Report a cura di Giuseppe Caterino
Uscita da oramai qualche settimana, l’ultima fatica della band guidata da Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson, “E”, sembra aver attecchito piuttosto bene tra le fila dei fan della band norvegese; a ragione, riteniamo. Il disco, peraltro Top Album sulle nostre pagine, é infatti un lavoro degno della nomea dei suoi compositori, capace com’é di spostare ancora un po’ più in là l’asticella della sperimentazione tipica della band (e delle sue velleità progressive), senza mai snaturare il suono originale che, sin dagli ormai lontani tempi in cui il black metal norvegese era praticamente in fasce, contraddistingue i Nostri. Il tour a supporto dell’album é passato anche per le lande inglesi e abbiamo avuto l’opportunità di recarci in una gremita Assembly Hall, Islington, a vedere coi nostri occhi come la band ha deciso di supportare la versione dal vivo di “E”. In aggiunta agli Enslaved, gli inglesi Svalbard (che purtroppo abbiamo perso per motivi lavorativi) e i Darkher, progetto particolare che sembra aver diviso, almeno in sede live, i presenti alla serata…
DARKHER
Infatti, una volta entrati e lasciatici all’ingresso una giornata particolarmente fredda e grigia di questo cangiante novembre londinese, l’atmosfera non ci sembra poi così diversa da quella che avevamo percepito lungo la nostra strada. Freddo, grigiore, assenza di qualsiasi sembianza di calore. La band inglese si trova sul palco e sta sciorinando la sua interessante proposta di doom ipnotico, mortuario, distante, a modo suo piatto e assente, se non per la trascinante voce della cantante e chitarrista Jayn H. Wissenberg, vera incantatrice e strumento a sé del gruppo; ma, eccezion fatta per le prime cinque-sei file, incantate dalla proposta dei tre, la gran parte degli spettatori sembra non essere stata in grado di apprezzare, o meglio capire, quello che stava accadendo. Di fatto, dopo una prima manciata di disorientanti minuti, il grosso del pubblico ordina da bere e preferisce raccontarsela senza dare troppe attenzioni all’esibizione della band. Dal canto nostro, ci uniamo alle prime file, godendo di uno spettacolo più corto di quello che in realtà sembrava (ribadiamo, la proposta non é per niente immediata, e i tempi live dilatano ancor più i brani contenuti nel buon “Realms”) e, pur apprezzando il lavoro certosino della band nel creare sensazioni, suoni dronici più che musica vera e propria, non riusciamo a goderci del tutto il concerto. L’Assembly Hall non é gigantesca, ma forse si é rivelata un po’ troppo spaziosa per una proposta come quella dei Darkher, band da rivedere sicuramente in altro contesto.
ENSLAVED
Del resto, la maggioranza del pubblico chiamava a gran voce la band di Bergen, a riprova dell’ottimo recepimento della nuova uscita dei norvegesi. Uscita che introduce immediatamente se stessa dopo che “Iron Man” dei Black Sabbath sfuma dolcemente: le luci si spengono e, preceduta dalla sua intro, “Storm Son” fa ingresso insieme alla band. La opener di “E” fa una figura impressionante nell’esecuzione live e gli Enslaved sembrano essere realmente carichi, facendo piombare, sin dalle prime note, tutta la platea in una di quelle atmosfere da concerto perfetto, in cui si abbandona completamente la quotidianitá e ci si lascia trasportare dalle note. Un veloce saluto e “Roots Of The Mountain” parte con la sua apertura indefessa e i suoi riffing grevi ma snelli allo stesso tempo, e un cantato spettacolare tanto di Grutle quanto del nuovo innesto Hakon Vinje, presentato alla sua prima data londinese di sempre. Un salto all’indietro nel tempo ci porta a “Return to Yggdrasil”, brano accolto a braccia alzate dal pubblico londinese che segue attento le gesta di una band davvero in forma come non mai. Entriamo in un vortice attorno all’intera carriera degli Enslaved, che toccano (quasi) tutti i punti della propria discografia senza dimenticare il nuovo nato (“River’s Mouth” e la bellissima “Sacred Horse”, le altre canzoni di “E”); non mancano digressioni che passano per “Monumension” (con “Convoys To Nothingness”) e “In Times”, con la spettacolare “One Thousand Years Of Rain”, salutata da una pioggia di mani alzate e headbanging. Gli Enslaved sembrano davvero migliorare con gli anni tanto su disco che dal vivo: il concerto sembra essere appena iniziato quando viene proposto, da un sempre loquace Grutle, un brano particolarmente vecchio: “Vetránott” arriva dall’inverno, dal freddo, ci colpisce inaspettatamente e fa persino scatenare un pogo nel bel mezzo della Sala delle Assemblee, mentre la band suona con una furia incredibile, che fa pensare all’età in cui i due main men avevano quando il brano é stato composto e all’intensitá, rimasta intatta nel tempo. La già citata “Sacred Horse” chiude una prima parte interrotta da una veloce pausa, mentre Caro Bekkevold ritorna sul palco per un breve ma apprezzato drum solo che lascia poi il passo a una furiosa”Allfǫðr Oðinn”, scatenatasi sulla folla niente meno che dalle epicitá di “Hordanes Land”. Una tempesta di black metal primordiale e selvaggio ci aggredisce e ancora una volta non possiamo che rimanere di stucco di fronte a quello a cui stiamo assistendo, una violenza inveterata e una band instancabile che sul palco crea l’inferno vero e proprio. Tutto pazzesco. Arriva il momento del brano che chiuderá la serata, “Isa”, che viene suonato con un groove incredibile e con tutta la mistura di pesantezza, epicitá e talento che un pezzo del genere impone a chi lo suona. Sono le 23.30 precise: giusto un istante dopo la fine del brano le braccia di tutta la band sono alte, le luci si riaccendono, la musica cambia in un classico pop da dopo concerto e ritorniamo sul pianeta Terra, increduli, mentre i norvegesi ci danno appuntamento alla prossima volta; dopo una serata del genere, dal canto nostro, possiamo dire solo una cosa: speriamo sia presto!