Report a cura di William Crippa
Fotografie di Francesco Castaldo
La stagione è in chiusura, ma manca ancora un grande evento per sigillare al meglio quello che è stato un 2016/17 da ricordare: sono di scena infatti gli Extreme al Live Club di Trezzo sull’Adda, band che, nonostante non abbia più rilasciato materiale nuovo negli ultimi nove anni, può permettersi di vivere di rendita grazie a quell’inarrivabile “Extreme II: Pornografitti” uscito ormai ventisette anni fa. Ci siamo resi conto, in occasione del concerto di due anni fa all’Alcatraz, per l’anniversario di tale album, che i fan della formazione non sono per nulla impreparati, e ben pochi sono coloro che vengono a vederli solamente per “More Than Words”; quindi ci aspettiamo davvero molto dalla serata. Al nostro arrivo troviamo il locale brianzolo pieno in ogni ordine di posto, con il caldo che si fa sentire abbastanza nonostante l’aria condizionata; nessun gruppo a supporto, quindi ci mettiamo comodi ad aspettare le 21:30, ora di inizio dello show, ed osserviamo il pubblico, composto dagli elementi più disparati: ci sono padri di famiglia attempati ad accompagnare i figli, così come ci sono padri giovani con ragazzini sulle spalle, e poi rudi metallari armati di birra con giubbetti ormai tenuti assieme solamente dalle toppe delle band cucite sopra, ragazze che potremmo più facilmente trovare presso locali alla moda della movida, ed ancora ragionieri spelacchiati in testa con gli occhiali spessi ed il marsupio di ordinanza: perchè questo sono gli Extreme, una band trasversale, che riesce ad unire fan dalle estrazioni più disparate. Giungono le 21:30, finalmente, e, con un poco di ritardo, ecco le luci abbassarsi. E’ il momento.
EXTREME
Le luci sono spente per l’ingresso della band sul palco, decisamente spoglio, accompagnata da un forte coro inneggiante a Bettencourt proveniente dalla venue, e si riaccendono per l’attacco di “It’s (A Monster)”, che già permette di fare previsioni su come sarà il resto della serata: grandiosi i suoni, energia a profusione ed un pubblico che da subito si lascia travolgere. Il finale dell’opener, prolungato dal chitarrista, si trasforma tra gli applausi roboanti nella divertente “Li’l Jack Horny”, eseguita in medley con l’inno “Get The Funk Out”, che per la prima volta scatena letteralmente i fan nel chorus, cantato a gran voce e supportato da numerose dita alzate al cielo nel classico gesto del ‘vaffa’. Il clima di grande divertimento è contagioso ed è davvero curioso osservare i classici genitori accompagnatori che se ne stanno in fondo al locale combattuti tra la necessità di mantenere il contegno ed il lasciarsi andare come il resto degli avventori. “Rest In Peace” è al solito apprezzatissima, ma non stupisce che non lo sia “Slide”, proveniente da un periodo della band non certamente conosciuto né apprezzato, durante la quale il buon Nuno si esibisce in un notevole esercizio di scat al microfono; “Kid Ego” risolleva il concerto dal momento morto precedente e Gary Cherone si prende il giusto spazio per far cantare i fan di fronte a lui, prima che l’agitata “Play With Me” porti anche ad un leggero pogo. Le luci si abbassano e viene portato sul palco uno sgabello; molti, attendendo “More Than Words”, alzano al cielo i cellulari in modalità video, ma i veri fan sanno che un solo sgabello è segno che sta per arrivare “Midnight Express”, segmento acustico da “Waiting For The Punchline” durante il quale Bettencourt può dare sfoggio a tutte le sue tentazioni da shredder. Molto apprezzabile l’interazione con i presenti, con Nuno che ride e scherza, e simpatico davvero è l’angle che vede coinvolta una bottiglia di Corona, rea di non essere una birra italiana in Italia. Ma era solo questione di tempo, ed il momento atteso da tutti è giunto, perchè viene portato sul palco un altro sgabello: Cherone scherza ed annuncia la canzone per la quale, volenti o nolenti, gli Extreme saranno ricordati, e Nuno attacca con “Stairway To Heaven”, con il cantante che sorridendo cerca di fargli capire che questa non l’hanno scritta loro, momento, questo, che fa esplodere il Live Club in una grassa risata. Solo le prime note di “More Than Words” vengono accennate, dopo le quali la chitarra si ferma e Cherone non attacca neppure a cantare, tanto sarebbe inutile la sua voce tra quelle di un intero locale che canta in coro, per un istante davvero da pelle d’oca. Viene lasciato spazio alla sezione strumentale e “Cupid’s Dead” vede una prima parte con Nuno al microfono e Cherone fuori stage ad aggiungere preziosissimi vocalizzi. Splendida in versione live è “Am I Ever Gonna Change”, con i suoi cambi drastici ed improvvisi, così come colpisce la gioia di “Take Us Alive”, poco conosciuta dai fan ma comunque apprezzata. Ci avviamo verso il finale dello show ed è il momento di qualche considerazione in corsa. La band è eccezionale, non ci sono altri termini: Gary Cherone possiede un carisma incredibile e carattere da vendere, tanto da poter far saltare anche una pietra, si muove con una sicurezza che molti suoi colleghi più quotati si sognano, e per l’occasione è anche davvero ‘in voce’, riuscendo a prendere con nonchalance quasi tutte le note appartenenti a pezzi che risalgono ormai a oltre venticinque anni fa; davvero perfetti si confermano Pat Badger e Kevin Figueiredo, meno vistosi ma autori di una prova maiuscola; e che dire di Bettencourt? Tutti i cori sono per lui, tutti gli strilli sono per lui, che si conferma uno dei più grandi chitarristi al mondo, non perdendo occasione per dimostrarlo. Il pubblico supporta ed approva, canta e si dimena, facendosi sentire a gran voce, anche se la scarsa conoscenza dei brani dagli ultimi due dischi è a dir poco palese. Nuno imbraccia una chitarra acustica, che a questo punto del set significa una cosa sola: “Hole Hearted”, che scatena una grande festa tra i fan e che si trasforma nel finale in nientemeno che “Crazy Little Thing Called Love” dei Queen. Finale di set che vede ancora il chitarrista protagonista, con l’incredibile solo iniziale di “He-Man Woman Hater”, prolungato ed arricchito, che lascia tutti i presenti senza fiato; e poi la classicissima “Decadence Dance”, cantata sing along da tutti parola per parola. Si riprende con luci ad effetto per “Warheads”, ma è una cover a chiudere a sorpresa lo show: “We Are The Champions” dei Queen, che trasforma un concerto eccezionale in un vero trionfo. La band si raggruppa a centropalco, ma Cherone non ne vuole sapere di andarsene, quindi scende alla transenna per stringere più mani possibili dopo un concerto incredibile. Se ci voleva una serata da ricordare per chiudere la stagione concertistica, ne abbiamo avuta una che rimarrà nella memoria a lungo.