Come molti altri festival europei, anche il Frantic Fest, programmato in questi giorni, è stato rimandato all’anno prossimo. Ma gli organizzatori, con coraggio e dedizione, sono riusciti a pianificare a tempo di record un’edizione condensata in una sola giornata, battezzata Frantic Party 2021: un bill costituito da cinque band italiane (eterogenee fra loro nei generi proposti ma tutte di assoluto livello), quasi sei ore di musica, che non hanno assolutamente deluso un pubblico di appassionati scalpitante per poter finalmente respirare l’aria di un concerto dal vivo. A causa dei limiti imposti dalle norme anti-contagio, ovviamente il numero degli ingressi era limitato e i concerti dovevano essere seguiti da seduti; eppure ciò non ha impedito di ottenere un meritato sold-out, nella speranza che tra un anno si possa replicare con un’edizione completa. La location scelta è stata, come sempre, il Tikitaka Village di Francavilla al Mare.
Alle 19,30 in punto, quando il pubblico non è ancora numeroso, ecco AROTTENBIT salire sul palco per aprire le ostilità e riscaldare i pochi presenti con mezz’ora di delirante techno/dance, suonata con il solo ausilio di una consolle portatile a 8-bit. Dietro il progetto, mascherato di tutto punto, si cela l’ingegnere del suono Alessandro Galli che, lasciato il mixer per salire sul palco, scatena l’inferno con un semplice Game Boy: suoni sintetici, durissimi e rumorosi, prodotti dimenandosi come un pazzo; forse gli avventori di un concerto metal non sono abituati (perlomeno in Italia) a certe sonorità, ma sicuramente l’esibizione è piaciuta ed è stata un ottimo antipasto per ciò che sarebbe arrivato in seguito.
Il tempo di una birra ed un giro al ricco merchandising ed ecco i BOTTOMLESS: il terzetto guidato dall’esperto Giorgio Trombino (Haemophagus ed Assumption tra i progetti principali), con Sara Bianchin dei Messa al basso e David Lucido (anch’egli Assumption) alla batteria, ha pubblicato da pochi mesi l’omonimo disco d’esordio, ottenendo critiche favorevoli con un doom che più tradizionale non potrebbe essere, ispirato com’è dai numi tutelari quali Black Sabbath, Obsessed e Trouble. Nonostante la band sia solamente alla seconda esibizione live, tutto sembra funzionare alla perfezione: riff come se piovesse, assoli, voce epica (solo all’inizio non si sentiva benissimo ma il problema era già risolto a metà del secondo pezzo). Un groove lento e tenebroso che sa coinvolgere ed ammaliare gli ascoltatori grazie a pezzi ottimamente scritti come “Centuries Asleep”, un piccolo gioiellino doom che sfoggia un ritornello degno di uno dei gruppi che i tre musicisti sul palco considerano come influenze.
Preceduti da un lunghissimo soundcheck, i romani BEDSORE sono la seconda band della serata: nonostante l’esperienza non giochi a loro favore, i capitolini riescono a proporre un set intenso e curato nei minimi particolari. Il loro è un death metal dalle chiare tinte progressive, con strutture complesse e a volte addirittura imprevedibili; certamente la proposta non ha nulla di immediato e non è facile rendere dal vivo questo tipo di musica – la quale anzi necessita di un ascolto attento e dedicato per coglierne tutte le sfumature, con le parti più feroci che si perdono tra tastiere vintage, lunghe fughe strumentali e complicati arpeggi spesso eseguiti a due chitarre – ma il quartetto ha dalla sua una tecnica sopraffina che permette loro di adottare anche le soluzioni più ardite. Stupisce sempre vedere dei ragazzi così giovani suonare in questo modo e, in maniera particolare, colpisce il loro perfezionismo; l’album di debutto “Hypnagogic Hallucinations”, uscito un anno fa, è stato pubblicato da un’etichetta prestigiosa quale la 20 Buck Spin e, vedendoli dal vivo, si capisce il perché.
La band successiva sono i NAGA, terzetto di Napoli che propone uno sludge metal affilato e che spesso sconfina nel post metal, nel doom e anche nel black. Ciò che si nota dei partenopei è la loro estrema compattezza: i pezzi scorrono uno dopo l’altro fluidi e snelli, atmosferici ma sempre maledettamente oscuri, alternando velocità e lentezza, grazie ad una sezione ritmica precisa e potente; la voce è uno screaming tagliente, perfettamente integrato nel magma sonoro, che fa rivivere i peggiori incubi mentre i riff si susseguono con una pesantezza a tratti insostenibile, con suoni saturi e pieni di riverberi, distorsioni e rumori inquietanti. I brani, anche se piuttosto lunghi, sono diretti al punto e immediati, senza troppi fronzoli, sulfurei, capaci di evocare i demoni peggiori, volti ad esorcizzare la disperazione e la frustrazione più nere. La resa sonora è praticamente perfetta, tanto che sembra di ascoltare un disco, ma probabilmente questa freddezza è una lucida scelta volta ad accrescere il distacco e l’alienazione di chi ascolta.
Completamente diverso l’approccio dei THREESTEPSTOTHEOCEAN, penultima band della serata: i milanesi, con quindici anni di attività alle spalle ed una discreta esperienza in sede live, ci propongono un post-rock/post-metal strumentale dalle tinte decisamente rilassate ed intimiste, pur essendo robusto nell’interpretazione, uno stile ricercato che il quartetto riesce a riproporre con efficacia anche dal vivo. Gli strumenti si distinguono perfettamente e tutti e quattro sembrano giocare un ruolo importante nell’economia del suono: il basso, spesso autore della melodia portante, è utilizzato come se fosse una chitarra, mentre quest’ultima si alterna tra assoli, numerosi arpeggi e svisate di feedback, le tastiere sono sempre in bella evidenza e non servono solo ad ornamento, la batteria è essenziale e potente. Un viaggio affascinante attraverso un suono ipnotico, dilatato e carico di energia positiva. Purtroppo la performance si è dovuta interrompere prima del previsto per qualche piccolo problema tecnico.
A chiudere questa magnifica giornata musicale di gruppi italiani, l’unica formazione delle cinque che, perlomeno in parte, canta nella nostra lingua: i NERO DI MARTE. Il loro genere è veramente difficile da etichettare, si può provare a descriverlo come post-metal ma è una definizione che non rispecchia sicuramente a pieno quanto si sente nei loro pezzi che, per complicatezza, evidenziano anche una decisa vena progressiva. Questi, infatti, sono contorti, parecchio ostici, infarciti di rallentamenti ed improvvise esplosioni che lasciano sbalorditi ed attoniti: un esempio clamoroso è “Sisyphos”, brano d’apertura del loro ultimo disco “Immoto”, che viene riproposto con una prova incredibile in quanto ad intensità. La forza del quartetto è, infatti, quella di essere fortemente evocativo, soprattutto nella voce di Sean Worrell, incisiva e sofferta in ogni passaggio, sia quando è pulita che quando si lascia andare a ruggiti disperati. Tra riff di chitarra nervosi, effetti e distorsioni, da notare anche le percussioni, suonate dal bassista. Certo, non è facile proporre questi brani su disco, quindi figuriamoci dal vivo, ed infatti qualche piccola imperfezione può essersi fatta notare; tra l’altro è anche difficile mantenere la concentrazione al termine di una lunga giornata, ma ciò non toglie che la performance sia stata di livello assoluto.