Report a cura di William Crippa
20 novembre, stasera c’è il derby di Milano, ma a noi la cosa non interessa minimamente; all’Alcatraz tornano gli Europe per un concerto speciale a celebrazione del trentennale di “The Final Countdown”, concerto sold out da giorni tra l’altro. L’incognita è rappresentata dalla setlist già nota, con la band che prima di eseguire per intero questo album ne proporrà un altro, l’ultimo “War Of Kings”, completamente differente per stile dal grande successo commerciale targato 1986. Appena arrivati di fronte al locale si concretizza la nostra maggiore paura: quello che abbiamo di fronte in fila ordinata che attende di entrare non è il pubblico di un concerto rock; vediamo coppie cinquantenni in giacca e tailleur, personaggi con taglio di capelli alla Bersani con tanto di marsupio di ordinanza, sessantenni isolati, tranquilli genitori di famiglia con il maglioncino a quadrettoni, milf da discoteca latina, impiegati bancari medi e qualche singolo metallaro ininfluente qua e là. Sinceramente sembra di stare tra il pubblico dei Pooh. L’idea che molti tra coloro che sono in coda fuori dalla discoteca siano qui solamente per “The Final Countdown”, o addirittura solo per la sua manciata di singoli famosi, è spaventosa. Cosa accadrà durante l’esecuzione di “War Of Kings”? Andiamo a seguire l’andamento della serata nel dettaglio.
TAX THE HEAT
Ad aprire la serata un quartetto inglese, i Tax The Heat, che in primavera hanno debuttato sugli scaffali nientemeno che per Nuclear Blast con “Fed To The Lions”. La proposta dei quattro di Bristol è basata su un rock blueseggiante decisamente vintage, che spesso e volentieri sconfina nel beat degli anni d’oro, e la tenuta da palco, così come l’atteggiamento generale, sono decisamente in linea. Definire schiettamente mosci i Tax The Heat potrebbe apparire semplicistico e poco professionale, ma tant’è, questo sono i Tax The Heat, mosci. Molti sono coloro tra il pubblico che applaudono, ma anche un non esperto riconoscerebbe applausi tributati solo per educazione, decisamente diversi da quelli più convinti meritati per una prestazione degna. Ben dieci noiosissime canzoni per il set di apertura, dieci canzoni che non lasciano traccia già pochi secondi dopo essere terminate. Da rivedere completamente l’attitudine.
EUROPE
Dopo un rapido cambio di palco, ecco scendere le luci per fare svettare maggiormente i due enormi ledwall allestiti alle spalle del palco. Sugli schermi cominciano a scorrere immagini storiche della band ed un messaggio informa il pubblico che questa sera verrà celebrato “The Final Countdown” in occasione del trentennale dall’uscita, ma prima… l’intera esperienza di “War Of Kings”. Il pubblico, che ovviamente per la maggior parte non sa neppure dell’esistenza di quest’ultimo disco, applaude non capendo, ma prontamente si ammutolisce quando gli Europe escono sulle assi dell’Alcatraz eseguendo la potentissima “Hole In My Pocket”; la band appare da subito in grandissima forma, anche Joey, dimagrito rispetto all’ultima calata italica e molto più dinamico. “The Second Day” e “Praise You” lasciano per un attimo il piede dall’acceleratore per creare una magica atmosfera blueseggiante, prima dell’intrigante “Nothin’ To Ya” e della morbida “California 405”. Ci guardiamo attorno, e l’impressione desolante che nessuno tra coloro che ci circonda abbia mai ascoltato le canzoni proposte si fa sempre più concreta, con gente distratta che guarda il cellulare, che va a bere, a fumare o si disinteressa completamente dello show in corso. La splendida “Angels (With Broken Hearts)”, supportata da un grande gioco di luci è davvero suggestiva e spezza completamente con la seguente, più vitale, “Days Of Rock ‘N’ Roll”. L’oscura “Children Of The Mind” nella sua esecuzione dal vivo è ancora più sabbathiana, ed accoppiata all’esotica “Rainbow Bridge” svetta ancora più nella sua cupezza. Tocca a John Norum mettersi in luce, con la splendida strumentale “Vasastan”, prima che “Light It Up”, piacevolissima, porti alla conclusione della prima parte dello show, con quella “War Of Kings” che con la sua maestosità avrebbe dovuto aprirlo. Gli Europe scendono dal palco e le luci si abbassano, mentre sugli schermi scorrono i titoli degli album che gli Europe hanno realizzato nel corso degli anni, fino ad arrivare a “The Final Countdown”. Il pubblico, inesistente fino ad ora, si sveglia all’improvviso con le prime note di tastiera della title track, e gli Europe risalgono sulle assi del locale in un tripudio di urla ed applausi. “Rock The Night” è grandiosa, con il coro ‘uoooo uoooo’ cantato da tutto l’Alcatraz. È il turno di “Carrie”, che la venue mostra di conoscere a memoria, per un momento davvero speciale. E poi tutto finisce. “Danger On The Track” viene seguita con interesse, ma si torna all’effetto “War Of Kings” già con “Ninja”, con la maggior parte dei presenti nuovamente ammutolita. Qualcuno canta “Cherokee”, ma da “Night Has Come” in poi è nuovamente buio pesto; “The Final Countdown”, “Rock The Night” e “Carrie”, ecco cosa la gente è venuta a sentire, un sold out che sa di beffa. “Heart Of Stone”, “On The Loose” e “Love Chaser” scorrono veloci e portano ad un finale rivitalizzato unicamente dalla riproposizione dell’ultimo ritornello di “The Final Countdown”. Considerazioni personali di chi vi scrive: mentre usciamo ripensiamo alle bestemmie musicali ascoltate stasera tra chi stava accanto a noi: ‘Ma non le hanno ancora messe le sedie? Mica dovremo stare in piedi?’, udita all’ingresso da una signora sulla sessantina, e poi ‘Ma non la fanno “The Final Countdown”?’, ‘Magari dopo’, tra una coppia sulla quarantina durante il set dei Tax The Heat, ed ancora ‘Ah, ma sono quelli di prima!’ con gli Europe che tornavano sul palco per la seconda parte dello show. E questo è un peccato; abbiamo assistito questa sera ad un concerto strepitoso, con gli Europe che hanno dato l’anima ed hanno suonato alla grande durante tutto il “War Of Kings” set per non ricevere praticamente nulla in cambio dal pubblico, salvo poi essere acclamati per sole tre canzoni. Ancora una volta schifati dal pubblico in stile ‘Matricole & Meteore’ che ogni volta troviamo ai concerti della band di Joey Tempest. Almeno stavolta nessuno ha chiesto ‘Ma non la fanno “War Boy” (ovvero “The Wild Boys”)?’ ‘No, quelli sono i Duran Duran.’, sentita durante il tour precedente, ma è una consolazione lieve.