmente li vediamo sul palco. Nonostante la storia travagliata gli Holding Absence, formazione gallese portata sul palmo della mano dalla stampa nazionale, riescono a continuare la propria carriera in maniera promettente. Sul palco sono particolarmente disinvolti nonostante la giovane età, inoltre anche se la formula post hardcore/metalcore melodico ci sembra un po’ datata (ci ricordano i Funeral For A Friend) si nota presto come nella dimensione live siano talenti genuini e naturali, scambiando energia con le prime file come una formazione navigata e migliorando i pezzi rispetto alla versione su disco. Pescano un po’ da tutto il repertorio nel breve tempo a loro disposizione, inoltre anche per loro il pubblico si dimostra davvero energico e partecipe, disponibile a farsi guidare da un Lucas Woodland totalmente a suo agio nonostante la distanza dagli headliner della serata. Torneranno da protagonisti i primi giorni di Marzo, fateci un pensiero.
ELECTRIC CALLBOY
Quando è il turno degli Electric Callboy l’Alcatraz è caldissimo e imballato. Vale la pena spendere due righe per il pubblico di questa sera, veramente fresco energico e frizzante come sperimentiamo in poche occasioni, di ogni sesso e fascia d’età, e soprattutto pronto a partecipare e a divertirsi visto il numero di canotte fluorescenti, parrucche e tutine anni ’80 che abbiamo individuato. Lo show si apre con un messaggio registrato sullo schermo gigante, nel quale sotto note ‘tunz tunz’ una hostess in CGI ci dona il benvenuto sul “Tekkno Train” dei tedeschi, una giostra dove l’eurodance si mischia a metalcore ed abbondanti dosi di idiozia scatenando ilarità e divertimento. Per segnare il forte impatto visivo ogni traccia sarà accompagnata da un video che fa da sfondo, spesso con effetto karaoke. Inoltre, senza aspettare troppo, arriveranno stelle filanti e coriandoli per far esplodere una festa a cui i presenti partecipano più che volentieri.
Non nascondiamo che chi scrive, ascoltando con orecchio scettico, ha sollevato più volte il sopracciglio davanti all’utilizzo massivo di basi pre-registrate: da un lato questo espediente è necessario per viaggiare sulle dominanti basi techno/EDM sulla quale gli Electric Callboy viaggiano costantemente, in secondo luogo essere completamente sincronizzati con il comparto video scenografico, parte su cui è fortemente aggrappato l’intero live set, è semplicemente imperativo. Se da un lato l’ultimo arrivato Nico canta e lo fa pure bene, molto spesso sembra che il fondatore Kevin Ratajczak faccia semplicemente finta, raddoppiando col microfono a zero o andando scandalosamente di lip-sync. Quel che è certo è che al pubblico di tutte queste elucubrazioni frega meno di un cazzo: i Callboy sono dei cazzoni e la gente è lì per divertirsi. Sulle note dell’ultimo disco in studio quindi, dal quale verranno riproposte quasi tutte le canzoni, la festa si scatena a suon di siparietti e stacchetti zarri intervallati da riffoni e breakdown ignoranti. Ci chiediamo per quanto possa reggere la formula senza stufare, ma i tedeschi lasciano per la seconda metà dello show gli attesi travestimenti per le mega-hit electronicore “Hypa Hypa”, “Pump It” e “We Got The Moves”, tripudio di parrucche, baffi finti e stereotipi kitsch ottantiani. Per il pubblico italiano arriva anche la chicca, ovvero il debutto dal vivo della power ballad elettronica “Neon” appena prima degli encore. Che possiamo dire quindi a questi cazzoni della Ruhr tedesca? Nulla alla fine, il successo folgorante è meritato e a quanto abbiam visto per cura, professionalità, verve ed attenzione ai dettagli ci sono tutte le caratteristiche perché si prolunghi e si ingigantisca.