A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi
Foto di Riccardo Plata
Dopo meno di sei mesi dalla prima esibizione live in Italia, è tempo di fare sul serio per i Five Finger Death Punch, formazione sulla cresta dell’onda che sta facendo sfracelli nel Nuovo e Vecchio Continente. Pubblicata la doppia fatica “Wrong Side Of Heaven…” nel 2013, il gruppo ha dichiarato di volersi dedicare all’Europa: il successo è stato strepitoso, considerato che la quasi la totalità delle date del tour ha registrato il sold out anticipato. L’Italia al momento manca (almeno parzialmente) all’appello: l’Alcatraz in configurazione Palco B sfiora comunque il tutto esaurito, e l’atmosfera che si respira è comunque elettrica sin dal primo pomeriggio, complice la curiosità verso gli opener di tutto rispetto.
POP EVIL
È la prima volta in Italia per i Pop Evil: li conosciamo per il rock dalla mascella quadrata, farcito di grandi melodie e speranza tipico della scena USA. La loro proposta è valida, soprattutto per gli appassionati del genere, ma la scaletta sembra mancare di varietà e il frontman non è dotato di una voce stellare, di quelle che possono essere assolute protagoniste. I cinque dunque sopperiscono con una prova molto fisica, caratterizzata da un sacco di pose e movimento, soprattutto da parte del batterista Chachi Riot, vera e propria furia cieca che sembra voglia distruggere il kit con ampi movimenti delle braccia e alzandosi spesso dal seggiolino. La mezz’ora a loro disposizione scorre liscia, tanto che non possiamo che giudicare piacevole la prima esperienza italiana col rock/metal radiofonico di Leigh Kakaty e soci.
UPON A BURNING BODY
Il turno degli UABB è molto atteso, soprattutto tra chi ha voglia di buttar fuori un po’ di energia scuotendo i corpi nelle prime file. Sfortunatamente il deathcore del gruppo è bisognoso di cure ben più attente rispetto al gruppo d’apertura, attenzioni che però non arrivano a sufficienza, tanto che la prova generale viene pesantemente compromessa da volumi inadatti e un mixaggio totalmente inadeguato. Gli elegantoni sul palco in ogni caso sembrano non dar troppa importanza alla resa sonora (o forse non riescono a percepirla allo stesso modo di chi è di fronte a loro) e non sprecano un secondo di quelli a loro disposizione, consapevoli dell’occasione d’oro che questo tour europeo fornisce loro, sold-out dopo sold-out. Ovviamente l’atteggiamento dei “browns” è lontano da quello dei gruppi che li hanno preceduti, la loro furia è cieca e incontrollata, i breakdown devastano la platea e il divertimento è spontaneo viscerale. Il bello degli UABB è che non siamo davanti al solito deathcore: le sporadiche aperture melodiche e i cori che contraddistinguono i due dischi in studio vengono giustamente amplificati in sede live, così che il “Life Sucks And Then You Die” di “Sin City” o il coro finale di “Texas Blood Money” risultano memorabili per i sostenitori della band dal lobo dilatato e conquistano chi li ascolta per la prima volta. Don’t mess with Texas!
FIVE FINGER DEATH PUNCH
Le vibrazioni positive che abbiamo avvertito al debutto italiano di novembre 2013 si sono convertite in un pubblico che già li venera, e fa risuonare con botta-e-risposta il nome del gruppo a gran voce durante l’attesa febbrile pre-concerto, già da prima che l’Alcatraz li accolga. L’esibizione da headliner dei Five Finger è introdotta da ben due intro: un remix danzereccio di una loro canzone e “They’re Coming to Take Me Away, Ha-Haaa!” di Napoleon XVI, strana e demenziale marcia a base di batteria e tamburino che strappa un sorriso ai presenti (con tutta probabilità uno dei famosi scherzi del batterista Jeremy Spencer). E’ “Under And Over It” a rompere il ghiaccio e, oltre a trovarci di fronte a mixing spettacolare e volumi potenti, osserviamo come la band salga letteralmente in cattedra con un impatto sfigurante. Notiamo da subito che Chris Kael è più di una presenza massiccia: i suoi raddoppi sulle vocals sono davvero ottimi e contribuiscono al risultato di squadra. Un team variegato dove ognuno ha carisma e personalità, che emergono distintamente nel set. Ovviamente la parte del leone la fa Ivan Moody, che non ci vergogniamo di paragonare di nuovo al miglior Phil Anselmo per potenza comunicativa, che con la sua voce indistruttibile e potente guida senza indugi il gruppo di Las Vegas stabilendo un legame fortissimo coi presenti. Rimarranno nella memoria anche alcuni stratagemmi come la chitarra a led di Jason Hook, l’assolo dello stesso con indosso la bandiera tricolore, la doccia al nostro fotografo preferito Francesco Castaldo con successivo teatrino da parte di Ivan e l’intervento di un paio di soldati statunitensi raccolti dal pubblico e trattati da eroi. La scelta delle canzoni è stata assolutamente equilibrata, così come l’intensità è stata dosata a dovere con l’intermezzo acustico a separare “Burn Motherfucker” e la super heavy “Here To Die”, eseguita per la seconda volta in assoluto. I Five Finger hanno fatto anche a meno degli ospiti in “Lift Me Up” e “Mama Said Knock You Out”, andando a dimostrare in maniera ulteriore la propria solidità. Una band ‘on fire’ che si è già imposta in maniera importante anche in Europa, e con questa dimostrazione di forza la conquista dell’Italia (figurativamente del palco principale dell’Alcatraz) è solo ed esclusivamente una questione di tempo.