Report a cura di Giuseppe Caterino
Non ricordavamo quasi più quella sensazione di orecchie fischianti, l’odore di birra misto a sigarette, i banchetti con merchandising vario; ma dopo mesi di totale astinenza live, dovuta ad un periodo che non dimenticheremo probabilmente mai, lo Slaughter Club riapre le porte saggiando il terreno per una potenziale (ormai non si può davvero sapere…) nuova stagione live. Certo, non avremmo mai pensato di vedere un concerto metal su dei comodi divanetti, ma tant’è: posti prenotati, distanziamento sociale, mascherine e buone maniere. I metallari accorsi – a occhio centocinquanta persone, forse qualcuno in più – sono stati piuttosto ligi alle nuove regole, nessun assembramento in area concerti e chiacchiere all’aperto con le stesse distanze cui siamo abituati nelle città. Ma veniamo alla musica: “Nihilistic Enstrangement” è fuori ormai da qualche settimana, e i Forgotten Tomb hanno l’occasione di testarne le doti sul palco, cosa rara e preziosa di questi tempi. Il disco su queste pagine è piaciuto e cresce ascolto dopo ascolto e la curiosità di rivedere la seminale band tricolore era tanta; a rinvigorire la proposta, i Cultus Sanguine, storico nome dell’underground milanese, Swarm Chain e Mother Augusta in apertura, le cui esibizioni abbiamo purtroppo perso. Lo Slaughter Club ha fatto passi da gigante per quanto riguarda la resa sonora, buona per le band che abbiamo visionato, e, anche dopo tutti questi mesi di inattività, l’aria era quella del locale che sta diventando pian piano un centro focale ben conosciuto a chi bazzica la scena. Da migliorare la gestione delle luci dal palco, visto che ci hanno incomprensibilmente accecato per buona parte del tempo, ma di questi giorni non ce la sentiamo di lamentarci troppo…
Quando entriamo nel locale gli SWARM CHAIN sono nel vivo del proprio set, con una proposta di heavy doom che ricorda un po’ i Candlemass, un po’ i Black Sabbath, ma con aperture a volte davvero pesanti, nel senso migliore del termine. A svettare sul palco, un frate coperto dalla maschera di medico della peste, uso a bilanciare una doppia voce ora pulita, ora in scream. È evidente una certa genuinità e si percepisce anche un po’ di emozione da parte del gruppo, forse senza troppa esperienza alle spalle; i piacentini si dimostrano comunque, seppur non originalissimi, un ottimo modo per entrare nel mood della serata. Altro impatto quello dei CULTUS SANGUINE che, con un’aura di cult band, entrano sulle scene col proprio black/gothic/doom metal facendo sentire gli anni di esperienza subito a tutti. La band milanese, pur scioltasi nel 2001 e avendo ripreso in mano gli strumenti solo da un paio d’anni, porta con sé una ventata anni ’90 piuttosto intensa. Le aperture di tastiera in particolare ci riportano alle atmosfere oscure e macabre di quel periodo, in ottima alternanza con la violenza di chitarre e batteria e con la prova al microfono, istrionica e teatrale. Brani come “Lady Of Lies” o “Shadow’s Blood” lasciano un buon segno sulla platea, mostrandoci un gruppo in forma e padrone del palco; vedremo se un altro po’ di live potranno rimettere in pista il progetto, che a livello di uscite è fermo da un bel po’.
Il tempo di una birretta all’aria aperta e di rivedere un po’ di volti noti e veniamo presto richiamati all’interno dello Slaughter dai suoni di assestamento della main band: i FORGOTTEN TOMB iniziano a suonare aprendo con l’opener dell’ultimo album, “Active Shooter”, un brano che è cresciuto repentinamente nei nostri ascolti del disco. Il suono, come scritto in apertura, rende perfettamente giustizia ai brani proposti, che spaziano in realtà da diversi ambiti della folta discografia degli emiliani, da “We Owe You Nothing” passando per la cover di “I Wanna Be Your Dog” degli Stooges, fino alle prime prove grazie alla chiusura ad opera dell’ormai consolidato medley “Disheartenment / Alone / Steal My Corpse”, sempre accolto da una grande fetta di affezionati dei lavori degli esordi; e ha fatto piacere sentire che anche il nuovo lavoro, dal vivo, fa la sua figura, come ha confermato ad esempio un pezzo come “Distrust³”, peraltro forse quello che più ci aveva colpito anche su LP. La formazione (qui in assetto live con quarto elemento) è compatta e dimostra una grande maturità e una perfetta coesione e pur, dopo la costretta inattività, si dimostra capace di sprigionare un tiro palpabile, riuscendo ad incantare i presenti non facendoci percepire il minutaggio del concerto che scorre, che infatti alla fine ci sembra esser trascorso sin troppo veloce. Un ottimo ritorno anche a livello di feedback, a giudicare dalle approvazioni del pubblico riscontrate nel dopo live, e speriamo che possa essere solo il primo report che scriviamo per quest’ultima fetta dell’anno: sperare, per l’appunto, non costa nulla.