Introduzione e report di Roberto Guerra
Fotografie di Monica Ferrari
Unica data in territorio nostrano per il tour che porta il nome del noto evento francese Motocultor Festival in versione ‘on the road’, che ha scelto proprio una band italiana come rappresentante principale, ovvero quei Fleshgod Apocalypse che, ormai da parecchi anni, mantengono alto il nome del Bel Paese all’interno della scena metal globale. La loro popolarità è pressoché indiscutibile, al punto tale che le altre band selezionate sembrano di fatto ‘solo’ special guest, volti ad aprire le danze e scaldare l’atmosfera di un minifestival itinerante il cui successo ruota inevitabilmente attorno all’unico headliner presente, anche se bisogna ammettere che la varietà delle proposte presenti non è un tratto da sottovalutare. La location selezionata è lo Slaughter Club di Paderno Dugnano (MI), e questo ci lascia inizialmente dubbiosi in merito alla resa sonora, non sempre al suo apice tra le suddette mura, ma dare per scontati gli esiti non è mai la scelta migliore, e anche per questo decidiamo di approcciare questa serata con tutta la curiosità del caso, sperando anche in una buona risposta da parte dell’affluenza. Buona lettura!
Dare il via alle danze spetta ai coreani DARK MIRROR OV TRAGEDY, dediti a un sound suddiviso tra il black sinfonico e il gothic metal, con in più qualche sprazzo di simil-death metal come collante. Fondamentale quindi l’utilizzo della tastiera on stage per una adeguata resa dell’atmosfera, e bastano pochi secondi di fronte al palco per accorgersi anche dell’immancabile look estremamente vistoso a base di borchie, face painting e abiti dai rimanti gotici, al punto da rendere la commistione abbastanza vicina a line-up come i Cradle Of Filth, evidenti e probabili ispiratori di quanto fatto da questi sei musicisti orientali. Sebbene la scaletta sia invero molto corta e il tempo a disposizione poco, notiamo con piacere che l’intera line-up si impegna per fornire una prova esemplare e convincente, rivolgendosi in particolar modo agli amanti del black metal presenti in sala, di cui alcuni reagiscono con relativo entusiasmo alle malinconiche e fredde sonorità proposte, nonché all’invito della band ad ascoltare il loro nuovo album “The Annunciation in Lust”, uscito sul mercato pochissimi giorni fa, e da cui proviene naturalmente più di un estratto.
Si cambia poi totalmente genere insieme agli ungheresi NEST OF PLAGUES, che rappresentano la più contemporanea tra le realtà coinvolte, come si può evincere non solo dall’estetica molto più colorata e minimale, ma anche da un sound che non fatichiamo ad accostare al deathcore e filoni analoghi. La botta trasmessa dai prevedibili breakdown e dai chitarroni massicci è invero ben presente, e sebbene il circle pit invocato a gran voce dal frontman Daniel Ivanics fatichi a manifestarsi, almeno fino agli istanti finali, si può notare anche in questo caso un’accoglienza abbastanza calorosa. Molto interessante il discorso dello stesso Daniel sul ruolo salvifico della musica nel caso di situazioni di malattia o disagio, una ulteriore dimostrazione dell’incredibile potere che questa passione può esercitare anche in casi clinicamente riconosciuti. Pur non amando particolarmente queste sonorità, ammettiamo di riconoscere la genuinità di quanto condiviso col pubblico, nonché le buone potenzialità musicali espresse, azzeccatissime per chi vuole ritagliarsi una nicchia nel cuore di determinati ascoltatori, magari anche piuttosto giovani.
Ci spostiamo in Grecia avvicinandoci parzialmente al genere degli headliner, e questo grazie al quartetto che risponde al nome di W.E.B., una sana via di mezzo tra il primo e l’ultimo atto di questa serata: loro stessi si definiscono come ‘extreme symphonic/gothic metal’, con un risultato che alle nostre orecchie suona appunto come una versione più gotica, e francamente un po’ meno efficace, di quanto fatto dai loro connazionali Septicflesh, veri rivali dei Fleshgod Apocalypse quando si parla di death metal sinfonico. A scanso di queste considerazioni, dobbiamo ammettere che il livello trasmesso in sede live in effetti è male, dato che Sakis Prekas e compagni, nel loro piccolo, riescono comunque a trasmettere una più che discreta ispirazione in termini di songwriting, nonché di pura e semplice esecuzione dal vivo, in particolar modo con estratti come “Dark Web” o “Dragona”, ripagati anche in questo caso con qualche sincero applauso da parte di un pubblico sempre più numeroso, e potenzialmente a proprio agio con quanto proposto dalla line-up ellenica. Malgrado la pesantezza del sound, si tratta invero di un ascolto relativamente tranquillo in questa sede, anche perché i brani selezionati non si spingono mai oltre una certa soglia di bpm, lasciando a chi verrà dopo il compito di far esplodere la proverbiale furia.
Furia: parola da noi non scelta a caso, dato che, dopo una introduzione a base di storiche composizioni di Mozart e Vivaldi, è proprio con “Fury” che i FLESHGOD APOCALYPSE fanno capolino su un palco messo ottimamente a punto, incluso l’immancabile pianoforte suonato da Francesco Ferrini e la postazione da cui Veronica Bordacchini osserva con fierezza quanto accade dinnanzi al suo sguardo, tra un suggestivo sfoggio vocale e l’altro, anche se avremo modo di bearci più di una volta della sua gioia alla vista di un pubblico tutto italiano, e con cui interagire per l’appunto nella propria lingua madre. Il poliedrico Francesco Paoli si dimostra come sempre uno dei migliori musicisti della scena nostrana, rendendo alla perfezione con chitarra e voce sulle note di un poker iniziale tutto dedicato agli ultimi due – riuscitissimi – album, in cui appare fondamentale anche il contributo del basso e della voce pulita di Paolo Rossi. Dopo aver notato che in effetti il comparto sonoro sta eseguendo egregiamente il proprio mestiere, smentendo di fatto i nostri timori iniziali, facciamo il primo passo indietro nel tempo con “The Violation”, e ci fa molto piacere notare che alla seconda chitarra non è presente un manichino come sperimentato invece al Summer Breeze, ma il sempre riconoscibile Fabio Bartoletti, senza contare quel rullo compressore di Eugene Ryabchenko alla batteria, direttamente dalle sanguinanti terre ucraine, e forse anche per questo furente come non mai. Dopo una parentesi dedicata all’album “Labyrinth” – forse il più controverso della loro carriera – c’è posto anche per la recentissima “No”, prima del prevedibile trittico finale composto da “The Fool”, “The Egoism” e “The Forsaken”, che se prese insieme suonano quasi come un titolo unico e fomentante al pari di pochi altri. Avremmo forse sperato in una durata leggermente più consistente, ma considerando la sana dose di legnate che sono volate durante tutto l’arco dell’esibizione, non possiamo che ritenerci soddisfatti e nuovamente orgogliosi al pensiero che una band di cotanto spessore provenga proprio dall’Italia.
DARK MIRROR OV TRAGEDY
NEST OF PLAGUES
W.E.B.
FLESHGOD APOCALYPSE