Berlino è famosa e ben conosciuta per la techno, per il clima ultraliberale che si respira, per l’infinita diversità dei suoi abitanti ma, sfortunatamente, non per la sua scena progressive metal, nello specifico; proprio per questo motivo siamo stati più che felici di goderci un concerto in grado di portare una ventata di aria fresca in una città tanto aperta quanto, a volte, stantia e ripetitiva dal punto di vista musicale. Aggiungiamoci anche che le due band di apertura sono entrambi nomi in ascesa del panorama italiano e possiamo facilmente capire che la motivazione per attendere l’evento era decisamente forte.
La location scelta per il concerto è quella del Lido Berlin, locale molto vicino al mondo alternativo e frequentato tanto dai metallari di lunga data quanto dai kinkster più fomentati; sfortunatamente, la sala dedicata al concerto è stata la minore, dotata di un audio di certo non ottimale e in grado di contenere ampiamente il numero – ahimè, piuttosto ristretto – di fan che hanno acquistato il biglietto per il concerto.
In ogni caso, la pioggia battente, l’audio mediocre e la birra da sei euro (una vera e propria bestemmia, questa, in terra teutonica) non hanno fermato i progster berlinesi dal godersi una bella serata all’insegna della buona musica.
Sono le 19:30 spaccate quando la sette corde rosso fiammeggiante di Valerio Æsir Villa appare troneggiante, in attesa che il resto dei VIRTUAL SYMMETRY possano prendere posto sul palco del Lido, per inaugurare in una serata all’insegna del sano prog metal.
Il batterista Andrea Gianangeli apre le danze accompagnando con la sua cassa il maestoso intro strumentale che esplode nell’intro di “Heart’s Resonance”, presa direttamente dal nuovo album che verrà presentato al grande pubblico nei prossimi giorni.
L’impatto sonoro generato dalla band è decisamente ottimo e, nonostante l’acustica della sala non fosse d’aiuto, la fanbase reagisce molto bene alla voce di Marco Pastorino che ripropone pezzi celebri come “The Paradise Of Lies” o “Exodus” in una scaletta breve ma affilata e ben strutturata, capace di mettere in mostra i Virtual Symmetry che erano, quelli che sono e, in un paio di brani, quelli che devono ancora venire.
L’influenza del progressive metal dei Dream Theater è palese nei suoni di tastiera, negli unisoni di basso e chitarra e, soprattutto, nei soli del fondatore Valerio Villa che non lesina di certo sul virtuosismo, bilanciando corse al fulmicotone con aperture melodiche e cantabili, regalando – soprattutto ai fan della sei corde – un paio di robusti orgasmi uditivi decisamente a segno.
La bella performance degli italiani si chiude con “Come Alive”, uno dei brani più iconici del quintetto che mette il punto ad un aperitivo di tutto rispetto, in grado di scaldare la capitale teutonica in vista della portata principale.
La testa rasata, la lunga barba e i caratteristici occhialetti di Gabriele ‘Rusty’ Rustichelli sono la cosa che colpisce maggiormente la folla di metalheads, mano a mano crescente, sotto al palco dei KLOGR, la seconda band – anche essa battente bandiera tricolore – che si appresta a tenere caldo il fuoco avviato dai Virtual Symmetry.
I Nostri propongono un alternative metal che si tinge di progressive in alcuni passaggi ed è sostenuto da una voce pulita ma raschiata, una sezione ritmica martellante e chitarre dai riff robusti e rocciosi.
La scaletta della band regala al pubblico un quarantacinque minuti di buon metal, alternandosi su pezzi come “Hysterical Blindness” che fa da apripista, passando per “Face The Unknown” o la bellissima “Gravity Of Fear”, entrambi prese dall’ultimo album.
Gli italiani sanno tenere il palco, si muovono bene e coinvolgono la folla in un concerto che diventa un tutt’uno con un pubblico desideroso di restituire tanta dell’energia sprigionata dalla band. Il livello qualitativo è alto sotto ogni punto di vista, e gli italiani non faticano a mostrarsi come una compagine solida e dotata di una maturità musicale e sonora da far invidia a nomi ben più noti del panorama europeo.
La seconda parte della serata termina con “Guinea Pigs”, brano dal forte stampo ambientalista tratto dall’album “Till You Turn”. L’ultima traccia proposta dai Klogr apre con un accattivante giro di basso e si sviluppa in un ritornello che suona come un pugno in faccia, soprattutto se accompagnato dal video del brano, il quale mostra la brutale mattanza di balene e altri animali perpetrata giornalmente da pescatori.
I veri protagonisti della serata, gli EVERGREY, si presentano a luci spente, dopo un cambio palco che – ad opinione di chi scrive – ha richiesto molto più del dovuto.
La formazione del quintetto sul palco risulta un po’ compressa, con il batterista costretto a guardare dirimpetto il tastierista a causa dello spazio ridotto e gli altri musicisti dotati di scarsa mobilità a causa del poco spazio che li separa. La sala concessa alla band è infatti la più piccola dell’intera location berlinese, che in verità contiene un numero di fan decisamente al di sotto di quelli necessari per portare a casa un sonoro sold-out.
La scaletta presentata contiene solo cinque brani del nuovo “Theories Of Emptiness”, come la bellissima “Falling From The Sun”, in vetta alla lista quasi a seguire i dettami di Spotify, oppure la quantomai aggressiva e raschiante “Say”, su cui il cantante ha la possibilità di mettere in mostra il suo lato più melodico, specialmente sul ritornello.
Il resto del concerto è totalmente dedicato alle glorie del passato come la attesissima (e cantatissima) “Call Out The Dark”, oppure altri marchi di fabbrica come “Midwinter Calls” e “Save Us”. La scaletta viene eseguita da cima a fondo senza particolari interruzioni o scambi con il pubblico, se si esclude un veloce e tagliente solo di batteria che ha più il ruolo di incipit per aprire il brano “One Heart”, per finire con il classico lancio di plettri e saluto ai fan che avviene a luci accese, senza nemmeno un flebile tentativo di encore richiamati dalle grida dei fan.
Un concerto, quello degli Evergrey, che potremmo definire senza infamia e senza lode: correttamente eseguito in maniera soddisfacente, puntuale ma – lasciatecelo dire – un po’ asettico.
Comprendiamo il calo motivazionale che si potrebbe presentare alla ventesima tappa di un lungo tour europeo, comprendiamo che suonare davanti ad una sala piena solo a metà non fa di certo salire i livelli di serotonina, però, da una band del genere ci si aspettava sinceramente di più e si torna a casa molto più soddisfatti dai gruppi di apertura che dai protagonisti della serata.