Report di Luca Pessina
Foto di Acidolka / https://www.facebook.com/acidolkaart
L’edizione 2024 del Fortress Festival ha confermato la crescente fama di questo evento nel circuito dei festival europei. Situato nella pittoresca Scarborough, il festival britannico sta rapidamente guadagnando una reputazione di eccellenza, offrendo un cartellone di altissima qualità che include concerti esclusivi e performance di band di rilievo nel panorama black metal contemporaneo.
La location è uno dei punti di forza più distintivi del Fortress Festival: la Scarborough Spa, nella cittadina turistica di Scarborough, North Yorkshire, offre un ambiente unico e suggestivo.
La città vecchia, affacciata sul porto e protetta da un promontorio roccioso su cui si ergono i resti della fortezza che dà il nome al festival, contribuisce a creare un’atmosfera ineguagliabile. La Spa, un centro convegni con un teatro e diverse altre sale, ospita i due palchi del festival: uno nel capiente teatro con balconata e posti a sedere, e un altro, più spartano ma funzionale, in una sala secondaria. Questo setup permette agli avventori di godersi non solo i concerti, ma anche la bellezza della spiaggia e del panorama circostante. Nonostante il vento spesso micidiale della zona, è un’esperienza rara e preziosa partecipare a un evento metal in un contesto così affascinante.
Il cartellone di quest’anno ha dimostrato una notevole attenzione alla contemporaneità del genere: tra gli headliner, i Wolves In The Throne Room hanno offerto una performance memorabile del loro capolavoro “Two Hunters”, cementando il loro ruolo di protagonisti nel black metal degli anni Duemila. I Panopticon, con la loro musica ricca di elementi folkloristici e una verve autentica, hanno proposto uno show esclusivo incentrato prevalentemente su “Roads to the North” che ha incantato il pubblico. L’esordio europeo dei Blackbraid, una band con un background nativo americano, ha aggiunto un tocco unico alla line-up, mentre le rare apparizioni live dei veterani Vemod e del fenomeno Lamp Of Murmuur hanno ulteriormente arricchito l’offerta del festival.
La risposta del pubblico è stata entusiasta, con il festival che ha registrato il tutto esaurito. La scena britannica ha risposto in massa, riempiendo la cittadina di appassionati, e non sono mancati i visitatori stranieri, nonostante le difficoltà logistiche di raggiungere Scarborough rispetto a una meta più comune come Londra o Manchester. La cittadina, comunque, è ben collegata da treni e autobus, e ci si aspetta un aumento della partecipazione internazionale nelle future edizioni.
L’evento ha funzionato alla perfezione, con show puntuali e una venue pratica e facilmente raggiungibile dal centro cittadino e dal porto. Le code non sono mai state eccessive, il che ha contribuito a un’esperienza complessivamente assai piacevole. Tuttavia, un aspetto migliorabile è l’offerta gastronomica: sarebbe opportuno offrire più opzioni di ristorazione all’interno della venue, nella quale era presente solo un ristorante e uno stand di hot dog, evitando così ai numerosi partecipanti (circa duemila) di dover sacrificare i concerti per cercare cibo in città. Sul fronte bar, invece, la situazione si è rivelata ottimale, con numerosi punti ristoro e una vasta scelta di birre e alcolici a prezzi tutto sommato onesti.
In definitiva, l’organizzazione della Reaper Agency è stata impeccabile, e il Fortress Festival 2024 si è rivelato un grande successo. Le aspettative per le future edizioni sono alte, e con un lavoro continuo e attento, questo evento ha tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento stabile e imperdibile nel panorama dei festival musicali europei.
SABATO 1 GIUGNO
L’apertura del Fortress Festival 2024 viene affidata ai danesi SUNKEN, una band che incarna perfettamente l’essenza atmosferica di certo post-black metal. Il loro nome, evocativo di un inabissamento, rispecchia fedelmente le sonorità gelide e immersive che caratterizzano le loro melodie.
La performance degli autori di “Livslede” è un viaggio sonoro intenso, capace di avvolgere il pubblico – da poco entrato nella venue, ma già molto concentrato su ciò che avviene sul palco – in un’atmosfera profonda e quasi tangibile, richiamando immagini di abissi marini e vasti paesaggi ghiacciati. In un festival situato in riva al mare, questa fusione tra musica e ambiente si rivela azzeccata, enfatizzando il senso di immersione totale che il gruppo vuole trasmettere. Il set è ben interpretato dal quartetto – dal quale non si può certo pretendere chissà quale presenza scenica, visto il genere proposto – e prepara il terreno per le esibizioni successive, catturando l’attenzione e l’immaginazione degli spettatori sin dai primi accordi.
Restando sul palco principale, l’affluenza e l’entusiasmo sembrano crescere esponenzialmente per l’arrivo di uno dei fenomeni del circuito black metal contemporaneo.
Lo show dei LAMP OF MURMUUR al Fortress Festival 2024 conferma infatti il notevole hype che circonda il gruppo da alcuni anni. Il frontman M. ha assemblato una line-up per i concerti che, nonostante la recente formazione, può già dire di essere notevolmente affiatata, suscitando ampi consensi tra il pubblico presente.
I brani più recenti, pescati da un disco come “Saturnian Bloodstorm”, mostrano un taglio gelido e aggressivo, con forti richiami agli Immortal, creando a tratti un’atmosfera di intensa ferocia che si pone in netto contrasto con la recente prova dei Sunken. Tuttavia, la scaletta sa spaziare, includendo anche pezzi degli esordi che presentano sfumature più sinuose e qualche tocco di dark wave. Questo mix di stili rende il concerto molto godibile, mantenendo alta l’attenzione degli spettatori e dimostrando la versatilità e la profondità del repertorio della band.
Sempre sul palco principale, si cambia completamente registro grazie agli OBSIDIAN KINGDOM. La band di Barcellona propone uno show incentrato sul suo debut album “Mantiis – An Agony in Fourteen Bites”, uscito nel 2012 come autoproduzione e poi ristampato dalla Season Of Mist qualche anno dopo.
Il concerto degli Obsidian Kingdom rappresenta un netto cambio di atmosfera rispetto alle esibizioni precedenti: la band spagnola, con il suo stile più leggero e avant-garde e un’immagine non strettamente metal, porta decisamente qualcosa di diverso all’interno del cartellone.
Le derive post rock prendono spesso il sopravvento sulla componente metal, trasformando il freddo delle precedenti performance in qualcosa di più caldo e avvolgente. Il sound, che richiama influenze di Solefald, Shining e Ihsahn (oltre a varie realtà prettamente post-rock e metal), crea un’atmosfera intima e coinvolgente, anche se la sala non appare gremita come per gli altri concerti. Tuttavia, tra le prime file si fanno notare alcuni fan molto esagitati, segno che gli Obsidian Kingdom godono di uno status di culto in certi ambienti. Il loro set è una piacevole variazione, che va ad aggiungere un’ulteriore dimensione di profondità e diversità al festival.
Giunge ora il momento di spostarsi davanti all’altro palco, dato che per alcuni lo show dei FALLS OF RAUROS è uno dei momenti più attesi dell’intera manifestazione. La sala secondaria si riempie velocemente per accogliere la band di Portland, nota per aver contribuito a spingere il filone folk/cascadian black metal americano nei primi anni Duemila, seguendo le orme dei Wolves In The Throne Room.
Condividendo un paio di membri con la line-up da concerto dei Panopticon, i Falls of Rauros arrivano quindi finalmente in Europa, dimostrandosi visibilmente emozionati; un’emozione che si riflette poi in un’esibizione intensa e genuina. Non è un segreto che gli statunitensi non tengano concerti molto spesso, e questo rende l’evento ancora più speciale per i fan presenti.
Nonostante la tensione iniziale, la performance è più che decorosa, con la breve ma ricca setlist che si rivela un omaggio ai fan di lunga data, pescando abbondantemente dal secondo full-length, “The Light That Dwells in Rotten Wood”. I brani risuonano con forza, evocando immagini di paesaggi incontaminati e atmosfere primitive che sono al cuore del sound della formazione.
A questo punto, si entra definitivamente nel vivo della giornata con l’arrivo degli ULTHA sul palco principale. Con il suo black metal avvolgente, la band tedesca trascina il pubblico in un viaggio oscuro e ipnotico. Utilizzando ampie ripetizioni e strutture circolari, gli Ultha sanno come creare una sorta di trance musicale che avvolge gli ascoltatori, trasportandoli in una città buia, fredda e alienante.
L’apertura con “The Night Took Her Right Before My Eyes” si rivela perfetta, mozzando il fiato sin dai primi istanti e stabilendo subito un tono intenso e inquietante. Diversamente dalle atmosfere agresti e naturali dei Falls of Rauros, Ralph Schmidt e compagni offrono una visione urbana e claustrofobica del black metal. I loro brani, lunghi e stratificati, si susseguono senza mai allentare la presa, mantenendo un livello di tensione costante. La band in questo senso è ormai maestra nel creare un’esperienza sonora totalizzante, in cui ogni nota contribuisce a costruire un muro sonoro imponente e penetrante. La performance è un crescendo continuo di emozioni, dimostrando la capacità del gruppo di dominare la scena e catturare l’attenzione del pubblico con una proposta che continua a rivelarsi tra le più oneste ed evocative in questo campo.
Sul cosiddetto main stage arriva poi il momento dei PANOPTICON, uno degli eventi più attesi del Fortress Festival 2024: incentrato sull’album “Roads to the North”, lo show evidenzia ancora una volta la capacità unica della band di mescolare diversi stili musicali con naturalezza.
In un contesto in cui molte band ostentano un’attitudine fredda e malvagia, i Panopticon colpiscono per la loro affabilità e semplicità, dimostrando un approccio ‘terra terra’ che li rende immediatamente accessibili. Questo contrasto è particolarmente interessante, ma va comunque considerato come la band sia solo in parte black metal e in tal senso abbia di conseguenza sempre mantenuto una certa distanza dalle frange più oltranziste del genere.
Durante la performance, il denso mix di stili dei Panopticon emerge in tutta la sua complessità e bellezza. Alternando con apparente semplicità black metal, melodic death, folk (se non addirittura pillole di singer/songwriter e americana) e crust punk, il gruppo statunitense crea un’esperienza sonora ricca e coinvolgente.
Brani come “Where Mountains Pierce the Sky” o “The Long Road (Part 2: Capricious Miles)” dimostrano la versatilità del repertorio, passando da momenti di intensa aggressività a passaggi più dimessi e riflessivi. La performance, lunghissima e strutturata come molti loro album in studio, è un viaggio emotivo e musicale che affascina chiaramente il pubblico, confermando lo status di punto di riferimento nel panorama del (black) metal contemporaneo per il progetto guidato dal cantante/chitarrista Austin L. Lunn.
Torniamo a fare visita alla sala secondaria per un’iniezione di adrenalina made in France. Lo show dei REGARDE LES HOMMES TOMBER al Fortress Festival ribadisce il loro status di una delle migliori live band del panorama black metal contemporaneo.
La loro carica energetica è sempre sopra le righe, con il frontman T.C. che si conferma un vero magnete per le attenzioni del pubblico. Continuamente stimolato dalle occhiate e dai gesti intensi del cantante, la platea risponde con entusiasmo, creando un’atmosfera a dir poco elettrizzante sulle note di una scaletta che pesca soprattutto dall’ultimo “Ascension”. C’è un che di hardcore nello spirito dei Regarde Les Hommes Tomber, sempre molto aggressivi e sfrontati nelle loro esibizioni. La loro musica – vagamente definibile post-black metal, anche se quasi sempre priva delle connotazioni prettamente atmosferiche spesso associabili a questo filone – viene sempre eseguita con grande precisione e passione, dimostrando l’abilità del gruppo di eccellere in ogni contesto (festival, piccolo club, ecc), sulle ali di una presenza scenica dominante e dell’innegabile carisma del frontman.
La prima giornata del festival si chiude quindi con i TRIPTYKON. Negli ultimi anni Tom G. Warrior (la cui sagoma da lontano appare sempre più simile a quella di Krusty il clown) si è concentrato soprattutto sul progetto Triumph of Death, con il quale riprende i pezzi degli Hellhammer. Ogni tanto però il nome Triptykon viene riesumato e si ha così la possibilità di riascoltare dal vivo i pezzi di questa creatura che purtroppo non è mai riuscita a imporsi davvero e a ereditare lo status dei Celtic Frost.
Forse il problema è anche il continuo cambio di focus del frontman, che tiene il piede in più scarpe (Triumph Of Death, Triptykon play Celtic Frost, Triptykon ‘normali’ che però suonano comunque qualche brano dei Celtic Frost, ecc.) senza mai davvero concentrarsi in una direzione netta. Non a caso, il repertorio dei Triptykon è ancora fermo a “Melana Chasmata”, disco di dieci anni fa.
Al di là di questa situazione vagamente nebulosa, il concerto di stasera non manca di dimostrare la potenza e l’intensità che i Triptykon sanno portare sul palco.
Tom G. Warrior, particolarmente affabile e ciarliero, sa come creare un legame immediato con il pubblico, regalando aneddoti e interagendo con grande carisma. Il registro musicale, sebbene diverso dalle esibizioni precedenti, coinvolge tutti i presenti, riaffermando il valore di pezzi come “Goetia” e “The Prolonging” e offrendo poi, con l’arrivo di una “Circle of the Tyrants”, una lezione di storia del metal che viene accolta con entusiasmo.
La performance del quartetto è molto disinvolta e presto si conferma una dimostrazione di forza e maestria, ricordando a tutti perché Tom G. Warrior rimane una figura leggendaria nel nostro panorama.
DOMENICA 2 GIUGNO
Il nostro primo show della giornata di domenica al Fortress Festival 2024 è quello dei VEMOD. La band norvegese – tornata di recente con il nuovo album “The Deepening”, una dozzina d’anni dopo il debut “Venter på stormene” – incanta il pubblico con il suo suono malinconico e atmosferico.
Le influenze di certi Ulver e Burzum sono evidenti, ma rielaborate se possibile in una chiave ancora più eterea e riflessiva. I membri della band, coerentemente con il mood della loro musica, appaiono molto statici sul palco, con l’intento di mettere la musica in primo piano e di permettere alle note di trasportare gli spettatori in un viaggio introspettivo.
In questo contesto, l’esperienza di ascolto è particolarmente piacevole e suggestiva, poiché il senso di malinconia espresso dalle composizioni pare fondersi perfettamente con l’ambiente presente fuori dal teatro, dove il vento spazza la spiaggia di Scarborough. L’esibizione dei norvegesi offre insomma un momento di contemplazione e quiete, in netto contrasto con tante esibizioni più movimentate e aggressive del giorno precedente, risultando comunque a suo modo coinvolgente.
Il set degli ABYSSAL offre invece un’esperienza molto più rumorosa e vibrante rispetto a quella dei Vemod. La formazione britannica, conosciuta per il suo death metal dai toni freddi e alienanti, sa catalizzare l’attenzione del pubblico con un’esibizione intensa e carica di energia.
Discendenti della scuola dei Portal, gli Abyssal sanno anche virare sul melodico, perlomeno nei brani del loro repertorio degli inizi, aggiungendo una sfumatura interessante a un suono altrimenti assai denso e opprimente.
A livello visivo, il gruppo segue il trend imperante nell’underground contemporaneo, presentandosi sul palco con tuniche e veli: sebbene l’effetto sorpresa di questo look sia ormai da tempo svanito, l’estetica non stona affatto con la proposta musicale, anzi, ne amplifica l’impatto visivo e sonoro. A conti fatti, i britannici sono ormai diventati una live band molto compatta e affiatata, che denota una padronanza scenica e tecnica notevole. Il set nel giro di pochi minuti assume i connotati di un turbinio di suoni e atmosfere alienanti, riuscendo a coinvolgere e affascinare anche gli ascoltatori più esigenti, soprattutto all’altezza degli episodi di “Novit Enim Dominus Qui Sunt Eius”.
Il concerto dei FURIA, chiamati a esibirsi sul palo principale, rispecchia l’evoluzione musicale della band polacca, che ha attraversato varie ere e stili nel corso della propria carriera. Dal suono più tradizionale degli esordi a un black metal sinuoso e dinamico, i Furia hanno spesso fatto avanti e indietro, sapendo adattarsi e rinnovarsi continuamente. Nel set odierno, i brani dell’ultimo album “Huta Luna” hanno un ruolo centrale, con la loro durata compatta che li rende particolarmente adatti per l’esecuzione dal vivo.
Il gruppo offre uno spettacolo estremamente energico, fedele al proprio nome, con brani come “Swawola niewola” che si distinguono subito per la loro carica arrembante e per quella sorta di feeling esotico dato dalle linee vocali in lingua madre. Questo dettaglio aggiunge una dimensione più particolare alla performance, contribuendo a rendere l’esperienza autentica e affascinante per il pubblico.
Sul palco secondario, il set dei MORTIFERUM segna invece un cambiamento di registro netto, introducendo una potente parentesi all’insegna del death-doom più possente.
Gli statunitensi, considerati fra le punte di diamante del panorama death metal underground contemporaneo, dimostrano ancora una volta la loro maestria sul palco. I continui tour hanno cementato sempre di più il loro affiatamento, al punto che la recente aggiunta alla seconda chitarra di V.B., noto per il suo lavoro con Black Witchery e Sempiternal Dusk, passa quasi inosservata.
La resa sonora è quella di sempre: un carro armato che investe chiunque e qualunque cosa senza pietà. La loro esibizione segue il soluto canovaccio, con un paio di episodi dal debut “Disgorged from Psychotic Depths” e altrettanti da “Preserved in Torment” che creano un’atmosfera densa e soffocante. Il pubblico, colpito dall’impatto brutale del sound, si lascia trascinare nel vortice, forse ansioso di sfogarsi dopo tante ore trascorse su sonorità generalmente più contemplative.
Restiamo nei pressi della sala due per assistere allo show dei FLUISTERAARS, il quale sa di momento particolarmente significativo per la band olandese, che negli ultimi tempi ha dimostrato una notevole crescita in termini di popolarità e maturità artistica. Dopo averli visti al Nordanpaunk in Islanda, per il loro primo concerto in assoluto, l’esibizione al Fortress evidenzia quanto il gruppo abbia consolidato la propria presenza nella scena black metal odierna.
La sala appare gremita, con un pubblico entusiasta che sostiene a gran voce gli olandesi, segno che i Nostri sono ormai pronti per palchi sempre più grandi ed esigenti. Nonostante abbiano iniziato a suonare dal vivo solo di recente, i Fluisteraars dimostrano una certa sicurezza e padronanza del palco. Il loro black metal atmosferico, cangiante e a tratti persino ‘solare’, trova in effetti terreno fertile tra il pubblico del Fortress, che apprezza anche le doti di frontman di Bob Mollema. I brani dell’acclamato album “Bloem” vengono accolti con particolare calore, ma in generale il set risulta un’esperienza trascinante e suggestiva, che conferma la sensazione che il gruppo sia destinato a conquistare un pubblico sempre più vasto.
Siamo ormai agli sgoccioli di questa edizione: sul palco principale, il concerto dei BLACKBRAID al Fortress Festival 2024 segna la prima apparizione in Europa per il gruppo statunitense, un evento molto atteso dagli appassionati del circuito underground. I
l progetto guidato da Sgah’gahsowáh ha generato un notevole hype negli ultimi anni, e davanti alla prova odierna possiamo dire che sia giustificato: la band ha un repertorio solido e sa riproporlo dal vivo con grande convinzione.
La componente etnica di matrice nativoamericana non risulta particolarmente ostentata, a parte qualche accenno di flauto che tuttavia si perde nel mix degli altri strumenti, e, almeno dal vivo, il sound si avvicina a quello di band come Uada o i più recenti Mgla. I pezzi sono trascinanti, melodici ma non stucchevoli, e dimostrano una capacità di scrittura piuttosto raffinata.
Peccato per i volumi troppo alti e a tratti fastidiosi, che compromettono leggermente l’esperienza di ascolto, ma buona parte della platea pare comunque apprezzare l’esibizione, sottolineando la bravura e il carisma di Sgah’gahsowáh come frontman.
La performance mostra una band in piena forma, molto ‘metal’ nell’aspetto, capace di mantenere alta l’energia e di coinvolgere gli spettatori. Questa prima europea si rivela quindi un successo, confermando le aspettative e lasciando intravedere un futuro luminoso per i Blackbraid nel panorama del metal internazionale.
I MISÞYRMING, ormai una realtà di prima grandezza nel panorama black metal, dimostrano ancora una volta il loro magnetismo al Fortress Festival 2024. Headliner del secondo palco, gli islandesi catturano il numeroso pubblico con una performance forsennata e travolgente.
Gli occhi spiritati di D.G. e T.Í. ispirano subito fervore e infatti l’energia del quartetto sul palco risulta palpabile fin dai primi istanti. La scaletta si apre con il classico “Söngur heiftar”, ma poi gruppo e pubblico sembrano esaltarsi soprattutto con le canzoni dell’ultimo “Með hamri”, più ruvide e particolarmente adatte a essere riproposte dal vivo. Anche un midtempo come “Engin vorkunn” ha un altro tiro rispetto al repertorio degli inizi, il quale comunque continua ovviamente a fare la sua gran figura, nel suo alternare momenti di pura aggressività a passaggi più atmosferici.
Se in studio i Misþyrming hanno già dimostrato una maestria compositiva che li rende unici nel loro genere, dal vivo la loro attitudine arrembante continua a lanciare segnali di ulteriore crescita. Questa è una band che, a differenza di altre formazioni black metal, preme per esibirsi in concerto, ben consapevole che il suo repertorio sia in grado di acquistare un’ulteriore marcia in più in questo contesto. Un altro grande show.
La giornata e questa edizione del festival si chiudono quindi con l’entrata in scena, naturalmente sul palco principale, dei WOLVES IN THE THRONE ROOM.
In tour in Europa da qualche settimana, la band propone qui un set speciale, eseguendo per intero il suo iconico album “Two Hunters”, secondo full-length di una carriera ormai più che affermata.
L’immagine e l’attitudine dei ‘lupi’ sono cambiate notevolmente rispetto ai primi anni Duemila: nel tempo, gli statunitensi hanno abbracciato un suono e un look molto più metal e aggressivo. Tuttavia, le trame di questa pietra miliare riescono ancora a risuonare con la loro proverbiale ricchezza, trasportando il pubblico su arie sempre più struggenti.
La performance, per certi versi, è in effetti una dimostrazione dell’evoluzione artistica del gruppo statunitense, nel suo combinare l’energia e l’aggressività attuali con la profondità e la complessità delle composizioni originali di “Two Hunters”. Ogni brano risuona con forza, catturando l’essenza del black metal atmosferico che ha reso i Wolves In The Throne Room una band di culto.
Il pubblico, immerso in questa esperienza sonora e visiva, risponde con entusiasmo, creando un’atmosfera di comunione e celebrazione, soprattutto sulle note della lunghissima “I Will Lay Down My Bones Among the Rocks and Roots”. Conclusa la tracklist del disco, c’è poi tempo per un paio di altre composizioni, ovvero “Crown of Stone” e la datata “Queen of the Borrowed Light”: soprattutto l’atmosfera mistica e primordiale di quest’ultima rende la serata ancora più indimenticabile per i fan presenti.
In questo modo, i Wolves In The Throne Room danno prova di essere non solo dei pionieri del loro filone, ma anche dei maestri nella creazione di esperienze live uniche e coinvolgenti. Chiudendo il festival con una performance di tale portata, Nathan Weaver e compagni lasciano un’impressione duratura, suggellando il successo di un evento già straordinario.