Introduzione a cura di Maurizio “morrizz” Borghi
Report a cura di Maurizio “morrizz” Borghi e Roberto Guerra
Fotografie di Riccardo Plata
Già dall’annuncio, il tour dei Five Finger Death Punch a ridosso della pubblicazione dell’ottavo album in studio, “F8”, aveva fatto scalpore. A scuotere la comunità metal non è stato il passo avanti in termini di dimensioni – questo è il primo tour in arene e palazzetti che ha sancito il ‘pareggio di audience’ tra Europa e Stati Uniti – quanto i supporter diretti: avere i Megadeth come opener era un’opzione incredibile che, dalle nostre parti, è chiaramente sconfinata nell’eresia. Certo, Dave Mustaine è appena uscito dall’incubo di un tumore alla gola e con tutta probabilità non sarebbe in grado di affrontare un set completo, e questo tour è un ottimo mezzo per rimettersi in carreggiata senza rischiare troppo; al contempo avvicendandosi al pubblico di un gruppo più moderno e sulla cresta dell’onda come i 5FDP. C’è però l’aria di un passaggio di consegne, con una formazione inarrestabile che ha dimostrato di non avere intenzione di fermarsi davanti a nulla, costi quel che costi.
BAD WOLVES
Ad aprire questo Megadethpunch Tour sono chiamati i Bad Wolves, quintetto di veterani della scena di Los Angeles sotto l’ala protettrice di Zoltan. Il frontman Tommy Vext (Divine Heresy, Snot) è stato in panchina come diretto sostituto di Ivan Moody nel suo periodo più buio ed instabile, ma la vera notorietà per loro è arrivata con la cover di “Zombie” dei Cranberries, rilasciata proprio durante la triste dipartita di Dolores O’Riordan. Il gruppo ha saputo capitalizzare il successo con una serie di singoli dal grande tiro commerciale, ed eccolo velocemente a suonare ogni sera davanti a migliaia di persone. Il loro set si apre con “No Messiah”, che mette subito in luce le doti vocali di Vext, un frontman imponente che dimostra attributi canori francamente migliori di quanto ci aspettassimo. Il tempo a loro disposizione è ovviamente risicato, di conseguenza vengono proposti, come da copione, tutti i singoli di successo della band, sia quelli più pesanti e groovy (“Learn To Live”, “No Masters”) che quelli più ruffiani e radiofonici (“Remember When”, “Sober”, “Killing Me Slowly”). Le capacità tecniche del gruppo sono fuori discussione e fa anche strano vedere personaggi del calibro di Doc Coyle (God Forbid) e John Boecklin (Devildriver) alle prese con brani da heavy rotation, ma è chiaro come, con il secondo disco “Nation”, i Lupi Cattivi abbiano azzeccato la giusta miscela di groove e melodie, venendo proiettati alla velocità della luce nel giro che conta. Chiude il set l’immancabile “Zombie”, cantanta da Vext in mezzo a una platea già parecchio rumorosa. Saranno famosi.
(Maurizio Borghi)
Setlist
No Messiah
Learn To Live
Remember When
No Masters
Killing Me Slowly
Sober
I’ll Be There
Zombie (cover The Cranberries)
MEGADETH
Di polemiche in merito alla posizione dei leggendari Megadeth se ne sono lette tantissime, tra chi ha urlato al sacrilegio e chi, di tutta risposta, ha esultato riferendosi al futuro che prevarica sul passato, e così via. Ebbene, noi non siamo qui per portare avanti discorsi al limite dello sterile, ma per raccontarvi le emozioni provate al momento in cui le luci si abbassano e il ben noto intro inizia a risuonare nell’impianto, prima dell’ingresso on stage di Sua Maestà Dave Mustaine sulle note di “Hangar 18”, seguita dalla più recente “The Threat Is Real” e dalla malatissima “Sweating Bullets”. Bastano pochi minuti per mandare in delirio una notevole percentuale di presenti in sala, fra cui molti approfittano di moshpit e caos per farsi strada fino alle prime file, rigorosamente senza mai smettere di cantare a squarciagola in compagnia di un Dave vocalmente un po’ affaticato, come di consueto, ma che comunque se la cava egregiamente, in barba a quel maledetto cancro alla gola di recente guarigione. A tal proposito, quello che è indubbiamente uno dei frontman più iconici della storia del metal riesce letteralmente a commuoverci aprendosi e condividendo la sua recente esperienza con tutti i presenti, al seguito della quale non possiamo che inchinarci al pensiero della grinta incrollabile che continua imperterrita a spingere un grande musicista a calcare il palco. Strumentalmente siamo in pratica rasenti la perfezione e con una line-up del genere non c’è assolutamente da stupirsi; soprattutto nelle fasi soliste, in cui è quella belva delle sei corde che risponde al nome di Kiko Loureiro a rappresentare la vera stella della serata. Alla setlist si potrebbe rivolgere qualche critica, considerata l’assenza di alcuni inni immortali, ma la volontà di Dave & Co. di variare è palese, soprattutto al momento dell’accoppiata a base di “Angry Again” e “Dread And The Fugitive Mind”. Il poker finale è invece abbastanza prevedibile, a partire da “Dystopia” fino alle immancabili “Symphony Of Destruction”, “Peace Sells” e “Holy Wars… The Punishment Due”, sulle quali si toccano livelli di violenza e adrenalina ancora non sopraggiunti in precedenza, con tanto di lamentele e insulti da parte di alcuni esponenti del pubblico evidentemente poco inclini a stare nelle prime file durante uno show dei Megadeth. Con tutto l’amore nel cuore facciamo un applauso a questo incredibile pezzo di storia della musica, in attesa di un tour da headliner in cui saranno nuovamente loro i veri protagonisti, magari con un nuovo album all’altezza del nome.
(Roberto Guerra)
Setlist
Hangar 18
The Threat Is Real
Sweating Bullets
Conquer Or Die!
Trust
Angry Again
Dread And Fugitive Mind
Dystopia
Symphony Of Destruction
Peace Sells
Holy Wars… The Punishment Due
FIVE FINGER DEATH PUNCH
Domenica 16 febbraio 2020 è la data della consacrazione. La temperatura elevatissima dimostra in maniera evidente come l’Alcatraz sia a piena capacità, e il numero di maglie dei 5FDP e di facce con una mano rossa pitturata è indice del totale schieramento della folla. Di sicuro i Megadeth hanno portato tanta gente, ma l’Alcatraz è pieno per il combo di Las Vegas. Nessuno lascia la sala dopo l’esibizione dei ‘Deth, e quando attacca il tema del film “300” gli spartani sono pronti alla battaglia: “A-HU! A-HU!”. Il riff di “Lift Me Up”, sparato a volumi importanti, non è mai stato così pieno e distruttivo. Le urla del pubblico sono assordanti. Moody è in piedi sulla pedana e al suo fianco si posizionano Chris Kael, Charlie Engen, Zoltan Bathory e Andy James. Una partenza ad effetto che fa letteralmente esplodere chi conosce a menadito la discografia del gruppo e che lascia a bocca aperta quella piccola frazione di chi fino ad allora era rimasto incerto; d’altronde si tratta di uno dei migliori brani del repertorio del gruppo, che si configura come opener eccellente. Fa strano vedere sostituiti il batterista Jeremy Spencer (che ha mollato definitivamente per danni permanenti alla schiena e alle ginocchia) e Jason Hook (in pausa per motivi di salute), ma un suono mai così preciso e potente e la performance di fuoco di Ivan Moody fanno salire l’adrenalina oltre la soglia massima e cancellano ogni titubanza. Il magro Engen dietro le pelli è davvero incredibile e replica lo stile del batterista precedente senza alcuna difficoltà, tanto da potersi sobbarcare anche la parentesi assolo. Andy James è un chitarrista virtuoso che non ha bisogno di alcuna presentazione, e nonostante qualche piccola incertezza dimostra tutto il suo talento nella sua posa a gambe larghe protesa in avanti, col caratteristico sguardo duro e superiore da ‘guitar hero’. La scaletta da greatest hits è letteralmente a prova di pallottole e dà modo al gruppo di mostrare sia i lati più ruffiani che quelli più duri, tenendo sempre saldamente in pugno tutti i presenti. Credevamo che lo show si fosse fossilizzato su momenti caratteristici, ma anche da questo punto di vista troviamo un rituale rinnovato con siparietti inediti, come quello del momento acustico con Ivan e Zoltan su un divanetto (“The Tragic Truth” e “The Wrong Side Of Heaven”) e la consegna della mazza da baseball ad un fan nelle prime file; ma anche novità agli ‘effetti speciali’, ad esempio la pioggia di banconote personalizzate (con tanto di cazziatone al tecnico per la riuscita non proprio perfetta) e la coriandolata finale. Da questo punto di vista dobbiamo dire che lo show è stato anche fortemente penalizzato: essendo l’Alcatraz la venue nettamente più piccola del tour non è stato letteralmente possibile infilare la produzione sul palco; questo ha significato niente fuochi, un comparto luci e laser ridotto, niente pedane semovibili e niente teschio con mazze da baseball incrociate sullo sfondo. Viste le presenze e il sold out anticipato, l’evento non avrebbe sfigurato in una location come il Forum di Assago o il nuovo Lorenzini District, ma stavolta è andata così. Per l’unico inedito in scaletta (“Inside Out”) bisogna aspettare l’encore, e come sempre notiamo che la cifra stilistica è completamente allineata al passato in un brano tanto semplice ed orecchiabile quanto energico e di presa immediata. E’ bello vedere Ivan Moody lucido e consapevole, con il pieno controllo della sua voce, nel suo contatto diretto col pubblico e nelle sue mosse sopra le righe, che arriva senza alcuna fatica al finale di “Under And Over It” e “The Bleeding” per poi passare diversi minuti a compiacere le prime file con attenzioni speciali ai fan disabili nell’area lato palco. Considerate le mire espansionistiche in Asia e il tempo da dedicare alle Americhe, può darsi che ci sarà da aspettare per il prossimo appuntamento coi Five Finger Death Punch, ma siamo confidenti che torneranno sempre più forti e che il club milanese sta ormai davvero troppo stretto ad una band che continua a cavalcare un’onda di dimensioni spropositate.
(Maurizio Borghi)
Setlist
Lift Me Up
Trouble
Wash It All Away
Jekyll And Hyde
Sham Pain
Bad Company
Burn It Down
Got Your Six
The Agony Of Regret
The Tragic Truth
Wrong Side Of Heaven
Battle Born
Blue On Black
Coming Down
Never Enough
Burn MF
Encore
Inside Out
Under And Over It
The Bleeding