Il primo tour europeo degli Evoken di supporto all’ultimo, eccellente, “Atra Mors” è sicuramente un evento di per sè favoloso per tutti gli amanti del doom-death metal più ricercato. Se poi si tiene conto che il ruolo di supporter nelle date è assegnato ad Ophis ed Evadne, due più che convincenti realtà europee, allora l’appuntamento diventa proprio imperdibile. Metalitalia.com si reca alla tappa londinese del tour, alla quale sono stati confermati persino gli Indesinence, giusto per non farsi mancare davvero nulla! Il Boston Arms, locale un po’ defilato rispetto alle più note venue della capitale, accoglie soltanto circa un centinaio di doom maniac in una domenica in cui molti “metallari” locali si trovano oltre manica per godersi l’Hellfest. Una cornice dunque piuttosto intima, che tuttavia sembra quasi agevolare il compito delle band, che di certo non brillano per presenza scenica ed esuberanza…
EVADNE
La serata è aperta dagli iberici Evadne, che con spiccate influenze My Dying Bride, primi The Gathering e Katatonia si rivelano immediatamente il gruppo più arioso del lotto. Il quintetto pare puntare molto sulla dimensione live, tanto che è già stato visto in tour in Europa solo un paio di mesi fa, tuttavia questa sera i Nostri sembrano comunque vagamente intimiditi dal trovarsi su un palco. Il gruppo suona immobile, accennando soltanto un po’ di headbanging ogni tanto, mentre il frontman Albert a tratti pare affidarsi a delle basi per le parti in pulito. In effetti, i suoni non sono molto ben calibrati in questo momento, quindi si fa fatica a capire alla perfezione che cosa stia accadendo sul palco. In ogni caso, almeno sotto il profilo musicale, la formazione di Valencia dimostra di saperci fare: l’ultimo “The Shortest Way” ha raccolto ampi consensi negli ambienti doom e si capisce il perchè ascoltando queste trame eleganti ma mai tronfie, nelle quali emerge sia la grande competenza dei ragazzi, che la loro innata passione per queste sonorità. Ci è quasi sembrato di fare un salto nel tempo e di tornare al 1996!
OPHIS
Dopo il discreto set degli Evadne, si sale prepotentemente di livello con l’arrivo degli Ophis, che danno subito prova di essere uno dei migliori gruppi in circolazione in questo campo. Basterebbe la qualità dei brani di “Stream Of Misery” e di “Withered Shades” (più quella di un notevole inedito suonato in chiusura) per decretare la superiorità dei tedeschi sugli Evadne, ma il quartetto non si siede sugli allori, decidendo di interpretare il concerto con grande vigore. Il chitarrista/cantante Philipp Kruppa appare in gran forma, ma è l’intera band a girare alla perfezione, con il batterista Nils Groth peraltro impegnato anche alle backing vocals. L’amalgama di old school death metal, doom e tentazioni funeral dei Nostri si schiude davanti ai presenti in tutta la sua imponenza, innescando ondate di headbanging e di ogni genere di moto di approvazione. Anche dal vivo, gli Ophis dimostrano come si possa suonare musica cupa e deprimente senza rinunciare a brio e dinamismo. Avremmo goduto nel vederli all’opera su un minutaggio più consistente, ma anche con una mezzora abbondante il biglietto da visita viene recapitato con successo. D’altronde, anche i suoni ora fanno la loro parte, con un bilanciamento più equo fra tutti gli strumenti che esalta l’impatto del quartetto.
INDESINENCE
Nonostante denuncino alcuni problemi tecnici, gli Indesinence di Ilia Rodriguez riescono ad ottenere i soliti grandi consensi in questa serata come supporto diretto degli Evoken. Si tratta del primo show con il nuovo batterista Paul Westwood (Fen, Skaldic Curse), ma, almeno a livello esecutivo, tutto va per il meglio per il quartetto, che decide di puntare sul proprio materiale più death metal-oriented e di dar vita ad una performance che smuova definitivamente i presenti. La doppia cassa e i riff più taglienti del repertorio diventano i protagonisti del set, con Rodriguez che ovviamente non tiene a freno il suo ormai tipico trasporto nel suonare e nell’incitare l’audience. Diciamo che, rispetto agli Ophis, i Nostri questa sera appaiono un po’ meno compatti e impattanti, ma vanno appunto considerate sia la relativa inesperienza della nuova lineup, sia le suddette difficoltà tecniche, che impongono al gruppo di prendersi pause più lunghe del solito tra una canzone e l’altra, cosa che va a colpire l’atmosfera sin lì venutasi a creare durante l’esecuzione. Poco male, comunque… in tanti sono qui per gli Indesinence e sembra proprio che nessuno sia scontento a concerto terminato.
EVOKEN
Dopo tre ora circa di doom in tutte le salse o quasi, si arriva all’appuntamento con i maestri con quella trepidazione con cui in genere a tavola si aspetta il cosiddetto piatto forte. Gli “chef” Evoken sono però gente affidabile, che si esibisce poco ma che, quando lo fa, non è solita deludere i propri sostenitori. Il quintetto sul palco non denota chissà quale carisma (anche se l’arrivo del bassista David Wagner ha migliorato un pochino le cose negli ultimi anni), tuttavia si muove sicuro, consapevole dei suoi mezzi e del proprio status di formazione leader nel settore. Lo capiamo in primis dall’atteggiamento di John Paradiso, che infligge ai presenti ferite indelebili con il proprio growl sfoggiando al contempo un’aria serena e conciliante, ma anche da quello di Don Zaros, che quasi pare nascondersi dietro la sua tastiera, rivelandosi però sempre puntuale e decisivo nel far cambiare marcia ai pezzi. Come prevedibile, gran parte del pubblico è qui per gli statunitensi: le file vengono serrate nei pressi del palco e il colpo d’occhio a questo punto non è davvero niente male. Si respirano partecipazione ed approvazione e il gruppo sembra man mano giovare di questa atmosfera positiva, tanto che le pause tra i brani si fanno sempre più brevi e la voglia di suonare dei Nostri più palpabile. Ottima la scaletta proposta, che pesca da diversi album della discografia con imprevedibilità. “Grim Eloquence”, dall’ultimo lavoro, si rivela sconvolgente, ma ci rimane particolarmente impressa una “Tending The Dire Hatred”, che con il suo riffing prettamente vecchia scuola e l’andamento lineare si presta benissimo alla riproposizione live. Su tracce come questa, gli astanti provano particolare piacere nello scapocciare e lo show prende così una piega più vivace e death metal, accantonando per un po’ le tentazioni intimiste. Dopo tutto, i Nostri hanno nel death metal il loro background e quale momento migliore di un concerto live per rispolverare certe vibrazioni? Dopo un’ora abbondante è già tempo di salutare, ma, una volta tanto, vista l’intensità del set, non è il caso di lamentarsi. Un brano in più o uno in meno avrebbero magari spezzato un equilibrio perfetto.