A cura di Claudio Luciani
Abbiamo presenziato anche noi alla quarta edizione del Faust Extreme Fest, svoltosi al The Jungle di Cascina (PI). L’occasione era particolarmente ghiotta, perché offriva la possibilità di verificare la resa live di alcuni gruppi passati al setaccio delle nostre recensioni, oltre che la graditissima presenza di un vero e proprio pezzo di storia dell’estremo come gli Exhumed. Si è trattato di pomeriggio e serata molto piacevoli, all’insegna del metal estremo, della birra e della familiarizzazione: essendo il festival di natura prettamente underground, si è resa possibile una mescolanza totale tra pubblico e musicisti, con relativo e gradevole scambio d’opinioni. Ricordiamo, infine, che questo report si riferisce alla prima giornata del festival (sabato 20), dal momento che – per motivi logistici – non abbiamo potuto presenziare alla seconda. Buona lettura!
DEAD SOUL
Aprono le danze i Dead Soul, già sulle nostre pagine in sede di recensione. Fautori di un thrash metal molto urlato e molto convenzionale, riescono a far valere su palco il loro spirito ottantiano, anche se dal punto di vista del mero intrattenimento non impressionano granché. Ci sentiamo di esprimere un moto di solidarietà nei loro confronti, visto che – essendo i primi – hanno suonato davanti a pochissima gente.
MASS IDOLATRY
La definizione perfetta per la musica di questi ragazzi è “casino infernale”, trattandosi di un grind ferocissimo sullo stile dei Rotten Sound. Dal vivo sono risultati debitamente efficaci grazie a pezzi brevi e diretti, sinceramente aggressivi, ma non particolarmente ripetitivi. Le caratteristiche che meglio esemplificano il songwriting dei Mass Idolatry sono rappresentate dalle accelerazioni, sempre spiazzanti, e dalle ritmiche serratissime. Questa band è nata da poco, ma mostra già una certa dimestichezza sul palco che, con ogni probabilità, viene dalle esperienze che i vari membri hanno maturato in passato (due di loro, ad esempio, suonano nei Sickening): quel che è certo è che un gruppo del genere lo accoglieremmo volentieri sulle nostre pagine.
KRYSANTEMIA
Altro gruppo già passato dalle nostre pagine, i Krysantemia propongono un thrash quadrato e robusto e, sostanzialmente, confermano quello che abbiamo detto in recensione. Si ha continuamente l’impressione di ascoltare una band “trattenuta”, nel senso che non va mai oltre il “compito base”, col risultato che (non ce ne vogliano gli interessati) la loro esibizione ci è sembrata piuttosto noiosa, oltre che “aggravata” da una cover non eccelsa di “Bloodline” degli Slayer, seguita da una cover di “Refuse, Resist”, andata certamente meglio (anche se, in nostra opinione, carente nell’interpretazione e nella prova vocale da parte del cantante).
SUICIDAL CAUSTICITY
Era con una certa curiosità che li attendevamo, dopo averne recensito positivamente l’esordio ed esserci domandati, in sede di intervista, come i loro pezzi potessero funzionare dal vivo. Ebbene, la risposta è stata oltre la migliore delle conferme, potendo ammirare una delle più brillanti prestazioni della giornata. I Suicidal Causticity si mostrano bravi e parecchio coesi: per riproporre fedelmente il loro repertorio non c’è, infatti, solo bisogno di un profondo e fornito bagaglio tecnico (di cui, teniamo a sottolineare, ogni membro dispone), ma anche di un forte affiatamento tra i vari componenti del gruppo. Il risultato è quello auspicato e auspicabile: devastante, con pezzi come “Excised And Infibulated” e “A Suicidal Causticity” che dal vivo risultano perfino migliori, addirittura più isterici nei cambi di tempo e nelle variazioni, divenendo veri e propri manuali di aggressione incessante condotta con inestinguibile raziocinio. Abbiamo l’impressione di trovarci davanti a gente che farà strada: solo il tempo potrà, eventualmente, smentirci. Più che degno di nota anche il loro atteggiamento verso il pubblico, positivo e amichevole.
HYAENA RABID
Ecco a voi tra i più scalmanati cantori locali del marciume esistenziale, gli Hyaena Rabid. Si presentano sul palco con la loro intro tracimante allarme, preparando il terreno per ciò che, fondamentalmente, è grind d’assalto, sgarbato come una pioggia di sputi in pieno viso e dalla smaccata attitudine punk-hardcore (mostrata da pezzi come “Chupacabras”, con la sua struttura dritta e sparata). Ovviamente questa band non è “solo” veloce, ma esercita anche un discreto controllo sull’organizzazione delle proprie composizioni, mettendo spesso in mostra cambi di tempo efficaci e un sound piuttosto personale, sostenuto da un drumming secco, tagliente e preciso. Il concerto prosegue e vengono suonati quelli che qualcuno definirebbe i “classici” della band: “Freak Mafia”, degna ode alla bruttura e alla deformità, e “Les Filles Qui Frappent Son Tres Effreyantes”, la cui parte centrale suona quasi come un blues apocalittico. Certamente una buona esibizione, con picchi di “splendore assoluto” allorquando, durante “Bullfrog Petardo” (sorta di requiem per rospi morti scoppiati dall’introduzione di sigarette nel relativo cavo orale), Gabriele Diana (cantante) ha mostrato la sua competenza nel ballo della Macarena. Alè!
SUBHUMAN
E’ il momento dei padroni di casa, i pisani Subhuman, capitanati dallo (oscenamente) loquace frontman Zula. Si tratta di una band garanzia, nel senso che, qualsiasi cosa possano combinare su disco, dal punto di vista live daranno sempre il massimo, facendo “scapocciare” un po’ tutti i presenti col loro ibrido thrash-death quadrato e virulento, spesso e volentieri anche sguaiato. La loro prestazione è arrembante e muscolosa, volta a “pestare nel muso” qualsiasi cosa gli si pari davanti, grazie anche alla bontà dei suoni (di cui, ricordiamo, hanno goduto tutte le band). Nonostante il genere che i Subhuman praticano mostri delle tipiche ed endemiche incompiutezze, la band non pare esserne affetta, dal momento che non perde mai di vista groove, pesantezza e dinamica (grazie ad accelerazioni veementi), col risultato che tutti i pezzi sono di immediata e gradevole fruizione.
EXHUMED
Ultimo e più importante gruppo in scaletta, poco dopo le 23 salgono sul palco gli Exhumed, che – almeno fra i fanatici dell’estremo – non hanno bisogno di presentazioni. Sin dal primo pezzo si capisce che non faranno prigionieri grazie ad un maciullamento continuo e sordido, talmente spinto che per descrivere la loro esibizione ci viene in mente una sola (e, probabilmente, prevedibile) immagine: un maiale massacrato a coltellate. Tanto, infatti, un quadro del genere si compone di un’orgia esasperata di colpi impazziti, grida lancinanti e zampilli di sangue, quanto la prestazione della band risulta un’orgia inferocita di urla, gorgoglii e assoli che “zampillano” tra le rasoiate inferte da blastbeat deraglianti. La scaletta è piuttosto varia e, pur con un occhio di riguardo agli ultimi due lavori (“All Guts, No Glory” e “Necrocracy”, 2011 e 2013 rispettivamente), spazia tra i vari album della band, mettendo in buona evidenza pezzi come “Through Cadaver Eyes”, con la sua parte centrale trainante, “Slaughtercult”, resa al massimo delle sue possibilità espressive e “As Hammer To Anvil”. Gli Exhumed suonano per un’oretta senza pause e senza sosta, muovendosi continuamente e confermando un’ottima presenza scenica, suggellata a metà spettacolo dall’ingresso – sul palco – di un ipotetico incrocio tra Otis e il Dr.Satana (riferimento a “La Casa Dei Mille Corpi”, ndR), con tanto di motosega brandita e pose da b-movies: inutile dire quanto i nostri cuori abbiano traboccato fanciullesco trasporto. Il concerto prosegue sotto la spinta, pazzesca in verità, del batterista Mike Hamilton, che risulta una delle travi portanti di una band la quale non ha, comunque, punti deboli in termini di qualità singole: ricordiamo anche la perizia di Bud Burke, rientrato nella band come chitarrista lo scorso anno ed autore di una curiosa scenetta. Verso la chiusura del concerto ha infatti iniziato ad esibirsi in un solo che “lo porterà alla pazzia”, finendo per stendersi a pugni da sé (non è dato sapere quanto realmente), per poi venire “soccorso” dal suddetto pittoresco personaggio con motosega. Dopo vari tentativi per mezzo di elettroshock, il nostro eroe torna alla vita facendosi rovesciare in bocca un’intera lattina di birra: pensate quello che vi pare, ma queste volgari manifestazioni di abilità ci hanno sempre convinto. Il concerto riprende e il massacro continua, per poi venire chiuso dall’immarcescibile inno “The Matter Of Splatter”, tra gli applausi di tutti quanti.