A volte è bello anche approcciarsi a manifestazioni underground senza per forza conoscere tutte le band coinvolte, semplicemente per sorprendersi e scoprire qualche realtà fino a quel momento sconosciuta. Per forza di cose, seguire un genere di musica da tanti anni toglie il brivido della scoperta di sonorità nuove e le manifestazioni underground di un certo livello ci sembrano, ora come ora, una possibilità importante in questo senso, più concreta che dozzine di streaming quasi casuali che si possono ottenere da varie piattaforme online.
Insomma, incontrare una band nuova sul palco in una occasione di un certo livello – in grado di garantire suoni e atmosfere giuste – resta il viatico di conoscenza musicale migliore, almeno a nostro modo di vedere.
Sono stati proprio questi i presupposti che ci hanno condotto, per il secondo anno di fila, a partecipare al Fall Of Man in quel di Monaco, dopo la bellissima esperienza avuta l’anno scorso (quando avevamo deciso di provare questo festival di un giorno perché già in zona anche per un altro evento).
Per chi non conoscesse l’evento, il Fall Of Man si svolge a Monaco presso il Backstage, venue storica della città ormai da qualche anno ed è arrivato alla sua sesta edizione. La scelta delle line-up è sempre sorprendente, in grado di mescolare vari tipi di black metal, doom più o meno estremo, ambient e sonorità elettroniche, e l’roganizzazione dimostra anche un certo coraggio nel posizionare i gruppi: nella scorsa edizione fu il progetto Bedouin Temple ad essere headliner col suo drone/doom psichedelico, mentre quest’anno è toccato invece a Treha Sektori e il suo dark ambient fortemente connotato dalle performance visuali.
Quando fuori c’è già una discreta fila, attorno alle 17 si aprono le porte della sala media del Backstage. Non facciamo quasi nemmeno in tempo ad accomodarci che a dare il via alla manifestazione è un intermezzo di figuranti mascherati che irrompono nel locale danzando e suonando campanelli e percussioni; il tema è quello degli spiriti della foresta e le sembianze affini a quelle dei Krampus.
Dopo alcuni minuti il piacevole interludio si ferma e finché attendiamo l’inizio delle esibizioni musicali vere e proprie ci guardiamo attorno per sentirci a casa. In fondo alla sala è già pronto il muro di merchandise delle varie band, il bar è attivo e tutto sembra premettere una serata soddisfacente.
La prima a salire sul palco è l’islandese MONDERNTE, cantautrice solista che ci propone il la sua ‘aural luciferian witchcraft’ che consiste – musicalmente parlando – in una sorta di ritual folk con accenti estremi dove lei si occupa di chitarra semi-distorta e voce, accompagnata dalle basi. Fanno parte dell’allestimento di scena anche incensi, candele ed una bottiglia di vino da cui la giovane S.W.R. attinge qualche sorso mentre discute le canzoni.
Si esprime, purtroppo per noi, in lingua tedesca: avremmo gradito capire qualcosa di più sul concept visto che il risultato complessivo ci sembra quantomeno interessante, anche a livello di originalità. Non avendo conoscenze precedenti su Mondernte, il suono complessivo ci pare intrigante, anche se i pezzi si distinguono più che altro dalle melodie di voce, unico elemento veramente discriminante. Molto suggestiva l’esibizione, comunque, anche se si sente la mancanza di una band più ‘completa’ attorno a lei. Ci ripromettiamo di approfondire quanto prima.
Dopo un soundcheck puntuale, tocca ai TAV, e rimaniamo ben presto affascinati dal loro atmospheric dark rock che profuma di Katatonia, The Cure e molto, molto altro.
Conoscevamo per sommi capi la proposta della band tedesca ed eravamo abbastanza curiosi di vederli sul palco per due motivi: vedere come può rendere un genere di musica rielaborato in modo originale come il loro e verificare la tenuta sul palco della voce.
Misteriosissimi dal vivo tanto quanto negli scheletrici due album finora pubblicati su Vàn Records, in una sala quasi completamente buia i Tav iniziano e i nostri dubbi spariscono praticamente subito, quando ci rendiamo conto che la loro paradossale miscela funziona molto bene: doom, dark rock, richiami progressive, melodie vocali particolarissime in un insieme in cui sembra sempre di sentire qualche nume tutelare che va da una oscura versione del mondo di Steve Wilson ai The Cure, dai Katatonia a certi Hexvessel, anche se poi realmente i TAV non ricordano davvero mai nessuno.
E’ questa la loro vera forza: un’identità fortissima ma altrettanto difficilmente inquadrabile. Neanche a dirlo, appena finito il concerto ci siamo accaparrati i dischi, tra cui il recente, stupendo “The Ashen Trail”. Sorpresona.
Dopo di loro tocca ai belgi ISH KERIOTH, dediti ad un black metal più tradizionale, a volte vicini alla scuola dei connazionali Wiegedood, altre volte più affini alle atmosfere del Nidrosian black metal dei Celestial Bloodshed. Il loro set è violento e diretto, monolitico ma non troppo e risulta nel complesso molto piacevole. Notevole anche la presenza scenica che sul palco porta la formazione da tre a cinque elementi.
Nuovamente black metal più ortodosso è quello dei PAKKT, altra misteriosa band tedesca con un solo album all’attivo, “To Brocken Heights Where Witches Dance” uscito ormai nel 2021, sempre su Vàn.
I nostri sono forse la band più tradizionale come impatto scenico e suoni (ancor di più degli Ish Kerioth, se vogliamo) e la testa di animale appesa all’asta del microfono richiama un certo black metal ‘di una volta’, oltre ad aver diffuso anche un certo odore un po’ sgradevole (a causa di cui, a fine esibizione, le porte anti-incendio della sala sono rimaste aperte per cambiare giustamente l’aria).
Il loro impatto frontale è chiaramente quello dei vecchi Mayhem, Taake e la scuola nordica su cui emerge chiaramente l’approccio punk alla Carpathian Forest: anche il loro set sembra molto gradito dall’ormai quasi piena sala del Backstage che conferma come il Fall Of Man – seppur non soldout come lo scorso anno – abbia ottenuto un buon successo.
Sono ormai le otto e mezza di sera, siamo riusciti a cenare a bere birra a sufficienza per goderci gli ultimi gruppi: quando rientriamo dalla cena hanno iniziato da poco gli austriaci KRINGA, che avrebbero dovuto esibirsi l’anno scorso ma furono cancellati all’ultimo.
Il loro è un black metal che dopo due band più tradizionaliste come Ish Kerioth e Pakkt si dimostra da subito più ragionato e progressivo, ma altrettanto oscuro.
Si alternano alle sfuriate su tempi veloci tappeti di doppia cassa e marce funebri su cui spiccano voci abrasive ma anche in pulito, in pieno stile Nidrosian black metal: se con gli Ish Kerioth c’erano stati accenni, con i Kringa Celestial Bloodshed, Darvaza, One Tail One Head e tutto il black metal di Trondheim è davvero un riferimento.
Non è l’unico però, perché noi ci abbiamo sentito anche una voglia di sperimentare e di andare oltre, verso territori quasi psichedelici e ipnotici, con brani sorretti da riff volutamente ripetitivi e da un basso decisamente in evidenza. Particolari sicuramente, ci siamo ora ripromessi di studiarli su disco.
Dopo l’esibizione partecipatissima e acclamata dei Kringa tocca ad una band di cui eravamo realmente curiosi, ovvero i SILVER KNIFE, progetto di musicisti provenienti da Belgio, Francia e Olanda che sono attivi già in diverse band ‘calde’ negli ultimi anni come Wolvennest, Laster, Häxenzijrkell, Hypothermia, Vuur & Zijde. Completamente privi di look black metal classico, i cinque ci mettono poco a mettere a ferro e fuoco il Backstage con il loro black metal densissimo, atmosferico e violento allo stesso tempo. Le urla che sovrastano i muri di chitarre sono quasi disumane e l’assalto sonoro dei Silver Knife è incessante, tagliato soltanto da melodie e crescendo di chitarra. Esibizione semplicissima ma intensissima. Seconda grande sorpresa della serata.
Cominciamo ad essere un po’ stanchi, quando mancano due band per concludere la kermesse, ma siamo anche molto esaltati per quanto visto: abbiamo già il nostro bottino di dischi e flyer per approfondire le band viste.
Decidiamo di concederci una pausa e posizionati con qualcosa da bere a fondo sala, ci godiamo i KVELGEYST, ovvero due membri degli svizzeri Ungfell che si propongono in una versione più folk.
L’ultimo “Blut, Milch Und Tränen” era un disco che andava a riprendere i Finntroll e gli stessi Ungfell ma che si inoltrava poi in territori più complessi, quasi teatrali per l’uso delle voci e delle tastiere. Dal vivo i nostri invece sono molto più diretti e classici ed emerge soprattutto la vena folk-black alla Finntroll. Il loro set è positivo, sorretto come tutti gli altri da grandi suoni fin da subito e con un’importante presenza scenica, fattore da non dare per scontato quando si parla delle band appartenenti alla scena svizzera chiamata “Helvetic Underground Commitee” che sono abbastanza difficili da vedere in tour.
Con qualche minuto di ritardo conclude la serata TREHA SEKTORI con il suo dark ambient altamente collegato alla parte visuale.
Ci spieghiamo meglio: quasi sempre generi come dark ambient o power electronics hanno una controparte visuale che accompagna le esibizioni, ma quella di Dehn Sora non si ferma di sicuro a qualche immagine o filmato in background.
Le sue collaborazioni con gli Amen Ra – e più in generale con la Church Of Ra – e soprattutto l’ultimo periodo legato al disco “Rejet”, nascono proprio come parte visuale che si sviluppa contemporaneamente alla musica, senza contare l’utilizzo di strumenti fatti a mano e organici.
Il suo set presentato negli ultimi anni, allestito in una sorta di impalcatura in cui si mostrano erbe e ossa di animali, è una delle suggestioni più belle e iconiche in un genere che sembra aver detto ormai quasi tutto, a livello visivo. Stasera assistiamo ad un set di palco più semplice, ma ci godiamo comunque le atmosfere decisamente riconoscibili del Nostro. Tetro, rituale, ma non disturbante, il suo set è esattamente quello che ci aspettavamo.
L’esibizione avrebbe dovuto includere una collaborazione sul palco con la francese Mütterlein e quindi, teoricamente, anche la presenza della voce, ma non possiamo di certo dirci malcontenti di quanto abbiamo sentito da Treha Sektori.
Per poter arrivare a prendere la giusta metropolitana usciamo dal Backstage poco prima che Dehn Sora finisca, anche stavolta molto stanchi ma altrettanto felici di aver potuto scoprire nuove realtà underground.