A cura di Valentina Piccione
Foto di Francesco Castaldo
Che questo live dei Foo Fighters avesse le premesse per essere diverso da quello di poco più di un anno fa a Rho ce lo aspettavamo. L’inusuale scelta di data e luogo, oltre all’assenza di nuovi album in promozione, ha creato qualche attesa e forse anche perplessità. L’arrivo a Villa Manin è irreale: migliaia di macchine sparse ovunque su strade sterrate in mezzo ai campi confermano la forte presenza di pubblico austriaco, croato e sloveno. Nella piccola piazza gremita di gente che precede l’ingresso, restiamo stupiti da cartelli che invitano a “non pogare o fare crowd surfing” per evitare incidenti, firmato Foo Fighters. Appena entrati da un piccolissimo portone, il prato della villa sembra invaso da un mega pic-nic!
THE GASLIGHT ANTHEM
Sin dalle prime note i The Gaslight Anthem dimostrano di essere assolutamente carichi per assolvere al duro compito di scaldare gli oltre 15.000 presenti. Dieci pezzi in poco meno di un’ora, la metà dei quali presi direttamente dal quarto e ultimo lavoro uscito “Handwritten”. Apprezzati “Old White Lincoln” e “Great Expectations”, grazie anche all’ottima prestazione vocale di Brian Fallon. Il gruppo chiude con l’attesa e riuscita “The Backseat”, che genera un po’ più di movimento sottopalco. Complice l’atmosfera rilassata, la performance è decisamente buona, sia per chi decide di seguirli da più vicino, sia per chi dalle retrovie li applaude seppur impegnato in partite a carte o due tiri a pallone.
BOB MOULD
Certamente più atteso dei primi e reduce dalle cinque date che lo hanno impegnato in Nord Europa, Bob Mould sale sul palco e, senza lasciarsi andare in smancerie di alcun genere, comincia a suonare. Oggi come vent’anni fa, carico e rilassato al tempo stesso, infila un pezzo dopo l’altro e per i primi quaranta minuti non si ferma. L’ex Hüsker Dü propone due inediti da “Silver Age”, la cui uscita è prevista in ottobre, e dieci pezzi degli Sugar. L’impressione è che non molti conoscano Bob Mould, ma sicuramente dopo la sua ottima esibizione a qualcuno verrà il pallino di andarsi a scoprire chi è questo musicista, a cui gente come proprio Dave Grohl deve l’inizio della propria carriera.
FOO FIGHTERS
Disattendendo ogni previsione, non è “Bridge Burning” a segnare l’inizio di due ore e mezza di esibizione, bensì l’amata e più hard “White Limo”. Entrata ad effetto amplificata da “All My Life” con il primo prolungamento di finale, dai toni quasi metal, già sentito in altre occasioni ma molto apprezzato. Lo show prosegue a ritmo sostenuto e ascoltiamo “Rope”, “Pretender” , “My Hero” e “Generator”. Mentre si passano in rassegna ormai quasi tutti gli album, Dave Grohl si diverte a scaldare il pubblico ed intrattenerlo con qualche frase semplice in italiano. Vari i rimandi all’esibizione del Rock in Idrho e complimenti per la location e il pubblico. E’ il momento di “Learn To Fly”, che genera un divertente siparietto col pubblico da cui a circa metà canzone si lanciano aeroplanini di carta sul palco…vengono in mente i più pesanti e massicci lanci di Mentos durante “Big Me” dei primissimi concerti, fortemente scoraggiati dalla band. Si riparte con “New Way Home”, grande assente dal 1997, che si fonde alla perfezione con “Walk”. Ed è il momento dell’ennesimo siparietto Grohl-Hawkins, per introdurre “Cold Day In The Sun”, con l’unica pecca del bassissimo volume della voce del batterista. Dopo la carichissima “Arlandria”, è tempo delle presentazioni: una nuova occasione per Grohl di misurarsi con l’italiano e l’intrattenimento. Ai vari assoli (compreso quello di fisarmonica) seguono spesso i suoi ‘basta per favore basta’ o ‘ma che schifo’, ed è così che il povero Nate Mendel viene zittito dopo pochi secondi! Altro momento romantico Grohl-Hawkins si consuma nel momento in cui il batterista dichiara di suonare coi Foo Fighters solo per la presenza di ‘Dave Funckin Grohl’. Si riparte con “These Days” e arriviamo alla lungamente esclusa, e mai suonata in Italia, “Aurora”, certamente apprezzata dai fan di vecchia data, che rallenta il ritmo prima che si riaccenda con “Monkey Wrench” e “Hey Jonny Park”, doppietta riproposta nello stesso ordine di “The Colour And The Shape”. Come promesso lo show non sarà corto e, con “This Is A Call” urlata, ballata e non pogata, come richiesto, si arriva all’immancabile momento cover, sempre presente nei live della band. Come ci aspettavamo la fine del brano si trasforma in un inaspettato tributo ai Pink Floyd con “In The Flash?”, in cui ritroviamo alla voce Hawkins. Prima della meritata pausa, viene dedicata al caldissimo pubblico “Best Of You”, e l’audience stessa non perde tempo a ringraziare a suo modo la band con gli infiniti cori che verso la fine sovrastano tutti gli strumenti e proseguono ad oltranza, con i musicisti fermi ad ascoltare con facce sorridenti e stupite. Dopo un bacio lanciato alla folla e un inchino del leader della band, la canzone si conclude e tutti lasciano il palco. Vale assolutamente la pena andare a vedere i video di questa esecuzione, che poteva essere una degna ed emozionante fine. Pochi minuti e li ritroviamo sul palco, Grohl non perde certo la voglia di parlare ed esordisce con un “prima nel backstage ci stavamo bevendo una birra e Pat Smear mi ha chiesto come mai non torniamo più spesso in Italia. E’ qui che facciamo gli show fottutamente migliori!”. Sarà la location, sarà il pubblico, a quanto pare i Foo Fighters hanno gradito l’inizio di questo minitour con lo show di Villa Manin, e non si può che esserne contenti. Il nuovo inizio è affidato al solo Dave Grohl: “Qui in Italia ho molti amici. Per chi non lo sapesse, una volta suonavo in una band punk rock e abbiamo girato tutta l’Italia; questa canzone è dedicata a tutti i miei amici italiani che ho conosciuto in questi anni, quelli che ci sono ancora, e quelli che non ci sono più”. E’ “Times Like These” in versione acustica; a cui si unisce poco a poco il resto della band. Ed è tempo di capire a chi è destinato il microfono in più presente sul palco. Dopo una brevissima e accorata presentazione, si unisce alla band Bob Mould: “Senza di lui non esisteremmo. E’ grazie a lui che sono dove sono, che ho iniziato a suonare…” dice Dave. E Bob Mould (omaggiato nel 2002 con “Never Talking To You Again”, cover dei suoi Hüsker Dü) sul palco vuol necessariamente dire “Dear Rosemary”. Già suonata insieme, ed apprezzata, in una puntata dell’americano “Conan Show”, raggiunge i massimi livelli con quasi quindici minuti che si fondono ad un’altra cover: “Breakdown” di Tom Petty And The Hartbreakers, in cui Grohl fece una breve incursione nel 1994. La chiusura spetta all’immancabile “Everlong”, nuovamente presentata nella versione rock, ormai classico epilogo, voluto da tutti e cantato da tutti. Forse in parte è vero quello che Grohl diceva all’inizio del concerto mentre chiedeva: “Quanti di voi non hanno mai visto i Foo Fighters? Dove diavolo vi eravate nascosti?” e “forse è meglio, perché prima facevamo schifo”. Certamente questo show ha superato di gran lunga le aspettative e probabilmente ha ragione anche nel dire “Se torniamo noi, tornate anche voi”.