06/07/2007 - Evolution Fest 2007 @ Ippodromo Le Mulina - Firenze

Pubblicato il 17/07/2007 da
A cura di Lorenzo Mirani e Claudio Giuliani
 
 
Cambiata la location del festival in favore di un approdo presso l’Ippodromo le Mulina di Firenze, in un bel complesso immerso nel verde, l’Evolution ’07 è stata un’autentica maratona di band. Svoltosi il giorno 7-7-7, per una “malefica” coincidenza il festival ha avuto dei seri problemi. Su tutti il ritardo, accumulatosi fin dalle prime ore del mattino (i primi a suonare sono stati i Flashback of Anger alle 10:15!!) che ha costretto poi gli organizzatori a tagliare le esibizioni delle band, tutte, nessuna esclusa, fino ad arrivare al triste epilogo, ovvero la polizia che venti minuti dopo la mezzanotte ha staccato di forza la corrente mentre Sebastian Bach, headliner del festival, stava finendo una canzone del suo periodo Skid Row. Il cantante peraltro era stato avvisato che quella canzone era fuori tempo massimo.
Caldo. Tanto Caldo. I fan hanno preferito riposare durante le esibizioni delle prime band, salvo poi avvicinarsi quando, con i Behemoth, ma poi con Cynic e Sodom nel pomeriggio, il festival ha cominciato a fare sul serio. Ad alleviare le pene di tanti ragazzi e ragazze vestite di nero sotto un sole cocente (35 gradi), non sono stati d’aiuto i prezzi di birra (4 euro per una spina) e acqua (2 euro… assurdo, neanche fosse benzina) del bar, di cui l’organizzazione non era responsabile direttamente, a suo dire. Non ha aiutato neanche il fatto che ad alcuni giornalisti invece del pass sia stato dato un biglietto omaggio, rendendo quindi impossibile l’accesso al backstage per le interviste ai gruppi e, in special modo, alla zona sottostante il palco per scattare delle foto decenti.Infine, le note positive. La musica. Bella e varia. I fan hanno gradito almeno questa. Simpatico il contest “Bluargh”, dove dei fan potevano salire sul palco per urlare a squarciagola vincendo della birra. Si è perso tempo, certo… tempo che poteva essere impiegato per allungare qualche setlist, però è probabile gli organizzatori non volessero fare un’altra brutta figura con i fan cancellandolo. Ci scusiamo infine con i Flashback Of Anger e con i King Crow, per le mancate recensioni dei concerti dovute al ritardo per raggiungere la location.  
 

GORY BLISTER

Gli italiani, attivi nel campo death metal da oltre quindici anni, hanno suonato di mattina presto di fronte a pochi veri maniaci del metallo che hanno sfidato il sole cocente pur di acclamare la band. Death metal classico, con numerosi cambi di tempo, ma era davvero troppo presto per lasciarsi coinvolgere dalla proposta dei nostri. Momento alto dello show la cover dei Death eseguita nel finale, il pezzo era “1000 Eyes”.
 
 

BEHEMOTH

La prima band di spessore a calcare il palcodell’Evolution sono i polacchi Behemoth, che si presentano con un facepaintingdeath-black poco dopo mezzogiorno, sotto almeno 30 gradi. La band di Nergal ecompagni ci sa fare. Erano bravi a suonare black metal e sono ancora più bravia suonare brutal death (fatale fu un tour con i Deicide qualche anno fa). Illegame col passato (da Nergal definito “black metal roots”) è tenuto in vitadalle atmosfere malsane delle sue canzoni, unitamente a testi propri delgenere. Musicalmente niente da dire. Forti delle tantissime esperienze liveaccumulate in questi anni, la band va a memoria. Inferno è diventato uno deibatteristi più bravi del genere, macina che è una bellezza ed è la colonnaportante della sezione ritmica dei Behemoth. Le chitarre sono affiatate e gliassoli precisi. La scaletta è stata varia, addirittura la band ha estratto unpezzo dal loro demo. Si sono alternate così fra le altre “Conquer All” e “SlaveShall Serve” dall’album “Demigod”, la lenta ma graitica “As Above So Below” da“Zos Kia Cvltvs”, le velocissime e potenti “Antichristian Phenomenon” e“Christians To The Lions” da “Thelema.6”, ma anche una canzone dal nuovo album,“Prometherion”, song velocissima ma dalle atmosfere oscure che dal vivo hariscosso grande successo. Ma la conclusione è stata d’obbligo, due i pezzi chehanno letteralmente dominato: “Decade ofTherion” e “Chant For ESCHATON 2000” tratti dal capolavoro della band,quell’album “Satanica” targato 1999 che ha sancito l’attraversamento delRubicone, ovvero il passaggio dal black metal al death metal di stampo brutale.Esibizione ineccepibile.
 

KATAKLYSM

I canadesi suonano brutal death metal da una vita, ma è soltanto da qualche anno che sono diventati una band mondiale, tanto da vivere di sola musica. Super prolifici dal punto di vista della discografia, è con “Epic”, album uscito nel 2001, che la band ha fatto il salto di qualità. Il bravissimo chitarrista da sempre nella band, Jean-François Dagenais, ha aperto un suo studio personale, diventando così anche produttore. Questo ha giovato tantissimo alla band che da quando ha scoperto l’uso di una sottile melodia nelle sue canzoni (elemento accentuatosi sempre di più negli album a seguire) unitamente a un suono di chitarra granitico e potente come pochi, ha trovato la sua formula vincente. Dal vivo poi l’affiatamento è evidente, specie dopo il ritorno in lineup del drummer originale. I tantissimi tour, specie in America dove la band va benissimo, hanno reso i canadesi (ma Iacono, il cantante, è chiaramente italiano) una macchina perfetta. La setlist è stata grosso modo quella presentata nel DVD della bad uscito qualche mese fa. Si è passati quindi da “Like Angels Weeping In the Dark”, opener dell’ultimo album “In The Arms Of Devastation”, da cui sono state estratte anche “Let Them Burn” e “Crippled And Broken”. Dal micidiale album “Serenity” del 2004 sono state eseguite “As I Slither”, “Serenity In Fire”, “The Ambassador Of Pain” e “The Resurrected”, poi è stata la volta di “Manipulator Of Souls” da “Epic”, prima della song che ha chiuso il concerto, quella “In Shadows And Dust” che assurge a inno al pogo e alla violenza dal vivo e che a Firenze ha chiuso un’esibizione che ha strappato tanti applausi.
 
 
 
 
 

CYNIC

Arriva il momento dell’esibizione di uno dei gruppi più attesi della giornata, i redivivi Cynic di Paul Masvidal. Gruppo ‘da culto’ e forse un po’ fuori posto in un festival decisamente più tradizionale, la band americana ha avuto dalla sua un discreto stuolo di fan a incitarla sin dalle prime note della bellissima “Veil Of Maya”, con la quale la band ha aperto il concerto. Niente da eccepire: questo, signore e signori, è il professionismo fatto musica; suoni perfetti, padronanza dei propri strumenti che definire eccellente è riduttivo, canzoni suonate a metronomo, e neanche la più piccola sbavatura. In quello che più che uno spettacolo metal, vista la proposta, pare un concerto di una jazz band (da notare il look dei quattro e la chitarra senza paletta di Paul!) viene anche regalato ai fan un pezzo nuovo (…forse un nuovo disco in arrivo?) che si rivela un poco più diretto rispetto allo standard dei Cynic, nonché un poco snellito delle parti di chitarra elettrica; nonostante tutto, il pubblico pare gradire. L’apice del concerto, ovviamente, si raggiunge con quello che è forse il pezzo più osannato della band, la celebre “Uroboric Forms” (le cui parti in growl vengono cantate da un ragazzo direttamente scelto tra il pubblico attraverso un contest) e la conclusiva e schizzata “How Could I…”, che termina una delle esibizioni più gettonate non solo dell’intera giornata, ma degli ultimi anni. Qui abbiamo il classico esempio di una band che, come il vino, più invecchia e più è pregiata: davvero imprescindibili!

KAMELOT

Tra i pochi portabandiera della melodia in una giornata di matrice prevalentemente estrema, gli ormai rodatissimi Kamelot giungono sul palco dell’Evolution per presentare il nuovissimo “Ghost Opera”, e per rivendicare il loro ruolo, ormai non più da semplici subalterni, all’interno della scena power metal. Lo show della band, corrotto da dei suoni non particolarmente all’altezza, si rivela piuttosto buono, prediligendo, per ovvi motivi, i pezzi del nuovo disco, che vengono alternati a grandi classici come “Karma” e “Center Of The Universe”, cantati all’unisono da tutti i presenti sotto il palco. Più che discreta, come sottolineato la prova della band, con un Roy Khan ed un Thomas Youngblood, vere anime del gruppo, che non mancano di entusiasmare il pubblico accorso per vederli sotto il sole di questa calda giornata estiva. Promossi!
 

SODOM

Il forte ritardo accumulatosi nelle esibizioni delle prime band ha costretto gli organizzatori a tagliare la durata dei concerti man mano che le band diventavano più “importanti”. Questo si è tradotto nei 40 minuti scarsi di concerto dei Sodom, dai preventivati. Un autentico peccato. I tedeschi hanno come al solito confermato la loro eccezionale genuinità dal vivo: sempre sorridenti e contenti di suonare tanto che il chitarrista ci ha confidato che nonostante il sole cocente (hanno suonato alle 5 del pomeriggio e il sole bruciava davvero forte) non vedeva l’ora che finisse l’intro tratta dall’ultimo album per cominciare a schitarrare sulle note di “Blood On My Lips”. Fra la sterminata discografia della band sono state estratte “Remember The Fallen”, “The Saw Is The Law”, l’immancabile “Agent Orange” (uno dei pezzi più belli dell’intera discografia della band e sicuramente la canzone più attesa e acclamata dalla folla), “Napalm In The Morning”, e la cover dei Motorhead “Ace Of Spades”, song ormai presente in tutti i concerti dei Sodom da anni, prima della finale “Bombenhagel”, canzone vecchia ed espressione perfetta del thrash metal dei teutonici. Un’esibizione impeccabile, tutti voi conoscete il valore dei tedeschi, capostipiti del genere. Oltre ad aggiungere che il terzetto è stato autore del solito, colossale, entusiasmante, thrasheggiante show, non c’è altro da dire. Lunga vita ai re del thrash europeo.
 
 
 
 

FATES WARNING

Attesissimi sul palco dell’Evolution, i Fates Warning, esattamente come i Cynic, hanno mostrato a tutti i presenti il significato della parola ‘professionalità’. Tra le più particolari della scena metal, la band, in più di vent’anni di vita, ha attraversato un’evoluzione che l’ha vista passare dall’heavy metal primigenio di “Night On Brocken” al classico progressive di “Parallels” e, attraverso le sperimentazioni della lunga suite “A Pleasant Shade Of Gray” (della quale oggi sono state eseguite due parti) fino all’ultimo e controverso “X”. Molta era la curiosità per come avrebbe affrontato il concerto una band così foriera di evoluzioni nella sua storia; e ancora più curiosità c’era per lo special guest, nientemeno che Bobby Jarzombek, il cui nome, ormai da molti anni a questa parte, è sinonimo di garanzia. Detto, fatto: i Fates Warning, nessuno escluso (micidiale poi l’accoppiata Vera-Jarzombek alla sezione ritmica!), si rendono protagonisti di una prova magistrale, deliziando tutti i presenti; unico piccolo rimpianto può essere considerata la scaletta che, pescando a piene mani dal repertorio più recente (gli ultimi dieci anni) lascia cadere nel dimenticatoio alcuni dei più grandi classici, che non hanno mancato di fare la storia del progressive metal. Al di là di questa piccola pecca una band comunque immensa, sempre e comunque.

VIRGIN STEELE

Il sole comincia a scendere ed a concedere il meritato riposo a tutti i presenti alle Cascine, quando i Virgin Steele fanno la loro comparsa sul palco, attesi da un gran numero di fan che urlano il nome della band a gran voce. Purtroppo l’eccitazione dura poco: comparsi sul palco, sin dalle prime note i Virgin Steele, per quanto rimpianga al sottoscritto, da fan della band, sottolinearlo, si dimostrano quasi fastidiosi all’udito, con dei suoni pessimi che, uniti ad una prestazione mediocre, raffreddano non poco gli animi dei presenti. A tutto ciò aggiungiamo un paio di vere e proprie stecche da oscar di David DeFeis che, al contrario di qualche anno fa, sembra non reggere più le linee vocali da lui sapientemente costruite in così tanti anni di carriera (e non resta da sperare che oggi sia stato un giorno no per la band, date le buone esibizioni passate!). Qualche rimpianto anche per la scaletta, che, sebbene presenti un buon numero di classici (su tutti le entusiasmanti “Invictus”, “Kingdom Of The Fearless”, “Great Sword Of Flame” e “Emalaith”) e qualche chicca come la stupenda “Don’t Say Goodbye”, manca di alcune song immortali che la band non ha mai dimenticato di regalarci: chi di voi non avrebbe voluto ascoltare una “Symphony Of Steele” o una “Noble Savage”? Il problema è comunque da rimandare alla prestazione della band, scialba, senza mordente, e sicuramente deludente. Rimandati alla prossima, con la speranza che la band sappia rinverdire gli antichi fasti che hanno reso celebre il suo nome…
 

NEVERMORE

Nevermore! Quanti di voi li amano, e quanti di voi li aspettavano, magari anche per cancellare le recenti e non positivissime esibizioni in terra italica? Con un po’ di ritardo, sul calar del sole la band sale sul palco, forte del nuovo innesto alla seconda chitarra a nome Chris Broderick (che, nei pochi momenti solistici, ne farà davvero vedere delle belle a tutti!) sciorinando immediatamente sul pubblico il suo power-thrash potentissimo e d’atmosfera, e spazzando via ogni dubbio o voce che circolava insistentemente attorno al suo nome: i suoni sono perfetti, i componenti della line-up suonano da Dio e Warrel Dane, una volta tanto, si dimostra in gran spolvero. I Nevermore stupiscono la platea con il concerto più energico della giornata, e tra i più precisi e ben congegnati; unica pecca si dimostra essere la scaletta, che, dimentica dei grandi classici (sinceramente mi pare un po’ azzardata la scelta di non eseguire neanche un pezzo da “Dead Heart In A Dead World”), si concentra sugli ultimi due album, andando a ripescare dal passato solamente due chicche come “Deconstruction” e “Beyond Within” che, specie nel primo caso, mandano letteralmente in visibilio il pubblico per la sorpresa. Uno dei migliori spettacoli della giornata, semplicemente mastodontici!

SEBASTIAN BACH

Eccoci arrivati al culmine dello spettacolo e, contemporaneamente (e tra poco vi diremo anche il perché!), allo show più interlocutorio della giornata. Sebastian si presenta sul palco, dopo un’attesa abbastanza prolungata, dando il via al concerto sulle note dell’esplosiva “Slave To The Grind”, che infiamma all’inverosimile gli animi (e non solo!) di tutti coloro che si accalcano sotto il palco; ma già da queste prime note si capisce che qualcosa non va, in quanto la voce di Bach è pressoché assente, e completamente sovrastata dai cori del pubblico. Seppur in generale i suoni siano buoni, così come la prestazione della band, il volume di Sebastian rimane inalterato anche durante le successive “Big Guns” ed “18 And Life” (gli immancabili classici del suo repertorio targati Skid Row, di cui non ci si stanca mai!); ed ecco che il lungocrinito singer comincerà allora ad inscenare uno scambio di battute – ripetuto più volte durante lo show – minacciando acidamente il suo fonico. L’ora successiva non cambierà le sorti dello show in meglio che, dopo l’esecuzione di un paio di nuovi pezzi (dei quali, se uno rimane degno di nota, l’altro è decisamente da dimenticare) ed altre song di repertorio, si avvia alla conclusione sulle note prima di “Midnight”, e poi delle classicissime “I Remember You” e “Youth Gone Wild”… ed ecco che sull’ultimo pezzo, vero cavallo di battaglia di Bach, avviene l’irreparabile: sotto gli occhi di tutti i presenti, infatti, viene prima spento l’impianto luci e, poco dopo, proprio al culmine del pezzo e dell’esaltazione dei presenti, anche l’impianto sonoro. Ed ecco un Sebastian Bach infuriato che, quasi senza salutare i molti accorsi per vederlo, lascia amaramente la scena. Si è già discusso molto in merito a quel che è successo, con relative scalette tagliate, comportamento da rockstar viziata di Sebastian e pecche dell’organizzazione (alcuni, a quanto pare, hanno addirittura preteso un rimborso!): quello che rimane, senza sbilanciarsi in interpretazioni, è che questa è l’ennesima indegna conclusione di una bellissima giornata di musica; giornata che, forse, avrebbe meritato un’organizzazione un po’ più studiata, dall’una e dall’altra delle parti in causa. Meditiamo, gente, meditiamo.
 

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