Introduzione a cura di Alessandro Corno
Report a cura di Alessandro Corno e Lorenzo Ottolenghi
Arrivato alla quinta edizione, il Fosch Fest è diventato uno dei punti di riferimento per il folk, viking e pagan metal in Italia e non solo. Ospitato da Bagnatica, tranquillo paese della provincia bergamasca, l’evento ha raggiunto buoni livelli non solo in termini di notorietà ma anche in quanto a organizzazione, il tutto mantenendo il prezzo del biglietto alla cifra quasi simbolica di dieci euro al giorno o quindici per entrambe le giornate. Certo la grande ed eterogenea folla delle prime edizioni, quando l’ingresso era addirittura gratuito e i metal fan si mischiavano a gente del posto non necessariamente interessata al lato musicale della manifestazione, è apparsa un po’ ridimensionata in numero ma decisamente calda e piena di voglia di divertirsi. Intenzione che già era palese dal giorno precedente il festival, quando allegri e già semialcolizzati gruppi di ragazzi piantavano le loro tende nell’area campeggio antistante la location o nel primo pomeriggio della prima giornata, quando le zone ristoro già si animavano di cori inneggianti al bere in compagnia. Una bella atmosfera, dunque, che ha permesso a quelle che a occhio potrebbero essere stimate come due-tremila persone al giorno di godersi una kermesse low-cost ma professionale nella logistica. Oltre a campeggio gratuito, ampi parcheggi, un palco di discrete dimensioni e buona potenza audio, non sono mancati infatti un mercatino con parecchi stand di oggettistica, CD, magliette, un merchandising ufficiale delle band, un’offerta di cibi e birre veramente notevole e soprattutto a prezzi onesti, tendoni dove potersi sedere all’ombra, aree verdi dove riposarsi e una ragguardevole muraglia di WC chimici. Quello di cui si è sentita veramente la mancanza, e qui un appunto agli organizzatori è d’obbligo, è un semplice rubinetto di acqua corrente all’aperto dove rinfrescarsi. Le uniche, e non a caso prese d’assalto, due “fonti” di refrigerio erano infatti due lavandini presenti all’interno dei bagni al coperto, raggiungibili come miraggi solo dopo aver fatto una discreta coda. Poca cosa ad ogni modo se si considerano gli sforzi fatti dagli organizzatori per offrire ancora una volta un evento dal rapporto qualità-prezzo praticamente imbattibile e con molta attenzione a quel cosiddetto “contorno” che all’estero col passare degli anni ha costituito il vero punto di forza dei più grandi festival e che invece viene spesso messo in secondo piano nel nostro paese.
Sabato 13 luglio 2013
MALADECIA
Mentre il sole arde le spalle del già discretamente folto e vociante pubblico del Fosch Fest 2013, i Maladecia con il loro folk metal cantato in italiano, con strumenti tradizionali e dall’immagine curata con costumi in stile medievale, danno inizio danze. In tutti i sensi, visto che i ritmi festaioli e i giri melodici di cornamusa, flauto, piffero e organetto fanno da subito saltare, pogare e divertire la platea. Corni e birre alzati al cielo, gente che brinda, altri individui con tasso alcolico già oltre i livelli di guardia che girano in cerchio prendendosi a braccetto e tanti applausi. Il gruppo non ha molto tempo a disposizione ma nonostante ciò non rinuncia a rimarcare le proprie origini piemontesi e a narrare le glorie della propria terra nelle battaglie contro i francesi, su cui vertono alcuni dei pezzi proposti. Simpaticissima inoltre la versione di “Vodka” dei finnici Korpiklaani che il quintetto decide di proporre in versione italianizzata con il più consono titolo “Grappa”. Buona la prestazione strumentale del gruppo e discreta quella delle due voci, una pulita e l’altra in growl, per una performance purtroppo non ottimale come suoni ma complessivamente divertente e decisamente adatta a creare la giusta atmosfera folkloristica e paesana su cui si manterrà poi l’intera kermesse.
(Alessandro Corno)
LOU QUINSE
Secondo gruppo per il Fosch Fest 2013 e anche seconda formazione piemontese. Questa volta il sound tradizionale e figlio del folklore della terra di origine degli otto musicisti, quest’oggi senza ghirondista, viene rappresentato da melodie di cornamusa, flauto, organetto, dai ritmi tribali delle percussioni e dal cantato in growl con testi in dialetto antico. Il tutto si sposa con un sound aggressivo e talmente ricco di elementi da venire in parte penalizzato da suoni inizialmente un po’ caotici. Un solo full length all’attivo per i torinesi, intitolato “Rondeau De La Forca”, e dunque il set pesca parecchio da questa uscita. Pezzi come “En Passant La Rivière” o la stessa titletrack sono divertenti e episodi di folk metal tirato, coinvolgente e suonato con un’attitudine casinara che se da un lato non valorizza la precisione d’esecuzione, dall’altro riesce a destare anche i più sbronzi energumeni felicemente appostati sulle gradinate. Spazio anche a un discreto e più rilassato nuovo pezzo, un mid tempo cadenzato, semplice e diretto che trova subito il favore del pubblico. Sui cori e le sparatissime accelerazioni di “Para Lo Lop” e con i fan che spronati dall’esagitato frontman Daniele Quaranta mettono a dura prova le proprie articolazioni in un pogo forsennato, “il quindici” chiude la propria performance tra gli applausi (e le bestemmie urlate in coro) di un pubblico divertito.
(Alessandro Corno)
WOLFCHANT
La terza band in bill e prima rappresentanza estera risponde al nome di Wolfchant, formazione tedesca piuttosto attesa tra il pubblico del Fosch Fest. Con un’evoluzione che li ha visti passare progressivamente da un sound pagan più grezzo ed estremo fino alle inflessioni maggiormente power metal dell’ultimo album “Embraced By Fire”, i sei guerrieri dopo un lungo sound check attaccano con i primi due pezzi del recente lavoro, l’intro “Devouring Flames” seguita a ruota dall’up tempo della trascinante e melodica titletrack. Notevole l’impatto del muro sonoro creato dalle due voci, una in growl/scream e una pulita, e precisa la sezione ritmica. Le chitarre inizialmente appaiono invece un po’ imprecise ma quello che notiamo è più che altro il fatto che il cambio di proposta musicale, ora meno folk, ha smorzato un po’ gli animi del pubblico, adesso meno propenso a danzare e far casino e più incline a seguire la performance. Si passa al precedente album, “Call Of The Black Winds”, con la velocissima “Eremit”, sostenuta da una doppia cassa che non perde un colpo. Si prosegue poi con l’assalto ritmico di “Element”, in cui il duetto tra i due cantanti appare a tratti un po’troppo caotico. L’epica e tirata “A Pagan Storm” ci riporta al secondo album e alle sonorità viking più estreme con predominanza del cantato in scream. Mentre dal cielo inizia a cadere una leggera pioggia, i ritmi si abbassano momentaneamente con “Naturgewalt” che precede “Never Too Drunk”, sulla quale il pubblico si divide in due per un devastante wall of death. Il tempo stringe e si va verso la chiusura di una performance complessivamente discreta ma che ci ha dato modo di constatare anche dal vivo una certa mancanza di spessore dei brani, sempre su livelli qualitativi medi e raramente in grado di colpire in quanto ad ispirazione.
(Alessandro Corno)
CRUACHAN
Quando ancora imperversa l’acquazzone che ha seguito lo show dei Wolfchant, i Cruachan entrano in scena con curatissimi costumi da battaglia medievali sulle note del loro celtic folk metal estremo. Ottima da subito la prova della band, con i giri melodici celtici a fare da contraltare alle sfumature black metal su cui il gruppo è recentemente tornato dopo la parentesi più leggera con la cantante Karen Gilligan. Peccato solo che dopo pochi brani la pioggia torni ad intensificarsi e buona parte del pubblico si rifugi sotto ai tendoni delle aree ristoro. La band, sostenuta da una comunque folta schiera di temerari, non desiste e tira dritta come un treno, compatta e precisa. Ottimo il lavoro svolto da flauto e violino, perfettamente integrati nelle trame tessute da Keith Fay e il resto della band. È ad ogni modo lui, il frontman e leader del gruppo a catalizzare l’attenzione del pubblico e a tenere le redini dello show anche nelle pause, nelle quali non risparmia qualche divertente battuta in un italiano stentatissimo. Tra i momenti migliori la titletrack dell’ultimo convincente lavoro “Blood On The Black Robe”, l’epica “The Great Hunger” e “Ossian’s Return”, queste ultime due proposte con il supporto di una voce femminile che a dire il vero non appare all’altezza della ex cantante. In un set che alterna momenti più rilassati come “Ride On” ad autentiche bordate sonore come “Pagan” trovano spazio anche le nuove e più che buone “The Sea Queen Of Connaught” e “Marching Song Of Feach Mac Hugh” che finiranno sul prossimo lavoro. Il finale è lasciato a “I Am Warrior” che chiude uno show intensissimo, forse il migliore dell’intero festival ma purtroppo funestato dalla pioggia e da alcuni inconvenienti tecnici derivanti che ne hanno anche comportato la momentanea interruzione.
(Alessandro Corno)
ALESTORM
Eccoci quindi all’headliner di questa prima giornata del Fosch Fest 2013. Con il temporale che sopra le nostre teste continua minaccioso a lanciare lampi, tuoni e scrosci d’acqua, ci avviciniamo alla parte avanzata della platea, dove fan vocianti e bestemmianti (costante fissa del festival) ormai fradici attendono che gli Alestorm salgano sul palco. L’attacco della piratesca (nei testi ma non certo nell’immagine) band scozzese è lasciato a “The Quest”, opener del penultimo “Black Sails At Midnight”. A ruota la danzereccia “The Sunk’n Norwegian” che fa saltare e cantare tutta la platea. Gli Alestorm, si sa, non sono maestri di tecnica e non sono certo la band da vedere se si pretende la precisione esecutiva, ma dalla loro hanno delle composizioni divertenti che soprattutto sulle nuove leve sembrano fare molta presa. Non c’è quindi da stupirsi se pezzi formalmente non ispiratissimi come le successive piratesche “Shipwrecked” o “Leviathan” riescano a strappare il pieno degli applausi grazie alle loro melodie semplici e dirette. Simpatica come al solito l’attitudine e la gestualità del cantante e tastierista Christopher Bowes, mentre dal punto di vista vocale in più passaggi appare un tantino approssimativo. Si prosegue con “Over The Sea” e con le ovazioni di un pubblico soddisfatto e felice del fatto che nel frattempo ha smesso o quasi di piovere. “Midget Saw” torna a farci ballare su ritmi sostenuti, non senza però qualche imprecisione di troppo sulle più veloci accelerazioni. Grande partecipazione sulla cadenzata “Nancy The Tavern Wench”, il cui ritornello è cantato a gran voce dal pubblico, mentre la più tirata “The Huntmaster” smuove il pogo nelle prime file. Lo show è un divertente susseguirsi di brani tanto semplici quanto immediati. Spiccano “Pirate Song” e “Wenches And Mead” con i loro cori fatti per essere intonati a gran voce e la tirata “Death Throes Of The Terrorsquid”, uno dei brani migliori del gruppo e nel quale a fianco di melodie sempre ariose e cori cantabilissimi troviamo anche qualche sfumatura estrema discretamente eseguita. A dimostrazione che nonostante la posizione da headliner non ci troviamo certo di fronte una band che si prende troppo sul serio, il divertente episodio in cui Bowes prende un orsacchiotto gonfiabile lanciato dal pubblico e se lo mette a tracolla, strappando applausi e risate ai presenti. Il suo inoltre continuo alternare semiserie presentazioni dei pezzi a battute varie e buffe movenze è parte integrante di uno show che scorre liscio verso il finale passando per un’acclamatissima cover di “Wolves Of The Sea” o per la folkeggiante e divertente “Keelhauled”, per la riffata “Set Sail And Conquer”, fino alle conclusive “Captain Morgan’s Revenge” e “Rum” con Bowes che si getta tra il pubblico. Show, quindi, che aveva come obiettivi principali quelli di intrattenere e divertire i fan e che innegabilmente ha raggiunto il proprio scopo.
(Alessandro Corno)
SETLIST:
The Quest
The Sunk’n Norwegian
Shipwrecked
Leviathan
Over The Seas
Midget Saw
Nancy The Tavern Wench
The Huntmaster
Pirate Song
Back Through Time
Wenches & Mead
Death Throes Of The Terrorsquid
Wolves Of The Sea
Keelhauled
Rumpelkombo
Set Sail And Conquer
Captain’s Morgan Revenge
Rum
Domenica 14 luglio 2013
ARTAIUS
Tocca a questo sestetto emiliano aprire la seconda giornata del Fosch Fest 2013. Con un sound che mischia inserti folk di flauto, cantato estremo associato a voce lirica e sfumature gothic e progressive metal, gli Artaius hanno all’attivo il solo nuovissimo album “The Fifth Season” e devono fare i conti con un pubblico che, oltre a non conoscere la loro piuttosto ricercata e poco diretta proposta musicale, è decisamente provato dal delirio musical-alcolico del giorno prima e dunque staziona quasi immobile di fronte al palco. Tocca alla cantante Sara Cucci spronare i presenti chiedendone prima la partecipazione e innescando poi un pericoloso wall of death. Lo show così prende la giusta piega e il gruppo propone uno dietro l’altro con discreta bravura vari pezzi del sopra citato disco, tra i quali spicca la serrata “Through The Gates Of Time”. I suoni non sono perfetti e la band stessa mostra qualche leggera imprecisione e un’attitudine ancora un po’ acerba ma per una formazione che non da molto è uscita allo scoperto, possiamo comunque dire che l’impressione lasciata è positiva. Sicuramente un contesto come un club, più consono rispetto a un festival alle tre del pomeriggio, consentirebbe al gruppo di far apprezzare maggiormente le proprie composizioni ricche di vari elementi e sfumature.
(Alessandro Corno)
EVENOIRE
Il gothic-folk della band cremonese inizia con “Girl By The Lake” ma da subito soffre particolarmente dei suoni, evidentemente settati per il resto delle band in scaletta e la partenza in particolare risulta un po’ piatta. Nonostante ciò la flautista e vocalist Lisy fornisce una prova convincente e coinvolge il pubblico che, tutto sommato, sembra gradire la proposta degli Evenoire. Probabilmente il sound etereo della band è, comunque, poco adatto ad un festival incentrato su band forse meno smaccatamente folk, ma dal piglio più diretto e potente. E’ comunque sempre Lisy a mantenere vigile e partecipe il pubblico e a fornire uno spessore alla band, che la fa risaltare in un marasma di band spesso appiattite e molto simili tra loro. Il momento migliore, probabilmente, è “Days of the Blackbird”, canzone affascinante anche perché dedicata ai giorni della merla; dimostra di saper cogliere bene le sfumature di una delle più famose “leggende” nostrane.
(Lorenzo Ottolenghi)
ULVEDHARR
Dopo le atmosfere ovattate e bucoliche degli Evenoire, prorompe sul palco del Fosch Fest il viking-thrash degli Ulvedharr. Sarà che i ragazzi giocano in casa, sarà che la loro musica è più diretta e meno “meditativa” di quella delle band che li hanno preceduti o sarà che l’area festival di Bagnatica inizia a riempirsi, fatto sta che la partecipazione del pubblico è decisamente intensa. Mentre le chitarre ruspano e la voce di Ark incita gli astanti, si formano i primi moshpit e l’atmosfera si fa calda. La band viene, poi, accompagnata, verso la fine del concerto, da Lisy degli Evenoire e Davide dei Furor Gallico, a completare uno show essenziale, rude e con la giusta dose di “cattiveria”. Una conferma per chi aveva già avuto modo di vedere in azione i quattro thrasher orobici ed una bella sorpresa per chi non li conosceva; prova convincente, su cui spicca la travolgente “Onward To Valhalla”, aiutata da un pubblico amico e da una location (ed un impianto sonoro) decisamente adatta al sound immediato degli Ulvedharr.
(Lorenzo Ottolenghi)
OPERA IX
Il pubblico è stato scaldato a dovere ed ecco che gli Opera IX si presentano sul palco. La band di Ossian è una leggenda della scena italiana ed è un peccato che l’occasione di ascoltare live brani di vere e proprie pietre miliari come “The Call Of The Wood” e “Sacro Culto” sia sfumata in concomitanza alla dipartita (dalla band, ovviamente) di Cadaveria. Ciononostante, la band ci regala uno show convincente; le atmosfere oscure e pagane del black metal del gruppo piemontese non possono che soffrire della luce e dell’orario pomeridiano, ma Marco si rivela un ottimo frontman, in grado di coinvolgere il pubblico nel puro stile gelido e quasi immobile che un live black metal richiede. Le movenze lente rimandano agli show dei Gorgoroth e non si può non sentire, soprattutto durante una canzone come “Mandragora”, la forza occulta della band. Una splendida “Maleventum” è sicuramente l’apice dello show. Doveroso citare il caloroso saluto tributato ad Ossian dal pubblico, visto il suo ritorno dopo le travagliate vicende di salute che lo hanno colpito nell’ultimo periodo.
(Lorenzo Ottolenghi)
SKYFORGER
Grande attesa per i lettoni Skyforger che si presentano sul palco carichi. L’atmosfera creata dal loro pagan-black è decisamente “nordica”, qualcosa che troppe band nostrane cercano di copiare con risultati spesso discutibili. L’approccio musicale della formazione è molto accattivante e conquista subito i numerosi folk metaller presenti; nonostante i pezzi siano rigorosamente in madrelingua, Peter si dimostra un frontman capace e coinvolgente, introducendo praticamente ogni singolo pezzo e spiegandone il senso. Purtroppo lo show della band è penalizzato dalla mancanza di Kaspars (che ha lasciato la band da circa un anno) e, quindi, dei numerosi strumenti tradizionali di cui gli Skyforger fanno abbondante uso. Ne soffrono in particolare la tradizionale “Garais Dancis” e la conclusiva “Migla, Migla, Rasa, Rasa”. Il porsi della band, comunque, non può non conquistare: la passione e la totale dedizione alla musica ed alle tradizioni lettoni sono praticamente tangibili, si respirano ad ogni canzone e ad ogni discorso nel buffo inglese di Peter. Al termine dello show gli Skyforger vengono letteralmente osannati da un pubblico conquistato dal sound e dall’atmosfera del Fabbro del Cielo. Una band che viene da lontano e che viene dall’underground, con una proposta musicale unica ed azzeccata. Non c’è che da augurarsi che il contratto con la Metal Blade aiuti sempre di più i Nostri a farsi conoscere.
(Lorenzo Ottolenghi)
ENSIFERUM
Inutile negare che i bardi finnici sono la band più attesa di tutto il festival e da subito lo dimostrano. Dobbiamo dire che il rischio di una setlist incentrata sull’ultimo – e non proprio convincente – “Unsung Heroes” era temuta da molti, invece gli Ensiferum partono con una “In My Sword I Trust” molto più coinvolgente nel suo arrangiamento live. Anche “Retribution Shall Be Mine”, proposta a circa metà show, risulta accattivante, molto meno, invece, “Burning Leaves” che resta poco interessante come lo era su disco. Per il resto, la band ci regala una setlist che pesca sapientemente da un repertorio ormai vasto, con un Sami che, come sempre, incita il pubblico, lo carica, chiama moshpit e circle-pit, risultando al solito più carismatico di Petri che sarebbe il frontman “naturale” della band. Difficile trovare una highlight nello show della band; potremmo citare “From Afar” e “Lai Lai Hei” oltre ai cavalli di battaglia “One More Magic Potion” e “Iron”, proposta come encore. Con il passare del tempo, però, gli spettacoli della band sembrano sempre molto più simili tra di loro e l’impressione che ci sia più “mestiere” che voglia di suonare viene, ogni tanto. Sicuramente non una delle migliori performance degli Ensiferum che dimostrano una certa stanchezza, pur non risparmiandosi mai e riuscendo, comunque a convincere e coinvolgere il pubblico. Speriamo che le ultime performance un po’ “piatte” ed il non riuscitissimo “Unsung Heroes” siano solo un momento di passaggio per la band finlandese.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Symbols (intro)
In My Sword I Trust
Guardians of Fate
From Afar
Burning Leaves
One More Magic Potion
Retribution Shall Be Mine
Lai Lai Hei
Ahti
Stone Cold Metal
Twilight Tavern
Victory Song
Iron