Report a cura di Emilio Cortese
Foto a cura di Enrico Dal Boni
Altro tour di supporto all’ultima album in studio per i Fear Factory che, dopo il ritorno di Dino Cazares alla chitarra, devono ancora fermarsi un secondo tra festival estivi, tour e controtour di supporto a quel “Mechanize” uscito ad inizio del 2010. Ma i nostri sono in buona compagnia: Daath e High On Fire, entrambi freschi freschi di studio album, scalderanno a dovere un pubblico per la verità non molto numeroso. Vuoi perché in effetti i Fear Factory quest’anno erano già passati dall’Italia, ma è con buone motivazioni che riteniamo che molti siano stati frenati da un costo del biglietto un po’ eccessivo: 32 Euro per tre band soltanto ci sembra un tantino esagerato. Ma passiamo ora alla disamina dei singoli show.
DAATH
Ad aprire le danze sono gli americani Daath, forti del loro quarto disco in studio. Diciamo che chi scrive li ha sempre ritenuti una band piuttosto sopravvalutata, dato che è “spacciata” da molti come nuova promessa in ambito estremo. In verità, su disco, questo gruppo ci è sempre risultato piuttosto derivativo, dato che pesca a piene mani da sonorità talvolta simil-Darkane, talvolta simil-Morbid Angel e ultimamente anche simil-Lamb Of God. Ammettiamo quindi di essere partiti un po’ prevenuti nell’apprestarci alla fruizione del loro show, ma dopo qualche pezzo ci siamo trovati ad avanzare tra le file incuriositi e sostanzialmente abbracciati dal loro sound. Purtroppo i suoni erano tutt’altro che perfetti: decisamente troppo alte le tonalità basse e con dei volumi sparati ad una potenza ingiustificata. Nonostante ciò ci siamo goduti il loro piacevole show fino alla fine, godendo anche di un mini assolo di batteria di Kevin Talley (ex- Chimaira, Hate Eternal, Decrepith Birth, e tanti altri). Mezzo punto in più per la barba di Sean Zatorsky, davvero notevole!
HIGH ON FIRE
E finalmente arriva anche il turno degli High On Fire, forse gli unici ad essere un po’ dei pesci fuor d’acqua in questo concerto, ma che comunque hanno richiamato un certo numero di fan accorsi soltanto per assistere all’esibizione di Pike e soci. E diciamo sin da subito che ne è valsa decisamente la pena! Lo stoner del terzetto californiano è davvero trascinante e sin dalle note di “Frost Hammer” ci avvolge in un vorticoso susseguirsi di assoli e riff pesantissimi, macinati dall’incessante e cavalcante batteria di Kensel. Ci risulta un po’ difficile mettere per iscritto le emozioni che la musica degli High On Fire riesce a suscitare, in quanto si passa da momenti di paranoia ad altri di adrenalina incontrollabile, spaziando tra suite dalla potenza imperiosa amalgamando il tutto con uno stile davvero inconfondibile. Comprensibilmente i nostri, visto il poco tempo a disposizione, preferiscono dare più spazio ai brani del loro ultimo disco “Snakes For The Divine”, ma l’accoppiata di brani come “Turk” e soprattutto la terremotante “Rumors Of War”, estratte da “Death Is This Communion”, ci tiene letteralmente con la testa bassa a squassare la chioma incessantemente. La stupenda “Silver Back” è purtroppo l’unica canzone da “Blessed Black Wings”, ma abbiamo avuto comunque il tempo di provare brividi lungo la schiena durante questo pezzo… saremmo stati a sentirli per ore e ore, una quarantina di minuti per una band del genere sono quasi un’ingiustizia, specie se dal punto di vista tecnico questa sera si sono rivelati di gran lunga superiori agli headliner. Applausi scroscianti e speriamo di rivederli molto presto con molto più tempo a disposizione.
FEAR FACTORY
E’ con vero e sincero dispiacere che ci apprestiamo a scrivere male di una band che chi scrive ha letteralmente adorato e osannato per molto tempo. Intendiamoci, non siamo di certo a mettere in discussione l’importanza storica dei Fear Factory: un gruppo che con questi suoni futuristici, questa doppia gran cassa ultratriggerata e questi riff mitragliati è stato alfiere di un certo modo di intendere metal ed ha influenzato – e tutt’oggi influenza – gruppi su gruppi. Ma purtroppo il concerto di stasera è tutto fuorché un concerto da ricordare positivamente, specialmente per quel che concerne le parti vocali di Burton C. Bell, a dir poco imbarazzanti. “Mechanize” e “Fear Campaign” aprono le danze e sulle prime siamo quasi increduli, il frontman dei Fear Factory è costantemente in affanno, e se tutto procede bene sulle parti in growl, quando arrivano i ritornelli c’è da mettersi realmente le mani nei capelli in quanto non azzecca un’intonazione nemmeno per sbaglio. Con “Shock” le cose vanno un pochino meglio, ma per buona parte del concerto tra il pubblico ci si guarda attoniti e perplessi. Qualcuno ci avrà anche fatto l’abitudine, ma chi scrive purtoppo non riesce ad accettare il fatto che un cantante esperto e navigato del calibro di Burton non sia in grado di riproporre le canzoni che egli stesso scrive in sede live. E non si trattava di una serata storta, dato che è risaputo che questo cantante non è in grado di cantare in maniera decente dal vivo. Parlando del resto del gruppo, rileviamo anche alcune imprecisioni da parte di Dino Cazares che talvolta fatica a seguire la macchina umana che porta il nome di Gene Hoglan, che intanto si cimenta in acrobazie e numeri da giocoliere dietro alle pelli. Le difficoltà maggiori vengono riscontrate soprattutto nei pezzi nuovi, con i quali i nostri non sembrano aver preso ancora confidenza (forse perché in effetti non sono per niente irresistibili?), infatti su pezzi come “Martyr” le cose vanno decisamente meglio per tutti. Il finale salva capra e cavoli, con cinque pezzi direttamente da quel capolavoro di disco che porta il nome di “Demanufacture”. Ecco quindi che la title track è seguita a ruota da “Self Bias Resistor”, “Zero Signal”, “Dog Day Sunrise” e, chiude il concerto la mitica “Replica”. Senza questo finale stratosferico, dove persino Bell è riuscito fare tutto a dovere, avremmo parlato senza mezzi termini di un concerto fallimentare. Urgono rimedi per questi Fear Factory, qualcuno dirà: “Ma i Fear Factory senza Bell non hanno senso!”. D’accordo, allora qualcuno insegni a quest’uomo a cantare, altrimenti è meglio far cantare i ritornelli al pubblico!