Report a cura di Andrea Intacchi
A conti fatti, per i consumatori seriali di speed metal, quella del luglio 2017 fu un’occasione più unica che rara: sul palco bresciano del Colony Open Air, infatti, salirono gli Exciter, nuovamente in formazione originale dopo una serie indefinita di andirivieni, tra cui spiccano anche due scioglimenti ufficiali. Quel giorno Dan Beehler, John Ricci e Allan Johnson tornarono on stage per ruggire ancora una volta il loro personalissimo “Violence & Force”. Una reunion importante, a cui seguirono gli inevitabili rumors circa l’imminente uscita di un nuovo e atteso album. Così, fino al settembre dello scorso anno, quando fu lo stesso Johnson ad annunciare l’ennesima fuoriuscita del compagno John Ricci, sostituito nel giro di un mese dallo sconosciuto Daniel Dekay. Mezza delusione, quindi, per tutti coloro che, mercoledì 4 dicembre, si sono riversati tra le mura dello Slaughter Club sperando di vedere all’opera gli Exciter al completo. Poco male, in realtà: il nuovo chitarrista ha retto egregiamente il confronto con l’ingombrante figura che lo ha preceduto, dando vita, insieme alla mostruosa vecchia guardia, ad uno show semplicemente adrenalinico dalla prima all’ultima goccia di sudore. Un tuffo nel glorioso passato, omaggiando di diritto le prime bombe esplose: dal seminale “Heavy Metal Maniac” sino a “Unveiling The Wicked”. Ad accompagnare gli Exciter in questo minitour europeo, gli Asomvel, ovvero i cloni ‘ufficiali’ dei primi Motörhead, e i vicentini Adversor, dispensatori di un sano e furioso thrash old-school. Per cui, affilate per bene le lame dei vostri coltelli e buona lettura!
ADVERSOR
Spinti dai primi freddi di stagione, entriamo in uno Slaughter Club in via di riempimento (alla fine si registreranno un centinaio di persone) proprio nel momento in cui gli Adversor iniziano a prendere a sassate il palco. Già, perché il thrash messo in atto dal quartetto veneto è di quelli vecchia maniera: nudo, crudo, letale. Al centro, con il compito di demolire la batteria di turno, il buon Jacopo Cardi; alla sua sinistra, il fratello e leader della band Marco ‘Dado’ Cardi, intento a sferzare l’aria a suon di riff, sputando in faccia ai presenti tutta la rabbia possibile. I due, quasi a suggellare simbolicamente il proprio legame di sangue, indossano entrambi una t-shirt dei Kreator, a testimonianza della forte influenza del gruppo di Essen sull’act tricolore. Ad amplificare ulteriormente il tasso (già alto) della schizofrenia generale, Alessandro Meneghini al basso e Filippo Parise alla seconda chitarra, chiamato a stendere le fulminanti melodie tra un attacco frontale e l’altro. Non perfettamente supportati da una resa sonora ancora non a livelli accettabili, dove i volumi della sezione ritmica erano di gran lunga superiori rispetto a quelli della rimanente strumentazione, gli Adversor hanno comunque dato prova di saperci fare on stage, non solo a livello qualitativo. Anche a livello scenico, infatti, i quattro ragazzotti della provincia veronese/vicentina hanno sprigionato la perfetta attitudine thrash, condita da tempestivi headbanging con uno Jacopo Cardi sugli scudi in tema di bonaria pazzia. Forti di due album alle spalle, gli Adversor hanno proposto alcuni brani estratti dal debutto “Rise To Survive”, tra cui la stessa titletrack e “Triumph Of Terror”, dando comunque maggior spazio all’ultimo “The End Of Mankind”, dal quale sono partite a razzo “Psychotropic Nightmare”, “The Fall Of The Empire (We Must Unite)”, “Ignoble Blackmail” e “Museum Of Suffering”. Una mezz’oretta di legnate sul cranio, ottima per iniziare una serata corsa sul filo del limite di velocità.
ASOMVEL
Tra video sul web e fotografie pubblicate sulle riviste dedicate, sono numerosissime le testimonianze live dei primissimi concerti realizzati dai Motörhead in versione Golden Age (Lemmy, Fast Eddie e Philty Animal Taylor). Bene, che ci crediate o meno, osservando Ralph Robinson, frontman degli Asomvel, mentre si staccava dal microfono per piazzarsi al centro palco, un leggero imbarazzo c’è effettivamente stato. Il Rickenbacker, i pantaloni, la magliettina, gli anelli, ma soprattutto la postura e le movenze: innegabile il confronto con LUI, Mr. Kilmister. Ma non solo: pure alcune battute lanciate tra un brano e l’altro, quel ‘fucking excellent’ che scartavetrava l’audience ogni qualvolta il pubblico rispondeva alle sue richieste; ebbene, due gocce d’acqua. E ancora: pure il chitarrista Lenny Robinson, più composto, con tanto di giubbettino in pelle nera e frange, ha acquistato quell’alone di mistero che contornava il mitico Eddie Clarke. E se non fosse stato per il crine rossastro di Jani Pasanen, più simile ad un casuale Dave Mustaine in versione batterista che al compianto Taylor, l’idea di essere stati catapultati a fine anni ’70, in quel di Nottingham, per assistere ad uno dei primi vagiti live delle Teste di Motore, sarebbe stata più che credibile. Una sensazione strana che ha pervaso la platea sin dalle prime note di “World Shaker”, tratta dall’ultimo ed omonimo album: le sonorità sono quelle, inutile negarlo. Il basso tonante, il wah wah della sei corde, i ritmi da locomotiva della batteria; il rimando a quegli anni, e soprattutto a quegli album, è d’obbligo, con una particolare strizzata d’occhio all’incedere dei pezzi presenti in “Bomber”. Così anche per le successive “True Believer”, “Payback’s A Bitch”, “Runnin’ The Gauntlet” e “The Law Is The Law”: coinvolgenti, nulla da dire, anche se gli occhi rimangono sempre per Robinson che, come un perfetto ologramma, si muove per il palco seguendo in tutto per tutto i movimenti della sua icona. Un tributo? Un omaggio? Un autentico plagio? Forse tutte e tre le cose. Uscito decisamente bene, anzi perfettamente bene. Solo la voce non raggiunge la stessa catramosità dell’uomo di Stoke-On-Trent, ma anche su quella il giovane inglese può ancora lavorare. Sui brani abbiamo già scritto: i titoli sono diversi, ma la tendenza ritmica è quella, tanto che in “Smokescreen” il richiamo alla vecchia “Keep Us On The Road” è limpido. Ma va bene così. Una cosa, però, a parte i due bubboni mancanti, si deve ricordare, il buon Ralph e quindi gli Asomvel: oggi siamo nel 2019 e tutto quello che qualcuno presenta sul palco, qualcun’altro lo ha già fatto prima più di quarant’anni fa… e meglio. Ultimo appunto: si può anche muovere come LUI, ma quella scossa elettrica lungo la schiena che Lemmy sapeva trasmettere…no, quella è impossibile da plagiare, copiare o emulare. Saremo di parte e un filo nostalgici, ma di Lemmy c’è n’è stato uno solo e tale rimarrà.
EXCITER
Basta la scritta a caratteri cubitali posta dietro al drumkit per rendersi conto che, da qui in avanti, sarà tutto dannatamente vero: nessun plagio, nessuna finzione, solo del fottutissimo speed metal. Pronti-via: si spengono le luci, breve atmosfera ed il trio canadese è pronto a ribaltare sulla folla una fiondata di schegge sonore ed ultrataglienti. A guidare l’assalto Dan Beehler, le sue bacchette ed il suo funambolico microfono, a formare una macchina energetica al limite del cortocircuito. Un surriscaldamento che trova in “Violence & Force” la miccia ideale; così, tanto per iniziare col botto. E mentre lì davanti Johnson ed il giovane Dekay si divertono a scambiarsi grugniti animaleschi, è “Stand Up And Fight” a gettare benzina sul fuoco, scatenando di conseguenza le prime forme di pogo selvaggio. Energia da vendere, quella degli Exciter, con l’ugola di Beehler che, in occasione di “Victims Of Sacrifice”, raggiunge acuti carichi di una grinta esemplare, dalla quale parecchie nuove leve, magari anche più celebrate, dovrebbero trarre il giusto insegnamento. Superato un breve inghippo accorso alla sei corde di Dekay, lo show prosegue sui ritmi sudoriferi imposti sin dall’inizio, e dall’album “Unveiling The Wicked” viene proposta la corale “Die In The Night”, prima che una marcissima “Iron Dogs” stenda un velo di metallo pesante sopra l’intero Slaughter Club. Mentre Johnson rimane leggermente più statico nel fendere il proprio basso (l’età avanza anche per lui), è il nuovo innesto alle sei corde a muoversi con più dinamismo sul palco, mentre là dietro la batteria di Dan fatica a rimanere in piedi, colpita selvaggiamente dal suo degno proprietario. L’omaggio al monito ufficiale del tour, “I’m A Heavy Metal Maniac”, giunge immediato con la doppietta firmata da “Rising Of The Dead” e dal brano che diede il titolo all’omonimo album, annunciato dallo stesso Dekay, orgoglioso di ‘poter suonare nella mia band preferita di sempre’. Lo scambio di incitamenti tra il gruppo ed il pubblico prosegue fino a quando l’atmosfera s’incupisce per regalarci una “Black Witch” di forte pathos, che anticipa un’altra perla a firma Exciter, quella “Pounding Metal” cantata praticamente da tutti i presenti. Dopo una dose iperattiva di tale portata, anche per Beehler è giunto il momento di tirare un po’ il fiato e dare una pausa rigeneratrice alle sue corde vocali, lasciando così la scena al ‘figlioccio’ canadese per un breve assolo. Giusto il tempo di asciugarsi, lanciar via il gilet borchiato e riprendere la postazione, così da sparare le ultime cartucce a disposizione; anche perché lo sforzo fisico e vocale del frontman riccioluto inizia a farsi sentire. Tra le hit spiccano l’adrenalinica “Long Live The Loud” e la primordiale “World War III”. Tutto finito? Nemmeno per idea. La canonica uscita di scena chiama la folla ad innalzare nuovamente il nome della band, che prontamente imbraccia i propri strumenti per l’ultima deflagrazione targata speed metal. Un tributo, vero, a chi lo speed lo ha provato e divulgato in tutti i sensi e in tutte le forme: è “Iron Fist”, il pugno dei Motörhead, quelli VERI, a conclamare la fine di una serata a dir poco corroborante, che ha confermato l’inossidabilità di gruppi storici come gli Exciter.
Setlist
Violence & Force
Stan Up And Fight
Victims Of Sacrifice
Die In The Night
Iron Dogs
Rising Of The Dead
Heavy Metal Maniac
Living Evil
Breakdown The Walls
Black Witch
Feel The Knife
Pounding Metal
Guitar solo
Beyond The Gates Of Doom
Long Live The Loud
World War III
Iron Fist