Report a cura di Andrea Intacchi
Fotografie di Moira Carola
‘United, united, united!’, questo l’invito lanciato da Mark Osegueda al termine del concerto dei suoi Death Angel. Uniti, come una famiglia, tutti insieme per celebrare ancora una volta il metal: quello semplice, quello diretto e ‘brutale’, quello genuino. Uniti per il thrash metal. Saranno anche parole mielose e bonarie, viste le imminenti festività natalizie, ma l’aria che si è respirata venerdì 14 dicembre, in quel di Fontaneto d’Agogna, in occasione dell’annuale carrozzone dell’MTV Headbangers Ball, era proprio di quelle familiari: salutare, contagiosa, sorridente. Una serata degna di essere vissuta, una serata dove tutto è filato per il verso giusto. A partire dalle band: tutte in piena forma (calcolando che la data novarese era la terz’ultima del tour, ci si poteva attendere un calo di tensione generale), tutte coinvolgenti, tutte distruttive; dall’accoppiata ‘angelica’ ai Sodom, sino ai letali Exodus. Perfetta è stata la location: il Phenomenon si è dimostrato all’altezza della situazione; ben servito, acusticamente impeccabile (merito dei fonici ovviamente), amichevole. E poi la gente: i thrasher della prima ora si sono perfettamente trovati a braccetto con i fan della nuova generazione, a testimonianza di come questo genere – soprattutto questo genere! – sia duro a morire. Ed è stata proprio la ‘new generation’ a chiudere un tranquillo venerdì made in thrash: alcuni ragazzini, infatti, sono saliti insieme agli Exodus nelle battute finali dello show per imbracciare delle ingombrantissime chitarre a testimoniare, o meglio ad augurarsi, un futuro borchiato di metallo. Ma torniamo all’inizio, a quell’alberello illuminato posto all’entrata del Phenomenon alle cui spalle, poco più lontano, si ergeva il telo dei Suicidal Angels…
SUICIDAL ANGELS
E’ toccato ai ragazzi ellenici, alle 19.30 in punto, salire sul palco e scaldare a dovere gli animi di un pubblico già numeroso. E, a fronte di una serata dedicata esclusivamente alle sonorità old-school, la scelta di aprire le danze con i Suicidal Angels, anche se più giovani delle band a venire, si è rivelata più che azzeccata: la giusta miccia per le tre esplosioni successive. Non solo: nonostante in più di un’occasione siano stati tacciati di ricoprire il ruolo di meri esecutori dei riff impartiti a suo tempo da Slayer e compagnia bella, lo show proposto dal quartetto capitanato da Nick Melissourgos è riuscito ad alzare di qualche tassello l’asticella della qualità rispetto alle loro ultime uscite live, portando a casa una prestazione più che dignitosa. Si comincia ed i ritmi sono subito intensi e tirati grazie alla grintosa “Capital Of War”, opener dell’ultima fatica a nome “Division Of Blood”: suoni ben calibrati e giusto appeal creano un feeling immediato con i presenti, vogliosi di scapocciare a destra e a manca con tanto di annesso air guitar. E’ il chitarrista Gus Drax ad aizzare continuamente la folla che, dopo la fulminea “Bleeding Holocaust” e la monotematica “Frontgate”, parte dritta per dritta con un’autentica ondata in modalità headbanging. Pur non sciorinando un inglese madrelingua, il buon Nick tiene bene il centro del palco mentre i due compagni di avventura saltellano da una parte all’altra del palco trasudando thrash da ogni singola corda. Quaranta minuti schietti, volenterosi, veraci: quaranta minuti in cui i Suicidal Angels, con la conclusiva “Apokathilosis”, hanno egregiamente sfondato il portone del Phenomenon dando così il via ad un MTV Headbangers Ball di tutto rispetto. Ed ora, prepariamoci, arrivano i Death Angel!
DEATH ANGEL
Prendendo spunto dal nome della location in cui si è svolto l’evento thrash-natalizio, i Death Angel sono stati semplicemente fenomenali. Se lo scorso anno, proprio di questi tempi, avevano incendiato il Live di Trezzo, questa volta hanno fatto ancor meglio. Senza parole. Guidata da un Mark Osegueda a dir poco su di giri, la band californiana ha letteralmente preso d’assalto l’intera area dedicata al concerto, nessuno escluso: da quelli affrancati alle transenne ai thrasher inglobati nel pogo generale, dai metallari disposti sulle file più arretrate sino ai più ‘attempati’ rigorosamente allineati a bordo palco. Tutti coinvolti, tutti con le braccia alzate (e non per fare foto o video con tanto di telefonino!), tutti pronti per “Evil Priest”, che in pochi secondi inizia a smuovere i corpi a centro-palco. E’ però “Left For Dead” a lanciare ulteriore adrenalina sulle teste iperattive degli astanti: da Osegueda al bassista Damien Sisson, da Ted Aguilar all’altro membro storico del gruppo made in Bay Area, Rob Cavestany, con tanto di canotta firmata Exodus, tutti interagiscono continuamente con le prime file che prontamente rispondono. Ma è tutto il locale in realtà ad esaltare il quintetto americano che non si fa pregare e prosegue imperterrito a sganciare le proprie cartucce. Prima “Claws In So Deep”, quindi la ferale e trascinante “Mistress Of Pain”, durante la quale il moshpit diventa ancora più sostenuto. C’è soddisfazione, c’è riconoscimento nei confronti di una band che, pur senza aver ottenuto il successo di altri colleghi più blasonati, ha comunque scritto pagine importanti, se non fondamentali, sul libro dedicato al fratello più nervoso dell’heavy metal. Osegueda lo avverte e non può far altro che ringraziare tutti promettendo che i Death Angel torneranno nuovamente in Italia, di sicuro. Poi si assenta, lasciando la scena ai due axeman. Si parlava di pagine importanti, di song immortali, ed allora bastano pochissime note per far capire che sta partendo “The Ultra Violence”: un riff maligno, ‘venoso’, trascinante e apripista per la corale “Thrown To The Wolves”. Ritmi serrati e avvincenti per uno show che in molti avrebbero preferito più lungo, ma tant’è. All’appello comunque mancano ancora due brani: dal seminale debutto arriva un altro pezzo da novanta, “Kill As One”, prima che la più recente “The Moth”, ormai divenuta un classico nei live dei Death Angel, incida la parola fine ad un concerto sensazionale. E mentre in zona bar il buon Osegueda si concedeva ai (o meglio alle) fan, due cartonati del mitico Knarrenheinz facevano capolino sul palco.
SODOM
Inutile dirlo: le attese della vigilia erano tutte per loro. Dopo la delusione estiva in quel del Rock The Castle, in cui la band teutonica, complice un ritardo aereo, suonò una ventina di minuti prima di salutare tutti, la voglia di vedere finalmente un concerto completo dei Sodom era più che lecita, come altrettanto alta era la curiosità di vedere all’opera la nuova formula della creatura dello zio di Germania, Tom Angelripper. Basta trio, basta Bernemann, basta Makka; dal passato riecco Mr. Frank Blackfire, dietro le pelli il mastodontico Husky e poi la quarta pedina, una seconda chitarra suonata dal buon Yorck Segatz. Il risultato? Una vera e propria conflagrazione, dalla prima all’ultima nota, dal primo all’ultimo pezzo. Da parte sua, Onkel Tom è più che navigato e per non correre rischi, quasi volesse ricominciare tutto da capo, riscoprendo una seconda giovinezza, ha deciso di riversare sulla folla dieci bombe ad orologeria tutte derivanti dal passato storico e decisivo del gruppo; dieci brani che hanno permesso ai Sodom di poter essere annoverati tra i Big 4 del thrash teutonico. Che l’act puntasse sull’effetto old-school lo si era ben intuito dalla scenografia: la copertina di “Persecution Mania” contornava il palco, mentre il logo della band campeggiava dietro la batteria del sobrio Husky. “Procession To Golgotha” accompagnava le quattro losche figure on stage prima che la furia di “Blasphemer” cominciasse a sfoderare fendenti brutali e tirati sui metallari in palese visibilio. Se la formula a tre era sinonimo di un cingolato martoriante e tellurico al limite dello sfinimento, la formazione a quattro, oltre a garantire un impatto sonoro più compatto e completo, regala anche un pizzico di melodia in più, se così vogliamo definirla. Lo show comunque è appena iniziato ed è la voce cartavetrante dello stesso Tom ad annunciare la temibile “Sodomy And Lust”, sinonimo, ogni volta, del delirio più folle e passionale. Ed è a questo punto che il frontman tedesco saluta i presenti, annunciando ufficialmente i nuovi componenti della macchina da guerra made in Germany. Una breve presentazione prima di “Partisan”, brano appena espulso dall’omonimo EP: un pezzo old-style ben eseguito che troverà sicuramente spazio anche nei live a venire. Un accenno di storia recente ad anticipare un pezzo a dir poco storico, o forse IL pezzo storico per antonomasia dei Sodom: quella “Agent Orange” che non lascia spazio ad alcuna riflessione, ma solo all’autentico e sano headbanging mentre ‘a fire doesn’t burn’. E dopo “Silent Is Consent”, è la volta del secondo brano di nuova produzione, “Conflagration”, tipica Sodom-song pesante e fulminea al punto giusto. L’aria tra le prime file si fa rarefatta ed allora, in soccorso, arriva “Outbreak Of Evil”, così, giusto per gradire. Altra breve pausa, utile per avvisare il pubblico che il brano successivo sarebbe stato dedicato al buon Chris Witchhunter, intonando quindi la seriale “Tired And Red”, davvero esaltante con il suo intermezzo strumentale partorito da Tom e compagni per allenare ancor di più il collo allo scapocciamento generale. Come altrettanto sentita è “Remember The Fallen”, una delle hit di maggiore successo della band: malinconica, vera, istintiva. E’ quindi l’immancabile scarica di basso a sganciare la conclusiva “Bombenhagel” con le sue tre riprese (in modalità “Overkill”), così da infierire ancor di più sui fan comunque ancora ben disposti a pogare al centro della sala. E quando anche il Das Lied der Deutschen (l’inno tedesco) è stato doverosamente eseguito, i Nostri si congedano in modo rapido, fieri e consci di aver regalato un’ora di thrash old-school senza eguali. Dopo una dose così massiccia di artiglieria sonora, è d’obbligo una pausa rifocillante. Servono forze per l’ultimo gruppo in scaletta… e che gruppo!
EXODUS
Sarà lo stesso Steve ‘Zetro’ Souza a ricordare ai presenti il bellissimo pomeriggio trascorso insieme in quel di Villafranca di Verona, in occasione del sopracitato Rock The Castle. Ancora Exodus dunque: due date italiane nel giro di poco più di cinque mesi. E nulla è cambiato da quel giorno: distruttivi in Veneto, distruttivi in Piemonte. Senza se, senza ma e senza Gary Holt, la cui assenza (live) ormai non fa più notizia; le prestazioni dei due chitarristi Lee Altus e Kragen Lum sono più che meritevoli ed anche questa volta lo hanno dimostrato. Pure gli Exodus, come accennato qualche riga sopra per i Sodom, si sono concentrati sui brani della prima ora, tanto da iniziare il proprio show con un’autentica mazzata tra i denti: l’intro è quello inconfondibile della sola ed unica “Bonded By Blood”, il resto è storia. Putiferio, mentre il buon Steve gigioneggia tra i compagni di avventura dirigendo il coro della title-track cantato a squarciagola dai fan. Un muro sonoro che viene innalzato ancor di più da “Exodus”, altra perla tratta dal primo disco del gruppo d’oltreoceano, dal quale verranno proposti altri quattro pezzi nel corso della serata. Se il frontman è sicuramente una delle chiavi di assoluto valore del combo americano, un plauso va fatto sicuramente alla sezione ritmica: Tom Hunting, in collaborazione con il bassista Jack Gibson, garantiscono una pesantezza chirurgica devastante. E la prova arriva immediata con l’accoppiata “And Then There Were None” e soprattutto “Body Harvest”, martellante e roboante, per la felicità di tutto il pubblico, ormai in preda ad un headbanging quasi radiocomandato. Ci si inoltra tra le prime file proprio nel momento in cui, subito dopo “Impaler”, viene scaricata dal palco “Fabulous Disaster”, per la gioia assoluta degli Exodus-fan. Qui non ci sono pause: Souza e soci sono in ottima forma e dal passato portano altre due autentiche detonazioni sonore del calibro di “Piranha” ed in particolare “A Lesson In Violence”. Violenza sì, ma è con “Blacklist” che il pavimento del Phenomenon vive i suoi attimi più intensi. L’headbanging più sfrenato, accompagnato dal ritmo incessante imposto dai Nostri, trasforma il suolo del locale novarese in una sorta di materasso ondeggiante; sensazioni certo, ma che fanno intuire il clima che si è vissuto nel corso del concerto della band californiana e in buona sostanza durante tutta la serata. A chiudere una setlist non troppa lunga (anche per gli Exodus il tempo stabilito era di un’ora esatta) ma dall’effetto decisamente distruttivo, le celebri “The Toxic Waltz” e “Strike Of The Beast”. E tra gli applausi generali, tra il vecchio e il nuovo che si fanno compagnia sul palco, è ancora Steve Souza a prendere la parola lanciando un semplice ‘Heavy Metal forever!’; tre parole semplici appunto, magari banali, ma che hanno sintetizzato in pieno la buona riuscita dell’intero show in quel di Fontaneto d’Agogna. Sì, nient’altro da aggiungere, un tranquillo venerdì made in thrash!