4-5/04/2025 - EPIC FEST 2025 @ Roskilde Congress Center - Roskilde (Danimarca)

Pubblicato il 23/04/2025 da

Report di Federico Orano
Fotografie dalla pagina facebook ufficiale del festival

Oltre duemila persone giunte da tutto il mondo si sono incontrate a Roskilde, comune alle porte di Copenaghen, per un weekend incentrato sulla musica più epica e dalle atmosfere fantasy, ma non solo. L’Epic Fest– arrivato, in rapida crescita, alla sua terza edizione – unisce anche giochi di ruolo, meet&greet, un vasto merchandising, un’atmosfera festosa ed… epica!
Il paese, situato ad una trentina di chilometri dalla capitale della Danimarca, dalla quale ci si può arrivare comodamente grazie ad un trenino in circa trenta minuti, è spesso sede di grandi eventi. Famoso anche per il Museo delle navi vichinghe e per un grande festival generalmente più mainstream, il noto Roskilde Festival, capace di attirare migliaia di persone e che si svolge a cavallo tra giugno e luglio, può vantare un centro congressi davvero enorme, il Roskilde Congress Center. Un edificio ricco di confort e di tante sale che è diventato la sede principale dell’evento che interessa di più noi metallari, l’Epic Fest!
Se pensiamo che la prima edizione, quella del 2023, contava su una sola giornata ed un unico (piccolo) palco, e che lo scorso anno la sala principale, quella più ampia, non veniva utilizzata, comprendiamo come questo evento sia velocemente esploso.
Quest’anno possiamo constatare una vera e propria espansione sotto ogni punto di vista, con anche una line-up di livello elevatissimo e tante band che si sono alternate, stavolta, su tre diversi scenari.
Per questa terza edizione l’intero centro congressi è stato messo a disposizione con la sua enorme sala principale denominata The Realm Of Might And Magic (che ad occhio può contenere almeno tremila persone) e la hall intermedia, la King Roar’s Hall (con una capienza di circa ottocento persone). Inoltre a circa cinque minuti di distanza a piedi, dirigendosi verso il centro del paese, si trova il terzo stage, il Gimle, classica venue da concerti con un bel palco piuttosto ampio ed una capienza di cinquecentocinquanta persone.

L’Epic Fest può vantare una qualità organizzativa di alto livello – ogni show è iniziato all’orario previsto senza alcun minimo ritardo, con dei suoni sempre puliti e precisi. Nessun intoppo quindi lungo i due giorni del festival all’interno di una struttura dotata di ampi spazi (interni ed esterni) con la presenza di numerose toilette e di punti ristoro. In entrambi non c’è mai stato il rischio di dover aspettare sia per dissetarsi con una birra che per l’obbligatoria – direttamente collegata al punto precedente – ‘pausa gabinetto’.
Un’edizione sold-out, con fan arrivati da tutto il mondo (da oltre trenta paesi diversi!) e con una forte presenza italiana, dove tutto ha funzionato al meglio, per la felicità di pubblico, band – che più volte durante lo show hanno rimarcato l’ottimo trattamento ricevuto – ed organizzazione.
La sensazione è che l’Epic Fest possa crescere ancora, diventando il riferimento principale a livello mondiale, per quanto riguarda il genere power metal. E le band già confermate per la prossima edizione non fanno che confermarlo.

VENERDI’ 4 APRILE

Facciamo il nostro ingresso in tempo per vedere all’opera gli INDUCTION, band famosa per vantare nelle proprie fila Tim Hansen, figlio di un certo Kai.
Il gruppo, in realtà, ha prodotto due buoni dischi di power metal europeo e, come anticipato dallo stesso chitarrista e leader della band, un nuovo lavoro è in uscita quest’anno.
Una formazione ancora una volta rinnovata, che vede al centro del palco il nostro Gabriele Gozzi alla voce, cantante di notevole fattura che si fa riconoscere sia per un’estensione vocale notevole, sia per essere un ottimo intrattenitore. Si alternano quindi brani possenti come “Scorched” e la corposa “Go To Hell” a pezzi più melodici, vedi “Fallen Angels”, fino a power song scroscianti come “Queen of Light”, e lo show prosegue all’interno di una King Roar’s Hall inizialmente strapiena ma che pian piano, probabilmente per avvantaggiarsi e conquistare una buona posizione per lo show successivo (che vede Fabio Lione nella sala principale), si svuota leggermente.
I Nostri però eseguono alla grande i loro pezzi – con una menzione particolare alla coppia di chitarristi formata da Justus Sahlman e lo stesso Hansen – e c’è spazio per un estratto dal prossimo disco, con una canzone intitolata “Beyond Horizons”, interessante cavalcata power dalle tinte epiche e cori che su disco ci immaginiamo potranno essere ancora più possenti.
Un’oretta scarsa ricca di energia per la band di Hansen Jr, che pian piano sta dimostrando tutte le sue doti e dal quale ci aspettiamo molto dalla prossima uscita discografica, anche grazie ad un cantante di livello come Gabriele.

È con Fabio Lione nella sua versione rhapsodiana – denominata DAWN OF VICTORY – che si aprono le porte del The Realm Of Might And Magic stage, una sala davvero enorme con un palco maestoso che si erge all’orizzonte. Il gruppo nasce dal desiderio del cantante italiano di riportare in vita i brani storici ed immortali contenuti nei primi quattro dischi del gruppo triestino. La prestazione sarà resa ancora piu speciale dalla presenza di un coro di voci provenienti dalla Danimarca.
Il pubblico è carichissimo; nonostante l’orario sia ancora da ‘band di apertura’ qui stiamo flirtando con un potenziale headliner: Lione per quest’avventura si fa accompagnare dai musicisti storici dei Rhapsody, tranne ovviamente la presenza dei due mastermind Turilli-Staropoli.
Qualcuno potrebbe definirla una cover band ed in un certo senso è una definizione corretta: ma alla fine, quanto è bello poter rivivere ed ascoltare dal vivo alcuni brani che hanno segnato la nostra adolescenza e che altrimenti resterebbero chiusi in un cassetto? E sentirli cantati dalla voce unica e originale di quei tempi, è ovviamente la ragione principale per la quale tra i presenti c’è così tanta attesa.
Iniziare lo show sulle note di “Dawn Of Victory” – dopo una lunga intro cantata dal coro – è un privilegio che solo le grandi band possono concedersi. L’adrenalina cresce subito alle stelle e rimane elevata quando vengono riproposti pezzi esaltanti come “Eternal Glory”, “Land Of Immortals”, “Knightrider Of Doom” e “Holy Thunderforce”. Certo, la mancanza delle tastiere si fa sentire – visto che vengono utilizzati tanti sampler e alcuni assoli sono riprodotti dalla chitarra ma con risultati non comparabili – ed anche il coro poteva essere utilizzato in maniera molto più efficace (spesso in alcuni pezzi viene poco udito ed in generale poteva certamente essere messo più in risalto), ma la prestazione del gruppo è notevole: Alex Holzwarth alla batteria è una macchina precisissima, Patrice Guers al basso è sontuoso e si muove sul palco con enorme grinta. E il chitarrista, che non conosciamo, chiamato a sostituire le parti di Turilli, dimostra una buona tecnica, anche se la personalità del Luca nazionale è ovviamente su un altro pianeta.
Il pezzo “Symphony Of Enchanted Land”, suite che va a chiudere lo storico omonimo disco, è da pelle d’oca con un’interpretazione magica di Fabio che duetta con la brava Nicoletta Rosellini, la quale sale sul palco regalando un momento dalle forti emozioni.
E non sarà da meno la meravigliosa lenta “Lamento Eroico”, brano sul quale Lione può mostrare la sua pazzesca voce da baritono. Il finale, ovviamente, arriva con “Emerald Sword”, cantata a lungo da tutti i presenti.
Nonostante qualche ombra (anche la breve riproposizione di “We Are the Champions” dei Queen era proprio necessaria?), Fabio Lione ha messo in piedi uno spettacolo di livello. Che goduria riascoltare quelle grandi composizioni, ma che sogno sarebbe rivedere la grande formazione dei Rhapsody, quelli veri, al completo sul palco! 

Ci piange il cuore dover saltare la prestazione degli Iotunn, band di casa che ha catturato molti appassionati grazie ad un paio dischi dal sound personale, ma l’occasione di vedere all’opera la christian metal band THEOCRACY in acustico all’interno della cattedrale di Roskilde è più unica che rara. E l’atmosfera è perfetta quando varchiamo le porte dello storico edificio danese.
Per questo evento l’ingresso era a parte, pagando una cifra di dieci euro, e limitato a centocinquanta persone; ovviamente è andato presto sold-out. La band americana è al completo e per l’occasione sceglie ovviamente una setlist più soft andando a pescare alcuni pezzi che ben si adattano ad una versione acustica. Ci aspettavamo onestamente che il gruppo svolgesse il compitino e per una mezz’oretta suonasse alcuni brani, tenendo le energie per il giorno dopo dove saranno impegnati in elettrico, ma ci sbagliavamo!
I Theocracy hanno messo in piedi un super show dando il massimo e offrendo una prestazione sublime. Brani come “Bethlehem”, “Mountain” e “Mosaic” si prestano ad essere suonati in acustico, ma il lavoro in fase di arrangaimento è stato notevole per riproporre alla grande anche canzoni nella loro versione originale possenti e complesse come “A Tower Of Ashes” e la lunga suite “The Serpent’s Kiss”, ovviamente tagliata in alcuni punti. Insomma tanto lavoro preparatorio per il gruppo americano spinto dall’ugola di Matt Smith, che dimostra di possedere una voce celestiale – ‘un dono che arriva dall’alto’ potremmo quasi dire visto il contesto – e certamente, da convinto credente quel è, il poter esibirsi all’interno di una chiesa gli ha dato una carica ancora più marcata.
Alla fine, seppur leggermente tagliate, saranno ben tredici le canzoni proposte, per quello che rimarrà a tutti gli effetti uno dei ricordi migliori che ci portiamo a casa dal viaggio a Roskilde!

Ed eccoli gli headliner! Gli STRATOVARIUS sono pronti ad incendiare il palco principale con il loro power metal melodico. Se c’è una cosa che rende speciale e unica la band finlandese rispetto ai colleghi, è che ad ogni tour il gruppo capitanato da Timo Kotipelto va a rispolverare qualche vecchio brano che non veniva suonato da un po’. E’ vero che il gruppo può vantare una discografia enorm,e con alcuni dischi storici che sono strapieni di brani indimenticabili, ma comunque non è da tutti.
Anche stavolta gli Stratovarius ci sorprendono, con una partenza decisa sulle note della favolosa “Forever Free” per poi volare nel passato e pescare da “Episode” la velocissima e tagliente “Will The Sun Rise?”, che non sentivamo da decenni, e subito dopo la melodica “Distant Skies”. Quanti ricordi!
Il gruppo è perfetto in sede live; oramai – come ben sa chi ha assistito negli ultimi tempi a qualche esibizione del sestetto scandinavo anche in terra italica – sa quanto la band sia coesa, precisa, impeccabile.Kotipelto negli ultimi tempi non sbaglia un colpo, e anche in questa occasione la sua prestazione vocale è impeccabile.
Tra i brani più recenti affiorano “World On Fire”, “Survive” e “Unbreakable”, tutti acclamati dal pubblico; e, dopo l’immancabile “Black Diamond” e la mastodontica “Visions (Southern Cross)”, che sorpresa ascoltare un pezzo elegante come “Eternity”, anch’esso recuperato da un disco leggendario come “Episode” e in grado di farci riassaporare ciò che era la band a quei tempi, con un suono unico che univa prog e power metal con atmosfere malinconiche tipiche dei freddi paesaggi finlandesi.
Tutti cantano e saltano sulle note finali di “Hunting High And Low”!
nica pecca? Un’ora e venti per un headliner come questo è troppo poco! Strato-sferici!

E’ tempo di MAJESTICA, impegnati sul palco meno capiente. Forti della loro ultima fatica discografica, il recente “Power Train”, Tommy Johansson e soci salgono sul palco per regalarci una prestazione…. un po’ moscia.
Sì, le attese erano elevate, invece i Nostri ci sono sembrati un po’ impacciati, statici, poco grintosi e anche la voce del cantante svedese non è che abbia convinto,. I brani che dovrebbero avere un buon impatto live ne hanno un po’ subito le conseguenze: non che lo show sia stato rovinato, ma non ha certo esaltato le bocche più esperte e delicate.
La partenza con “Power Train” è decisa mentre l’ariosa “Night Time Girl” colpisce con melodie ottantiane. E’ coi pezzi più possenti che forse lo show raggiunge i momenti migliori, vedi “No Pain, No Gain” e l’epica “Alliance Forever”.
Non aiutano certo dei suoni un po’ plastificati, con la doppia cassa che batte forte ma che non si amalgama bene con gli altri strumenti. Tommy non riesce a muoversi agevolmente con la sua voce come si ascolta su disco, probabilmente essere anche impegnato alle sei corde influisce sulla sua prestazione. Tra brani recenti e qualche pezzo dal passato, lo show scorre comunque con piacere.

Torniamo al palco principale perchè è tempo di heavy metal classico con ROSS THE BOSS ed una setlist interamente dedicata all’era Manowar (ovviamente) ed in particolare al disco “Sign Of The Hammer”.
Ross, chitarrista originale e songwriter che ha scritto buona parte degli inni della storica band di New York, è una sicurezza, e stavolta abbiamo trovato la band ancora più carica che in passato. In particolare, ci ha convinti tantissimo il cantate Marc Lopes, capace sempre di portare gran carica sul palco, ma che stavolta si è superato anche a livello vocale.
I suoi urli hanno fatto tremare lo scenario durante pezzi come “Blood Of The Kings” che ha aperto le danze, “Blood of My Enemies” e “Kings Of Metal”. Al basso troviamo un’altra conoscienza del power metal europeo, il bravo Dirk Schlächter (Gamma Ray) in grado di svolgere bene il suo arduo lavoro nel ‘sostituire’ Joey DeMaio, anche se (soprattutto) la presenza scenica non è la stessa.
Ross invece, nonostante l’età e la forma fisica che non lascia dubbi sulla data anagrafica, è il classico leader che anche sul palco si fa sentire, soprattutto con l’epicità esplosiva di “Thor”, la quale è davvero da esaltazione pura, mentre la potenza di “All Men Play on 10” scatena ovunque un headbanging massiccio.
E che classe per brani come “Mountains” e “Guyana”, canzoni che è davvero difficile ascoltare riproposte live anche dagli stessi Manowar.
La chiusura arriva con autentici inni come “Battle Hymn”, “Fighting The World” e “Hail And Kill”. Ci aspettavamo uno show super coinvolgente di puro heavy metal dalle tinte epiche, con pochi fronzoli, e così è stato grazie anche ad una setlist spettacolare!

Non certo un entrata ad effetto per gli INSANIA; per loro lo show è previsto a mezzanotte e mezza e bisogna ammettere che i presenti non erano più di trecento persone.
Per noi però si tratta di una delle band più attese di tutto il festival.
Il loro disco “Sunrise In Riverland” del 2001 è un classico del power metal melodico e vedere la band dal vivo è un evento molto raro: in effetti, il gruppo finlandese non si esibiva da oltre dieci anni!
Qualche cambio di formazione anche recente ci porta a trovare la band senza le tastiere, strumento piuttosto importante per il sound degli Insania; anche qui, come per Fabio Lione, sarà la chitarra a sostituire le parti soliste.
Ma nonostante uno show che non sarà per nulla perfetto, la performance degli Insania rimane nei nostri cuori proprio per l’atmosfera intima e amichevole che si è creata. Dal disco più recente, edito da Frontiers, “V – Praeparatus Supervivet”, vengono pescate l’ottima power song “Praeparatus Supervivet” e la più melodica “Moonlight Shadow” e trova spazio anche qualche anticipazione dal nuovo disco in uscita nei prossimi mesi con la buona “Revolution”, già rilasciata con un video su YouTube, e l’inedita “The Trinity”.
Ola Halén si impegna alla voce e come seconda chitarra con anche qualche assolo: la sua prestazione è positiva, anche se talvolta si emoziona visto il calore che arriva forte da alcuni fan provenienti da Giappone, Brasile e da altre parti del mondo, tanto da mostrare gli occhi lucidi ed in un paio di occasioni faticare nel continuare nel canto. Non possiamo definire Ola un cantante ultratecnico, ma la sua voce squillante ed il cuore che ci ha messo bastano e avanzano per rendere lo show speciale.
E’ una sorpresa ascoltare la title-track del primo disco della band, quel “World Of Ice” ricco di tanti ottimi spunti ma un po’ carente nella produzione, mentre dal loro lavoro più rappresentativo invece ecco arrivare la meravigliosa “The Land Of The Wintersun” autentico inno power metal e “Heaven Or Hell”.
I due membri storici Mikko Korsbäck e Niklas Dahlin sono l’anima della band: il primo in particolare dimostra grande energia e precisione dietro la batteria, trasmettendo carica ai presenti. Erik Arkö invece, nuovo ingresso al basso, corre avanti e indietro per il palco con una dedizione lodevole.
Nel finale arriva “Gift Of Life” con i suoi coretti che il pubblico canta con passione. Uno show intenso e ricco di emozioni per gli Insania, in attesa del nuovo disco in studio.

SABATO 5 APRILE

Recuperate le energie grazie ad una lunga e meritata dormita, era d’obbligo dirigersi verso il centro del paese per scoprire un po’ la vita di Rolskilde. Incontriamo un bel mercato mattutino con dei banchi di vario tipo (cibo e vestiario, principalmente) nella piazza della cattedrale, poi il tempo di un panino ed è già ora di correre verso il Convention Center.
Era da tempo che i PAGAN’S MIND non si facevano vivi, se si escludono un paio di apparizioni lo scorso anno.
Ma ritrovare sul palco questo gruppo, che una ventina di anni fa aveva portato in alto il power-prog metal con un sound parecchio personale, è sicuramente un buon motivo per presentarsi alle 14 precise alla Kings Hall per vedere all’opera il gruppo norvegese.
Il sound è eccelso, ma dopotutto parliamo di musicisti che sono esempi di tecnica sopraffina, quindi non ci sorprende affatto ascoltare dei suoni limpidi ma altrettanto possenti.
I Nostri, anche su disco, ci hanno abituati a chitarre molto corpose, con i riff tritacarne suonati da Jørn Viggo Lofstad, chitarrista di carattere. Anche dal vivo non indietreggiano di un passo, con il cantante Nils K. Rue che dimostra tutte le sue doti canore ed una voce da sempre molto personale, capace di alzarsi su note molto elevate senza perdere in potenza.
Certo, la pecca forse dei Pagan’s Mind è risultare un po’ freddi: tutto viene eseguito alla perfezione, ma forse sarebbe servita un po’ di attitudine in più, invece la band è un po’ statica anche se appunto il cantante scandinavo prova, a tratti e con buoni risultati, ad aizzare la folla.
Gli stessi brani, pur con delle chicche di enorme fattura, risultano un po’ distaccati, anche per i suoni delle tastiere di Ronny Tegner, di chiaro stampo nordico. Ma la scintilla arriva – eccome se arriva – con la favolosa “United Alliance”, compatta e grintosa, l’estroversa “Enigmatic Calling”, il tocco moderno di “Intermission”, e poi il favoloso finale con l’imprescindibile ed intricata “Through Osiris’ Eyes”, pezzo maestoso che apriva il grande disco “Celestial Entrance”.
Fa piacere rivedere i Pagan’s Mind, lo fa ancor più ritrovarli in una forma strepitosa e invariata, dopo tanti anni. Ora non resta che attendere qualche annuncio sperando in un nuovo disco molto presto.

La partenza di questo sabato è davvero mozzafiato, non c’è tempo neppure di respirare un attimo che bisogna scattare verso la King Roar’s Hall e passare al secondo scenario, dove ci sono i grandi ed attesissimi padroni di casa.
Una band dall’eleganza straordinaria che è stata capace di scrivere un pezzo di storia del metallo più barocco, raffinato ed elegante; parliamo dei ROYAL HUNT, che promettono di suonare una setlist speciale andando a riproporre “Paradox”, il loro disco più storico, nella sua interezza.
Arriviamo giusti per l’inizio ma veniamo subito sorpresi e al contempo delusi nel constatare che DC Cooper, leggendario cantante americano della band, nonché voce presente in quella storica release, non è presente in sala. Al suo posto, al centro del palco, riconosciamo immediatamente la figura più minuta e forse un po’ più stravagante (con delle scarpette stile sneakers piene di brillantini e durante il meet&greet con degli stivaloni leopardati) di Mark Boals (ex membro della band di Malmsteen, già presente nella formazione danese in passato e recuperato per l’occasione, oltre che per le successive date in Giappone).
Effettivamente ci vuole un po’ per mandare giù questo boccone amaro, il tempo necessario di ascoltare i quattro pezzi iniziali pescati un po’ in giro dalla lunga discografia del gruppo e tra i quali spiccano “Flight” dal datato “Land Of Broken Hearts” e “Half Past Loneliness”, splendido brano pescato da “ Show Me How to Live”.
Le cose cambiano quando sono le note iniziali dell’introduzione di “Paradox” a prendere la scena: si entra in un vortice veramente straordinario a cui è difficile resistere. I suoni sono davvero perfetti, così come la prestazione vocale di Mark e di tutta la band è di altissimo livello; il mastermind Andrè Anderson, con la sua figura mastodontica, guida i compagni dall’alto delle sue tastiere, e ogni tanto si permette anche di interloquire con il pubblico.
Inoltre, Jonas Larsen alla chitarra mostra grande disinvoltura ed enorme tecnica e riproduce alla perfezione ogni assolo presente su disco e, assieme al compagno e bassista Andreas Passmark, corre per il palco trasmettendo enorme carica.
Ovviamente molte delle attenzioni si concentrano verso il cantante – che ripete due o tre volte di essere arrivato direttamente da Las Vegas – il quale, pur con un timbro diverso rispetto a quanto siamo abituati a sentire in questo gruppo, riesce a portare a casa una prestazione di notevole fattura; la sua ugola più squillante può espandersi su acuti maggiormente duraturi, ma manca certamente di un pizzico di emotività che il collega Cooper sa trasmettere con la sua voce più piena ed espressiva.
Nel complesso, anche se resta un po’ di delusione, non possiamo che promuovere la band: essa, passando per la meravigliosa “Tearing Down the World”, con le sue tastiere solenni, la magica lenta “Long Way Home” e la straordinaria “Time Will Tell”, riesce a sigillare uno show di altissimo livello, salutando il pubblico tra i forti applausi dei presenti.

Con ancora tantissima adrenalina in corpo si torna al main stage per quello che per chi scrive e per molti di presenti è lo show più atteso della giornata, visto che a salire sul palco si prepara un’autentica leggenda del metal classico americano, i CRIMSON GLORY!
La band torna in Europa dopo vari passaggi recenti – lo scorso autunno con i concerti in Germania e di recente con la calata in Grecia, andando a toccare anche altre zone (ma purtroppo senza ancora nessuna data in Italia): stavolta si concentreranno su questo festival e, il giorno successivo, su una data in Polonia.
La band è rinata con l’ingresso di Travis Wills, cantante strepitoso, le cui capacità abbiamo cavuto modo di constatare proprio lo scorso anno al Keep It True Rising di Wurzburg, dove la band ha messo a ferro e fuoco lo scenario. Qui il pubblico è certamente meno ‘true’ e più power,ma il gruppo sale sul palco carico come sempre, pronto a deliziare i presenti con i brani storici contenuti nei due dischi leggendari della band: “Crimson Glory” e “Transcendence”.
Anche stavolta i nostri riescono a colpire con una prestazione speciale, che per certi versi si ricollega a quella in terra tedesca: anche qui ci sono voluti quei due pezzi iniziali per carburare, visti i suoni all’inizio non perfetti anche per le spie del gruppo, ma basta poco perché le cose si rimettano a posto e tutto riprenda alla grande.
L’atmosfera non è paragonabile a quella di Ottobre, dove il pubblico era davvero lì quasi solo per loro, ma i presenti sono comunque numerosi e si fanno sentire.
Ovviamente a fare la differenza sono brani veramente irresistibili che accendono tutti i presenti, come la favolosa “Lady Of Winter” e “Where Dragons Rule”, ma ogni brano pescato da quei dischi è un autentico capolavoro.
Travis sbaglia l’attacco di “Azrael”, ma sono piccole sottigliezze sulle quali si può sicuramente soprassedere, visto che nel complesso lo show è davvero di notevole fattura. Ben Jackson e Mark Borgmeyer, i due chitarristi, hanno una presenza sul palco davvero notevole, e anche se la band stasera si esibisce senza le maschere stilizzate che avevano indossato ultimamente, lo spettacolo è di altissimo livello.
“Lost Reflection” è da pelle d’oca, vista l’interpretazione teatrale di Wills che non può che ricordare il grande e compianto Midnight, storica voce della band, ed il finale con l’accoppiata “Lonely” e “Red Sharks” è da tripudio.
Una band di livello superiore che attendiamo con il nuovo disco e con una data nella nostra penisola, ancora segreta ma che sembra confermata per il prossimo anno, come ci ha sussurrato nell’orecchio un membro della band.

Nonostante sullo stage secondario siano impegnati i nostri Naonowar Of Steel, che per il pubblico italiano è facile incontrare in qualche modo anche a casa, decidiamo di passare al terzo stage dove sono impegnate le formazioni meno famose, anche se l’organizzazione ha fatto le cose in grande ed il programma prevede la presenza di alcune chicche notevoli per gli appassionati.
Come, in questo caso, gli SHADOWSTRIKE, gruppo arrivato dagli Stati Uniti per deliziare i fanatici del power metal più puro. E non a caso troviamo una venue molto piena e coinvolta nel accompagnare il gruppo americano, con alcuni componenti di chiare origini sudamericane (ed il chitarrista che sfoggia una t-shirt degli Aquaria, band brasiliana di culto).
Il loro power metal di scuola europea miscela a dovere passaggi alla Dragonforce e a Stratovarius di “Episode” con momenti più rhapsodiani, quelli da chitarre fumanti e doppia cassa che corre senza sosta.
Il cantante forse non regala una prestazione indimenticabile e probabilmente manca un po’ di varietà nel songwriting, ma l’impatto con il pubblico è comunque ottimo. Ci sono le tastiere che vengono utilizzate bene anche con degli assoli imponenti, ma sono soprattutto le chitarre a viaggiare spedite creando un bel muro sonoro.
La band promette di tornare in Europa ben presto regalando altri show ai propri calorosi fan: diciamo che le potenzialità ci sono, bisognerà vedere se sapranno sfruttarle al meglio.

Torniamo verso l’headquarter del festival visto che nel palco principale sono attesissimi gli headliner, che sanno ‘di casa’ per noi, visto che arrivano dalla Toscana: parliamo dei WIND ROSE!
La band italiana, lanciata ormai alle stelle, è pronta ad incendiare il festival con il proprio spettacolo costruito su brani diretti di power-folk metal tutto da cantare. Forse, rispetto allo show degli Stratovarius, la presenza di pubblico è leggermente inferiore, ma i presenti sono carichi a molla e molto coinvolti; cantano e si lasciano andare su brani costruiti apposta dalla band pisana per creare subito una forte connessione sopra e sotto il palco.
Una carica che i discendenti di stirpe nanica (almeno, stando all’iconografia con cui si presentano) dimostrano di possedere, in particolare con il loro leader Francesco Cavalieri, ottimo frontman e mattatore di pubblico, che li esalta con cori e applausi.
Si innalzano anche le asce (ovviamente di plastica!) al cielo per entrare nella giusta atmosfera fantasy: l’adrenalina non cala mai, durante una setlist che parte forte con la massiccia “Dance Of The Axes”, pezzo pescato dall’ultimo disco “Trollslayer”, per poi continuare con degli inni tutti da cantare saltellando come dei pazzi scatenati, che sia sulle note della possente “Fellows Of The Hammer”, dell’immancabile “Diggy Diggy Hole” o della super hit “Rock And Stone”, alla quale è davvero arduo resistere.
Cori sempre massicci irrompono anche nel brano di chiusura, “I Am The Mountain”, il quale mette fine ad uno show granitico e coinvolgente: esattamente quanto ci aspettavamo da una band amatissima dal pubblico, e che è ormai una sicurezza in sede live!

Abbiamo assistito il giorno precedente alla versione acustica dei THEOCRACY – un’esperienza, come già scritto, che i presenti ricorderanno per lungo tempo- ma vedere all’opera la band americana nel suo classico repertorio elettrico è altrettanto meritevole.
Ci vogliono un paio di canzoni per scaldarsi e trovare i suoni e l’alchimia perfetti, poi il gruppo mette in piedi una setlist interessante, con brani sì più powereggianti ma sempre con la solita classe ed eleganza che li contraddistingue.
Dal vivo i Theocracy si dimostrano preparati e in grado di creare un buon rapporto con il pubblico; forse sono solamente un pizzico di grinta e potenza a mancare, e la stessa voce di Matt Smith, che sembra uscita veramente dal paradiso, pura e candida, a volte avrebbe bisogno di un filino di aggressività in più.
Si tratta ovviamente di pignolerie, perchè per il resto lo show è di livello elevato e brani terremotanti come “Sinsidious”, estratta dall’omonimo disco di debutto, e la diretta “Master Storyteller”, mostrano subito i muscoli con riff possenti e aperture melodiche che conquistano.
Il chitarrista Taylor Washington, entrato in formazione solamente da un paio di anni, si dimostra perfetto braccio destro per Matt grazie ad una tecnica invidiabile e ad un buon impatto live. Il resto della band risulta invece un po’ statica, ma ci pensa il bravo Smith a scaldare gli animi, arrivati forse un po’ provati alla fine, quasi, di due giornate veramente intense.
“Return To Dust”, presa dall’ultimo lavoro in studio (“Mosaic” del 2023), ha un ritornello irresistibile che fa cantare un po’ tutti, così come la prorompente “30 Pieces of Silver”.
I Theocracy nei loro brani possono inserire passaggi di chitarra quasi thrash e momenti più soft e celestiali, dove prende il proscenio la voce angelica di Matt, ma uno dei momenti migliori dello show arriva con la riproposizione della title-track dell’ultimo disco, un brano elegante capace di mettere in risalto il meglio delle caratteristiche della band di Atlanta.
L’immancabile “I Am” si dispiega tra cori che si intrecciano lungo gli undici minuti, e la chiusura arriva con la possente “Laying The Demon To Rest” per una setlist che va anche oltre l’orario previsto, per la gioia dei tanti fan accorsi!

Ci avviciniamo agli ultimi sgoccioli dell’evento entrando nella hall principale, dove sono impegnati i FELLOWSHIP, con il loro power metal fatato che sta attirando sempre più consensi tra gli amanti di queste sonorità.
Vestiti da personaggi fantasy – ma che meriterebbero maggior attenzione nei dettagli – con la loro musica valorosa e pimpante , anche se forse fin troppo ariosa, i membri del gruppo inglese mettono in campo una prestazione difficilmente criticabile e il pubblico, seppur non numerosissimo, apprezza.
Il power metal spensierato dei nostri si apre sulle note di “Glory Days” presa dal debutto “The Saberlight Chronicles”, disco che viene riproposto quasi nella sua interezza. In effetti, le sonorità contenute nell’esordio possono essere inquadrate maggiormente nel power metal europeo più classico (Stratovarius, Edguy), mentre nel lavoro più recente “The Skies Above Eternity” troviamo influenze più moderne. Da quest’ultimo vengono estratte l’avvolgente “The Bitter Winds” e la spettacolare “Victim”, capace di conquistare con un gran refrain.
Nel finale trovano spazio la velocissima “Oak And Ash”, con le chitarre che viaggiano alla velocità della luce, e la fastosa “Glint”
Forse manca un filino di carica sul palco da parte dei Fellowship, i quali però convincono con uno show vivace e brani ricchi di carica; con una nota di merito in particolare alla voce limpida del bravo cantante Matthew Corry, capace di elevarsi su note alte con destrezza.
Una band in forte ascesa, molto giovane, ma la sensazione è che il gruppo possa ancora crescere in futuro, curando maggiormente i costumi di scena e miscelando bene il lato fantasy con quello più classico del power metal melodico.

Sono le 00.30 ma c’è ancora spazio per una band, e tocca ai JUDICATOR, cult band arrivata dagli States (e più precisamente da Salt Lake City) per questo show esclusivo a chiudere quest’edizione del festival.
Il vibrante e scatenato cantante e leader della band John Yelland trasmette energia da vendere, ed è supportato da chitarre che scorrono veloci, una batteria aggressiva e pimpante ed un sound compatto e possente.
I Nostri sono carichi e determinati nel far bella figura davanti ai fan europei, e d’altronde questo festival è davvero un’occasione ghiotta: “Call Us Out Of Slumber” apre lo show con energia, pescata dal nuovo album pubblicato da poche settimane e intitolato “Concord”. Se su disco il gruppo sembra prendere molto dai gruppi tedeschi come Blind Guardian e Brainstorm, forse dal vivo non riesce a trasmettere la stessa energia, lo stesso sound possente.
Ma la dedizione c’è, eccome: i momenti migliori arrivano con la potente ed epica “Gloria” e la letale “King Of Rome” a chiudere lo show. I Judicator – nonostante ben sette dischi alle spalle – non possono ancora vantare una setlist avvincente, con tante hit da sparare una dopo l’altra, ma la loro dedizione è lampante ed in grado di portare a casa tutto sommato una performance positiva.

Si chiude così, tra gli applausi e i tanti volti soddisfatti, questa terza edizione dell’Epic Fest. Il quarto capitolo è già in cantiere – fissato per il 10 e 11 aprile 2026 – e promette scintille, come anticipato dalla locandina fatta girare durante l’ultima serata, nel quale vengono già confermate alcune band di tutto rispetto e che potete vedere qui sotto. Per il bill definitivo ci sarà da aspettare ancora un po’, ma le attese sono già elevate!

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