Live report a cura di Emilio Cortese
Dopo due anni di silenzio, l’Estragon di Bologna torna ad ospitare il festival che tanto era mancato al popolo dell’Emilia Romagna e non solo, un festival interamente dedicato alle sonorità metalcore, che quest’anno ha visto l’hardcore di band quali Terror, Born From Pain e Trapped Under Ice come protagonista assoluto. A concludere il tutto, poi, sono giunti i sempreverdi Devildriver, unica band che ritorna a calcare il palco del Flame Fest dopo che nel 2006 avevano sferragliato una prestazione sopra le righe infiammando un torbido pomeriggio di giugno. Un ritorno piacevole, che ha richiamato anche un soddisfacente numero di partecipanti, che hanno dato come sempre anima e corpo: violent dance, circle pit e pogo selvaggio sono all’ordine del giorno in questo genere di concerti… Noi di Metalitalia.com non potevamo mancare a un simile evento!
TRAPPED UNDER ICE
In un Estragon ancora semivuoto, a farla da padrone in questo tardo pomeriggio è ancora un caldo estivo tipico dei capannoni esposti al sole tutto il giorno, purtroppo le location al chiuso in estate hanno questo difetto riscontrabile fino al tramontar del sole. Ad ogni modo, tempo di imbracciare gli strumenti che i Trapped Under Ice iniziano la loro performance davanti a una manciata di persone forse ancora troppo accaldate per dannarsi in acrobatiche danze. Oppure semplicemente la band in questione non è stata in grado di coinvolgere al meglio gli spettatori. A chi scrive questo quintetto è sembrato abbastanza scialbo e poco convinto nel proporre la loro mezz’ora di violenza. Per la maggior parte dello show ci siamo trovati davanti a canzone dozzinali, riff sentiti migliaia di volte, ripetitività latente e, per di più, anche a una certa immobilità sul palco. L’unico che ha cercato di muoversi un po’ è stato il cantante, che però non ci sentiamo di promuovere dal punto di vista vocale in quanto l’impressione è stata quella di un vocalist sguaiato, ripetitivo e monocorde. La proposta dei ragazzi è il solito hardcore Hatebreediano, fatto un po’ alla meno peggio con poche idee e molta voglia di far sbracciare le braccia degli astanti con tipici stacchi mosh che però oggi non riescono proprio a far presa nemmeno sui più convinti sostenitori del genere.
STICK TO YOUR GUNS
Se la prendono con calma, gli Stick To Your Guns, passa mezz’ora abbondante prima che qualcuno calchi il palco dell’Estragon così che anche il clima all’interno inizi a diventare meno torbido, riscaldato stavolta dalle note dei californiani. Il quintetto di O.C. è preparato e sufficientemente incazzato per iniziare a far muovere come si deve il culo agli astanti. Il loro hardcore non è miracoloso dal punto di vista della personalità, nel senso che alla fine i riff bene o male sono un po’ sempre quelli, ma ciò che questi ragazzi hanno in più rispetto alla precedente band è una muscolarità, una convinzione e anche una sicurezza maggiore. Hanno quell’impeto rabbioso, quel mordente cagnesco che riesce a rendere coinvolgente ed efficace anche una “Tonights Entertainment”, canzone che, se vogliamo, non diventerà una pietra miliare del genere ma che in questo contesto fa la sua porca figura.
BORN FROM PAIN
Purtroppo i Born From Pain stasera sono senza il loro frontman Rob Franssen che, a causa di un’infezione agli occhi, si è dovuto sottoporre a un intervento chirurgico che lo ha costretto momentaneamente lasciare il tour. A sostituirlo però c’è niente meno che il bassista dei Terror David Wood. Bisogna dire che David è perfettamente a suo agio nelle vesti del vocalist, divertendosi e coinvolgendo il pubblico al meglio. D’altra parte i Terror non sono propriamente una band di primo pelo, ma questa sostituzione non pesa troppo sulla performance degli olandesi, che comunque propongono uno show energico e professionale. Brani che ormai sono classici della band si susseguono tra gli spintoni e i saltelli, i circle pit e i canti urlati di un pubblico che partecipa alla grande. Per cui ecco che brani come “Rise Or Die” o “The New Hate” vengono urlati a gran voce dal pubblico, che sulle note di “State Of Mind” scatena il primo pit degno di questo nome. “Stop At Nothing” chiude una performance che ha scaldato davvero bene gli animi del pubblico, a questo punto veramente impaziente per i Terror.
TERROR
Diciamo che se il Flame Fest avesse visto i Terror come headliner, in molti non si sarebbero lamentati. La band statunitense vanta un nutritissimo pubblico che segue e adora qualsiasi riff, accordo, ritmica o urlo della band in questione. La loro intransigenza, la loro attitudine hardcore, il loro essere una cosa sola con il loro pubblico, la loro coerenza e il loro vivere la loro musica preferita in maniera così intensa li rende una band amata in maniera incondizionata. Vedendoli poi all’opera in una performance come quella di stasera, si capisce anche per quale motivo i Terror siano poi così tanto idolatrati. Ci troviamo infatti al cospetto di un gruppo che si diverte un mondo a far divertire, che ha un feeling con in propri supporter talmente stretto da far percepire a tutti un clima da grande famiglia in cui non importa il colore della pelle, la lunghezza dei capelli o il pensiero, quando si è nel pit si canta e si balla tutti insieme come se si fosse fratelli, una grande famiglia appunto. Si urlano storie di vita di tutti i giorni, ci si sfoga al suono di “Always The Hard Way”, si batte tutti insieme le mani, si alza le braccia al cielo e ci si butta nella calca sulle note di “Betrayer”. Ci si ritrova abbracciati a perfetti sconosciuti ad urlarsi in faccia “Overcome” e quando lo show finisce si vorrebbe sentire almeno altre mille canzoni per sudare ancora tutti quanti insieme. Questo è lo spirito dei Terror, o lo si ama incondizionatamente o lo si detesta, nella sua quadrata e testarda intransigenza. Di sicuro questi ragazzi meritano tutto il rispetto di chi ascolta, ama e vive di musica, questo spirito a qualcuno potrà sembrare infarcito di banalità e luoghi comuni, ma le cose semplici sono spesso le più genuine, e questo le rende unicamente buone.
DEVILDRIVER
Diciamo la verità, mezz’ora o più di attesa tra un gruppo e l’altro è abbastanza eccessiva, probabilmente la causa di ciò sarà stata anche l’assenza dei God Forbid che all’ultimo hanno dato forfait, comunque un’attesa così lunga finisce per far scemare la tensione che si era venuta a creare con la precedente performance. Non ci è dato sapere se questo sia stato uno dei motivi che ha spinto molta gente ad abbandonare l’Estragon, oppure se in effetti in molti fossero giunti qua soltanto per le band fino ai Devildriver; di fatto quando Dez e soci si sono decisi a dare inizio al loro show il pubblico era visibilmente calato rispetto all’esibizione dei Terror. Non ci è dato nemmeno sapere quanta vena polemica ci fosse nelle parole del buon vecchio Dez Fafara, frontman dei Devildriver, nell’affermare che lui e la sua band avrebbero preferito suonare molto e parlare poco… a differenza dei precedenti gruppi, aggiungiamo noi. Non sappiamo nemmeno quanto scherzoso fosse il suo modo di interagire con le altre band che “non ricordo nemmeno come cazzo si chiamano”. Di fatto questa ci è sembrata una netta presa di posizione di distacco nei confronti di una corrente musicale che evidentemente ad oggi va loro stretta. Parlando della performance live, i Devidriver hanno regalato al pubblico presente un’esibizione esplosiva, energica, giocata sull’esperienza e su una preparazione rodata e con cui i nostri hanno dimestichezza. Quelli che ormai sono diventati i brani classici della band vengono sciorinati con eleganza e potenza, con Dez che prova anche a lanciarsi in qualche verso cantato, diciamo, non in pulito, ma nemmeno urlato come suo solito. “End Of The Line” viene scelta come apertura, seguita poi da “Die (And Die Now)”, tratta dal primo disco della band, quel “Devildriver” che i nostri portano sempre in trionfo riproponendo anche “The Mountain” allungata e appesantita ulteriormente nella sua devastante parte finale. Molto riuscita anche “Grindfucked”, che ha avuto un impatto granitico, specie nella prestazione assolutamente maiuscola di John Boecklin dietro le pelli, preciso e potente in ogni frangente. Ovviamente arriva l’immancabile circle pit, enorme, che coinvolge buona parte della pista e una considerevole quantità di pubblico, indiscutibilmente il più grosso di questa giornata. Viene anche riproposta “Pray For Villains”, il singolo tratto dall’omonimo album in uscita a luglio, un brano che lascia intravedere un certo cambiamento nel sound della band: non vediamo l’ora di ascoltare l’intera release, ma nel frattempo non possiamo far altro che invitare chiunque non abbia mai assistito a un concerto di questa band a non perdersela alla prossima occasione. Esperienza e potenza sono i loro elementi di forza, e dal vivo aumentano in maniera esponenziale.