Report di Riccardo Plata
Foto di Pamela Mastrototaro
L’evento più atteso dell’anno? Per molti dei presenti stasera probabilmente sì, il che fa riflettere considerando che fino a qualche anno fa i Falling In Reverse erano relativamente poco noti in Italia (dove peraltro mancavano da quasi dieci anni), se non per i trascorsi di Ronnie Radke negli Escape The Fate.
Ebbene, tutto è cambiato con l’uscita di “Popular Monster” qualche mese fa, sublimazione di un hype crescente negli ultimi anni grazie a singoli e video sempre più spettacolari in grado di ridefinire i confini del nu-metalcore: non stupisce dunque che i biglietti per il Fabrique siano stati polverizzati nel giro di poche ore, e anche la ben più ampia location dell’Unipol Forum risulta stasera ben affollata sia nel parterre che sugli spalti, se pur coperti da un telo nella parte alta del palazzetto.
Tanta attesa sembra aver ulteriormente caricato Ronnie per il suo debutto nel Belpaese, mentre a scaldare a dovere gli astanti ci sono due gruppi spalla di livello: persi per il traffico milanese gli Sleep Theory, ci prepariamo dunque a rivedere con piacere gli Hollywood Undead, ultima scintilla del nu metal d’inizio secolo e fonte assicurata di divertimento per grandi e piccini…
Il pubblico italiano ha dovuto aspettare otto anni per vedere per la prima volta gli HOLLYWOOD UNDEAD in azione, ma da allora le occasioni fortunatamente non sono mancate: con quella di oggi siamo infatti alla sesta data di Charlie Scene e soci nel Nord Italia, seppur per lo più in veste di supporto come stasera.
Il palco grande permette una gestione ottimale degli spazi per i sei musicisti – fautori di un nu/rap metal vecchia scuola con ben quattro cantanti a dividersi le parti vocali – anche se qualcosa nel mix non sembra funzionare a dovere nei primi due pezzi: ad eccezione dei ritornelli di Danny Murillo, l’intreccio delle voci sulle strofe di “California Dreaming” e “Chaos” risultano un po’ impastate: questo, unito ad un comparto luci volgente al chiaroscuro, non aiuta ad apprezzare appieno l’esecuzione dei sei musicisti sul palco (stasera senza maschere per tutto lo show).
Per fortuna, già dalla successiva “Riot” le cose iniziano a girare per il verso giusto, e quando si arriva alla storica “Everywhere I Go” il party officiato dall’MC Johnny 3 Tears e dal sodale Charlie Scene può cominciare ufficialmente, con i consueti palloni gonfiabili lanciati sulle prime file. Un’altra usanza ormai consolidata ai loro show è quella di chiamare sul palco una persona in platea per suonare con loro: stavolta tocca a tale Francesco affiancare J Dog alla chitarra durante l’esecuzione di “Comin Hot”, preceduta da un divertente siparietto che contribuisce ad aumentare l’interazione con il pubblico, mandato ancora più su di giri con la danzereccia “Warchild” e una “Another Way Out” che sfuma in un medley con “Du Hast”.
Il tamarrometro della serata tocca verosimilmente il punto più alto con i synth a pallettoni di “Ruin My Life”, secondo estratto serale dall’ultimo “Hotel Kalifornia” su cui Funny Man prende i riflettori, mentre il nuovo singolo “Hollywood Forever” apre un momento più riflessivo: “Sweet Caroline”, cover di Neil Diamond, porta sul palco la chitarra acustica e funge da preludio a “Bullet”, pezzo simil-country dall’andamento allegro ma dal testo tristemente drammatico.
Nel mezzo, spazio per il ripescaggio della linkinparkiana “Hear Me Now” prima di chiudere in bellezza con “Undead”, ‘signature song’ grazie anche al campionamento del celebre riff di Randy Rhoads su “Crazy Train”.
Uno show di quasi un’ora di questo livello è più vicino ad una performance da co-headliner che da semplice gruppo spalla, e quest’impressione subitanea troverà a conferma a fine show, anche se sul momento l’attesa è tutta per l’arrivo dei FALLING IN REVERSE.
Alle 21.30 in punto le casse iniziano a sparare a tutto volume “Highway To Hell” degli AC/DC mentre il megaschermo ci porta dentro il backstage, con un Ronnie Radke visibilmente su di giri che passa a salutare i colleghi nei camerini e carica la band prima di salire sul palco del Forum; al suo arrivo le luci si spengono, ma ad illuminare a giorno l’intera location ci pensano lo stuolo di smartphone intenti ad immortalare l’ingresso sulle note di “Prequel”, cerimoniale introduttivo perfettamente officiato dal pluritatuato cantante, in un crescendo emotivo che trova piena esplosione (letteralmente, visto lo spettacolo pirotecnico che si scatena sul palco) sulle note di “Zombified”: un’accoppiata perfetta, in grado di scatenare da subito la bolgia in mezzo al parterre mentre il mega schermo inizia a trasmettere il ricco palinsesto dei video che accompagnano le canzoni in scaletta.
Da qui però si apre una lunga parentesi che, a parte la più rappata “Bady Guy”, pesca a piene mani dal vecchio catalogo dei Falling In Reverse: intendiamoci, “I’m Not A Vampire”, “Fuck You And All Your Friends” e “The Drug In Me Is You” sono pezzi anche divertenti nel loro miscuglio di emo, metalcore, pop punk e glam, ma esattamente come il repertorio degli Escape The Fate (ex band di Ronnie, dal cui debutto viene ripescata la vecchia “Situations”) sono più da palco B dell’Alcatraz che da palazzetto. Sia come sia, il pubblico sembra comunque apprezzare, e alcune trovate come la Asshole Cam di “Just Like You” (body cam che inquadra il pubblico sul megaschermo, scimmiottando quelle degli eventi sportivi statunitensi) risultano anche simpatiche, per quanto semplice contorno rispetto al piatto forte previsto per gli encore.
L’uscita di scena dopo poco più di mezz’ora suona un po’ ridicola, ma ancora una volta abbiamo modo di assistere al dietro le quinte con un corpulento cowboy che richiama i cinque sul palco per “All My Life”, improbabile divagazione country-deathcore che dal vivo riesce comunque a strappare un sorriso, con il bassista intento a fare le veci di Jelly Roll.
Da qui in poi si torna invece a fare sul serio: “Popular Monster” e “Voices In My Head” alzano la temperatura già bollente per effetto delle fiammate, prima del gran finale di “Roland” e “Watch The World Burn”: al netto dell’ampio uso di basi registrate (compresa la parte rappata di Tech9) e dell’effetto un po’ ridicolo del simil-lanciafiamme impugnato da Ronnie (di fatto una fontana scintillante per bambini, rispetto a quelle cui ci ha abituato Till Lindemann) dal vivo gli estratti dell’ultimo disco non perdono un’oncia della loro potenza, ponendoli in scia a Linkin Park e Bring Me The Horizon come portabandiera del metal moderno più mainstream.
Resta un dubbio sul tempo effettivo di gioco – un’ora e spicci, contando anche intro e outro – ma è pur vero che l’ultimo disco è stato suonato per otto undicesimi: per questa volta pollice alzato vista la qualità dei nuovi brani e lo show degli Hollywood Undead, confidando per il futuro ci siano pezzi dello stesso livello per rimpolpare la scaletta.
SLEEP THEORY
HOLLYWOOD UNDEAD
FALLING IN REVERSE