FOSCH FEST 2015 – 2° giorno
08/08/2015 – Area Feste Bagnatica – Bagnatica (BG)
Running order:
Apertura porte: 12.00
14.30-15.00 – VERATRUM
15.20-16.00 – METHEDRAS
16.20-17.15 – FINSTERFORST
17.35-18.35 – HEIDEVOLK
19.25-20.35 – KAMPFAR
20.55-22.10 – ARKONA
22.30-24.00 – CARCASS
Introduzione
Biglietteria aperta alle ore 10, cancelli spalancati alle 12, inizio concerti 14.30. Benvenuti alla seconda giornata del Fosch Fest 2015!
Il Sole e’ piu’ che mai rimasto alto nel cielo, sebbene qualche sito specializzato preveda acquazzoni e temporali in serata, che speriamo sinceramente non arrivino. E’ la giornata dei Carcass, che guidano come headliner il bill di questo sabato agostano, che vede nel folk-metal il genere principale ma anche decise derive verso sonorita’ estreme, a partire dal death metal melodico dei britannici fino alle bordate thrash e death-black degli opener di giornata, Methedras e Veratrum. Al contrario, Finsterforst, Heidevolk, Arkona e in parte Kampfar terranno alta la bandiera del folk europeo, dando varieta’ e personalita’ ad un genere creduto fin troppo stereotipato e invece carico di sfumature diverse e, anche, tematiche diverse.
Oggi sara’ anche la giornata dei primi meet&greet organizzati da Metalitalia.com in collaborazione con la crew del festival, percio’ vi aspettiamo numerosi allo stand vicino al nostro.
E ora, mentre il pubblico inizia pian piano ad affluire nel piazzale della manifestazione, ci prepariamo a reportare uno per uno i gruppi che si susseguiranno quest’oggi, ad iniziare dai Veratrum.
(Marco Gallarati)
Crediti
Coordinamento e gestione stand e meet&greet: Alessandro Corno e Luca Corbetta
Report in diretta a cura di: Marco Gallarati (Carcass, Finsterforst, Veratrum), Giovanni Mascherpa (Kampfar, Heidevolk, Methedras), Edoardo De Nardi (Arkona) e Enrico Dal Boni (fotografie)
Fotografie meet&greet: Alice Pandini
VERATRUM – 14.30-15.00
Provenienza: Bergamo
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I Veratrum hanno il compito di inaugurare la seconda giornata sotto una canicola terrificante, tanto che l’organizzazione apre quasi immediatamente un idrante a beneficio delle decine di spettatori assiepati davanti alle transenne. Rispetto agli OdR, che hanno aperto le danze ieri sera, la band bergamasca ha due punti negativi dalla sua parte, che non le permettono di svolgere al meglio il proprio dovere di opening-act: l’esibizione in condizioni climatiche pesanti e la propria proposta – un blackened death metal dai tratti mistico-esoterici, con tanto di lettura di alcuni passi di una ‘Bibbia speciale’ – che di certo non solletica il ‘fine’ palato dell’avventore medio del Fosch. La band fornisce, dal canto suo, un’esibizione professionale e senza infamia ne’ lode, intessendo le proprie trame con scioltezza e sufficiente savoir-faire, proponendo un lotto di brani andanti a formare un sufficiente excursus sulla discografia dei Veratrum, tra cui “Sangue”, “Thule” e “Il Culto Della Pietra”, a rappresentanza dei tre lavori fin qui rilasciati. Inizio un po’ sofferto, quest’oggi, ma siamo solo all’inizio di una giornata davvero piena.
(Marco Gallarati)
METHEDRAS – 15.20-16.00
Provenienza: Milano/Bergamo
Si prosegue nel segno della brutalita’ inconsulta coi Methedras, che si impossessano del palco e ne fanno scempio con il loro sound “alla Testament” frullato in abbondanti dosi di death metal. Al microfono troviamo ovviamente il nuovo entrato Tito Listorti Maglia, rivelatosi nel giro di un paio di strofe un animale da palcoscenico di tutto rispetto. Con una barba da orco chilometrica e un piglio vocale che abbraccia gutturalita’ brutal, growl urlato di impronta svedese e un filo di attitudine hardcore, il singer si staglia come centro di gravita’ dell’infuocata performance dei quattro, non facendo rimpiangere il predecessore Claudio Facheris, presente tra il pubblico a intonare con un gran sorrisone tutte le parole dei testi. I Methedras denotano una notevole forza d’urto: per quanto il chitarrismo di Daniele Colombo sia piuttosto tecnico e basso e batteria amino buttarsi in pattern groovy piu’ ricercati, e’ nell’impatto dissoluto che i Nostri danno il meglio. Cassa e quattro corde un po’ sovrastanti la chitarra non tolgono granche’ alla potenza triturante del quartetto, che sfrutta bene l’esiguo tempo disponibile suonando un pezzo attaccato all’altro, con pochissime pause per ringraziare i presenti. All’inizio intimorito dal caldo e poco partecipe, il pubblico si rianima quando si mette in sintonia col truce messaggio del combo. Col materiale dell’ultimo “System Subversion” a farla da padrone, i Methedras conquistano i favori della giovane audience del Fosch Fest: si vedono tante mani alzate a rispondere agli incitamenti dell’assatanato singer e negli ultimi due pezzi arriva pure qualche accenno di mosh e un rustico circle-pit. Non si puo’ dire che i ragazzi non abbiano fatto divertire!
(Giovanni Mascherpa)
FINSTERFORST – 16.20-17.15
Provenienza: Friburgo, Germania
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La prima band straniera ad esibirsi, terza performance della giornata, sono i tedeschi Finsterforst, che danno finalmente sfogo alla voglia irresistibile di pogo che attanaglia l’audience, a tal punto che, dopo il primo brano eseguito, dal lento ed evocativo incedere folk-metal, un grido solitario si leva tra la folla: ‘fateci pogare, dio**ne!!’. Al che, la compagine tedesca fa saggiamente partire “Des Waldes Macht”, tratta dall’album di debutto “Weltenkraft” e perfetta per infine mollare le briglia dei ragazzi in platea, che si dedicano proditoriamente allo sport preferito del Fosch Fest. E’ un’esibizione a doppia faccia, quella inscenata dai Finsterforst, che anche musicalmente presentano una doppia natura: da una parte brani veloci e folk da battaglia atti a far dimenare gli astanti, dall’altra partiture piu’ evolute e complesse, pregne di cambi di tempo e varieta’, nelle quali la fanno da protagonista cori puliti dall’intensa atmosfera, procrastinati dal vocalist Oliver Berlin in accoppiata con il fisarmonicista Johannes Joseph, sorta di co-frontman a tutti gli effetti. Peccato proprio per la fisarmonica del suddetto Joseph, un bel po’ persa e debole nel muro sonoro, per altro efficace, dei restanti strumenti. Il combo teutonico, in connessione cromatica grazie all’uso di camicie bianche lordate di fango, cosi’ come le parti esposte di viso, braccia e gambe, ha dato l’impressione di essere piu’ sul pezzo durante gli episodi sofisticati e atmosferici, mentre la parte ‘festaiola’ della sua setlist ci e’ parsa quasi forzata, per lo piu’ (giustamente) doverosa nel contesto odierno. Da segnalare, quale novita’ dell’edizione 2015 del Fosch Fest, l’atteso arrivo delle nuvole e la rapida scomparsa del Sole, portato via da un vento alzatosi in fretta. Ora la situazione e’ stabile, con clima nuvoloso e caldo, che rinfresca leggermente gli animi. Avanti con gli Heidevolk, adesso, molto attesi e protagonisti poco fa di un meet&greet davvero popolato.
(Marco Gallarati)
Meet & Greet:
HEIDEVOLK – 17.35-18.35
Provenienza: Arnhem, Olanda
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Con un leggero ritardo sul programma, gli Heidevolk salgono sul palco del Fosch Fest davanti a una folla non poco in fibrillazione. Reduci da una spaccatura nella line-up che ha portato all’abbandono di due membri storici della formazione, il chitarrista Reamon Bomenbreker e uno dei due cantanti, Mark Splintervuyscht, questi epic/pagan metaller avrebbeto potuto pagare lo scotto di una coesione ancora da rodare. Si nota immediatamente, al contrario, un forte affiatamento: la band e’ rilassata, tonica, si rende conto di avere davanti un’audience che li ama e non aspetta altro di scatenarsi al ritmo relativamente ballabile dei loro pezzi. L’approccio e’ all’insegna di un paio di canzoni dal forte appeal folk, con melodie molto facili e ritmi quadrati. Il cantato simultaneo dei due monumentali vocalist e’ la caratteristica che salta all’orecchio a chi ha meno dimestichezza con questi suoni e dobbiamo dire che l’interazione funziona alla perfezione, mentre stranamente una buona parte del dialogo col pubblico e’ affidata al bassista Rowan Roodbaert. Gli Heidevolk raccolgono un numero di persone degno di un headliner, gli astanti provano a intonare assieme al gruppo i testi, con risultati forzatamente non ottimali nella pronuncia – i Nostri cantano in lingua madre, l’olandese – ma apprezzabili quanto a effetto corale. Quando i ritmi si accendono, grazie alla potente e non troppo quadrata prova dietro i tamburi di Joost Vellenknotscher – fondamentale nel non ammorbidire eccessivamente il sound – arrivano delle botte di epos niente male, mai aspre ne’ bellicosissime, piuttosto orientate a un tono poetico, quasi nostalgico. La reazione dei presenti non e’ di quelle compassate: abbiamo le prime spinte gia’ sui primi brani, poi il tutto degenera – positivamente – in mischie molto accese, sempre all’insegna di un apprezzabile fair-play e della spensieratezza. Non mancano dei mini-wall of death, ne contiamo almeno tre, a testimonianza di quanto sia alto il livello del divertimento. Saremmo passati volentieri sopra a qualche pausa un po’ prolissa, ma e’ un’opinione prettamente personale, perche’ i fan della band apprezzano e rispondono con un discreto aumento di decibel a ogni frase pronunciata da qualcuno dei componenti del gruppo. La scaletta offre una discreta panoramica di episodi vecchi e nuovi, la prestazione e’ sempre ottima, in particolare quella vocale, a cui partecipa saltuariamente anche il bassista. Al momento dei saluti, in tanti, sotto una pioggia che intanto ha iniziato a farsi sentire, si accalcano vicino alla transenne per chiedere di andare avanti, ma il tempo e’ tiranno: crediamo comunque che siano stati tutti soddisfatti del concerto, difficile trovare oggi dei difetti agli Heidevolk.
(Giovanni Mascherpa)
Meet & Greet:
KAMPFAR – 19.25-20.35
Provenienza: Fredrikstad/Bergen, Norvegia
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Basta ridere. Basta scherzare. Basta ballare beati. Il cielo plumbeo, scrosci misurati di pioggia, il vento forte e il telone col rosso vermiglio dominante accentuano il tono cruento della musica dei Kampfar. Non lo speravamo, visto l’estremismo dei norvegesi, ma il pubblico si fa ancora piu’ folto quando inizia il concerto. Sente l’odore del sangue, probabilmente, capisce che e’ ora di entrare nelle mischie vere, quelle dove la lotta diventa un dare e ricevere colpi dove ogni istante puo’ essere fatale. Tutti vestiti di nero, chitarra e basso dello stesso colore con degli sfolgoranti inserti rossi, i Kampfar non abbisognano di rodaggio per scatenare gli elementi. Ogni nota si riempie di significati pregiati, di un’intensita’ rara, in questo black metal cosi’ dinamico, incendiato da una passionalita’ autentica, genuina. Il quartetto, al confronto di molti connazionali dell’ambiente extreme metal, ha un atteggiamento meno costruito, non si pone su di un piedistallo, si propone in maniera molto old-school, rapace e guerriera, belligerante e istintiva. I riff si susseguono ispidi e mutevoli, come un rapido affondo di coltellate, sulle scariche tipicamente black metal, avvolgenti e quasi orecchiabili quando il coefficiente di epicita’ sale a vette sovrumane. Ark canta divinamente, lo paragoneremmo al compianto Quorthon per lo stile: il suo e’ uno screaming possente, trasudante una propensione al massimo sacrificio possibile in nome della propria musica. Eccellente anche sul pulito, il frontman raggiunge vette di lirismo alle quali solo in pochi – cosi’ su due piedi ci viene in mente il solo Alan Averill dei Primordial – possono arrivare. Bassista e chitarrista non se ne stanno in disparte, comunque, non soffrono il carisma di un cantante tanto ingombrante e riflettono anch’essi una conoscenza della materia e un’interpretazione da veri maestri. Ark e’ prodigo di parole, emana un entusiasmo smisurato, contagioso: non che ci sia bisogno di aizzare gli astanti, la reazione va molto al di la’ delle nostre piu’ rosee previsioni. Tra il materiale degli esordi e quello dell’ultimo “Djevelmakt” non si avverte alcun salto temporale: ogni pezzo rappresenta una lunga, dolorosa rappresentazione di una marcia vichinga alla conquista di nuovi territori. Momenti preparatori pieni di un’attesa solenne, crescendo che portano a gonfiare i muscoli e gettarsi a testa bassa nel conflitto abbandonando ogni paura e timore, finali liberatori a celebrare una vittoria che ha lasciato sul campo tante, troppe vittime per poter esultare davvero. Il tempo e’ ampio, c’e’ lo spazio per due pezzi nell’encore, che completano quella che e’ stata finora la migliore esibizione del festival. Kampfar, una delle migliori live band black metal in circolazione!
(Giovanni Mascherpa)
Meet & Greet:
ARKONA – 20.55-22.10
Provenienza: Mosca, Russia
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Il tempo per riprendersi dalle nefandezze black metal dei Kampfar prima che gli Arkona conquistino il palco per la loro energica performance live. Caratterizzati dalla prestazione istrionica e molto variegata tutta al femminile di Masha Arkhipova, vera mattatrice del palco ed abile intrattenitrice del pubblico, la band russa torna al folk-metal con un piglio pero’ poco festaiolo ed incline piuttosto ad una concezione epica ed evocativa del genere. Nel corso delle dieci canzoni presentate, estratte parimenti dalla corposa discografia del gruppo, si passa infatti con una certa facilita’ da momenti piu’ tesi, dove vengono persino presentate alcune partiture in blastbeat, ad altri meno sostenuti nel loro incedere, focalizzati piuttosto sulla creazione di atmosfere solenni che creano una suggestiva cornice all’interno del Fosch Fest. La chitarra soffre durante tutto il concerto di volumi un poco penalizzati rispetto alla batteria ed al basso, relegando di conseguenza in secondo piano l’animo prettamente metal della formazione; ma i presenti sembrano gradire comunque la musica dei russi, resa ancor piu’ eccentrica dall’apporto per niente trascurabile dei flauti e delle cornamuse, che rendono il concerto uno spettacolo altamente suggestivo nel corso della sua durata. Naturalmente, non mancano in scaletta episodi esagitati e caciaroni, perfetti per scatenare il ballo ed il pogo sotto palco e per accendere gli animi dei presenti, che non lesinano energie nel sostenere continuamente con cori ed incitamenti i propri beniamini. Dimostrando grande esperienza ed un feeling con il palco da musicisti scafati, gli Arkona ci regalano un’ora abbondante di musica equamente influenzata dal rock e dalle radici etniche a cui appartengono, mostrando raramente il fianco a circostanze oltremodo noiose. La formula lungo cui si dipana lo scorrere delle canzoni e’ certamente poco incline al cambiamento ed ancorata a stilemi facilmente riconducibili al genere di riferimento, ma quella vista stasera e’ certamente una band sicura, coinvolgente e perfetta per eventi folkloristici come questo festival.
(Edoardo De Nardi)
CARCASS – 22.30-24.00
Provenienza: Liverpool, Inghilterra, UK
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Avevamo lasciato i Carcass, almeno chi scrive, all’esibizione di ritorno sulle scene in Italia, nel novembre 2013, di supporto agli Amon Amarth e, di seguito, al Summer Breeze 2014, alle prese con un pubblico tedesco davvero freddino nei loro confronti. Oggi, come headliner del secondo giorno del Fosch Fest, la band di Liverpool ha a disposizione ben un’ora e mezza, che pero’ sfruttera’ soltanto in parte, suonando per settanta minuti e non concedendo bis. A parte questo dettaglio anche trascurabile, bisogna dare adito ai Carcass di avere riservato alla cospicua audience presente uno show serrato, dritto al sodo e senza troppi fronzoli, adornato dalla stessa scenografia vista dal rientro nel metal-biz e dagli stessi video passanti sul gigantesco backdrop bianco, a fatica contenuto dal palco del festival. Walker e Steer, i ‘mammasantissima’ della formazione british, sembrano in palla, con il primo, a suo stesso dire, particolarmente ‘su di giri’. Il piu’ famoso digrigno a denti stretti del metal estremo affronta le sue parti con esperienza e la solita grezzezza, lasciando alla coppia d’asce Steer/Ash il compito di trascinare tutta la performance verso alti livelli d’adrenalina e coinvolgimento. La setlist, come da programma, e’ una sorta di best of della discografia del gruppo, che ottiene i migliori riscontri dagli astanti all’altezza degli episodi di “Heartwork” e, stranamente, durante la proposizione del solito mini-medley composto dall’accenno di “Black Star” e dall’intera “Keep On Rotting In The Free World”, entrambe provenienti dal discusso album pre-scioglimento “Swansong”. Non mancano ovviamente estratti dai tempi d’oro del gore-grind che ha reso i Carcass precursori del genere e su tutti segnaliamo l’immancabile “Incarnated Solvent Abuse”. La performance ha potuto usufruire di suoni piu’ che accettabili, sebbene nei momenti di caos controllato piu’ feroce e belluino il mix tendeva a creare una confusione poco intelligibile. Questione di secondi, comunque, tempo per qualche sfuriata di blastbeat e poi tutto piu’ o meno a posto, discretamente nitido e udibile. “Heartwork”, la canzone, ha chiuso in maniera roboante un concerto denso e intenso, tipico dell’attitudine old-school dei Nostri: poche parole, istrionismo, violenza e buona musica. Andiamo finalmente a chiudere il secondo report del Fosch Fest e vi diamo appuntamento a domani pomeriggio per la terza e conclusiva giornata. Buonanotte.
(Marco Gallarati)