Introduzione e report a cura di Emilio Cortese e Claudio Luciani
Foto di Enrico Dal Boni e Nina Ramirez
Seconda data in Italia del Full Of Hate, vero e proprio carrozzone itinerante che vede l’avvicendarsi sullo stesso palco di due tra i gruppi più importanti e influenti della scena death metal mondiale. Da un lato abbiamo i polacchi Behemoth, una delle band attualmente più chiacchierate della scena: vuoi per l’ego smisurato di Nergal, vuoi per la sua polemica costante con le istituzioni cristiane, vuoi per la sua battaglia (fortunatamente vinta) contro la leucemia; di fatto questa formazione è arrivata a dei livelli di notorietà che per una death metal band non sono facilmente raggiungibili. Dall’altro lato abbiamo quelli che, durante la serata del concerto, abbiamo definito come gli Iron Maiden del death metal, i Cannibal Corpse: ovvero la band estrema che qualunque metallaro conosce, il gruppo simbolo di un certo modo di suonare e intendere quella musica che a qualcuno non basta chiamare death metal, aggiungendo dunque il ridondante ‘brutal’. I Cannibal Corpse sono praticamente un gruppo di casa, al quale gli amanti di certe sonorità non possono non essere affezionati. A supporto di questi grandi nomi ci sono i validissimi death-grinders Misery Index, inspiegabilmente relegati a suonare prima dei mediocri olandesi Legion Of The Damned. Purtroppo, nonostante la provenienza da diverse parti d’Italia dei reporter (Modena e Firenze), il traffico imponente della tangenziale di Bologna ci ha impedito di assistere allo show dei Nexus Inferis e dei Suicidal Angels, di cui nulla vi sappiamo dire.
NEXUS INFERIS
SUICIDAL ANGELS
MISERY INDEX
Al nostro arrivo i Misery Index stanno mettendo a ferro e fuoco un Estragon già piuttosto caldo e spintonante sulle note di “Embracing Extinction”. La loro mistura di death/grindcore è davvero esplosiva e riesce ad essere efficace in tutto il suo affilato dinamismo, nonostante – come già accennato – i suoni questa sera siano tutt’altro che perfetti, con i bassi a farla da padrone creando il classico ‘pastone’ ovattato. Ovviamente la maggior parte dei brani, proposti nei miseri quaranta minuti a disposizione della band di Baltimora, sono per lo più estratti dalla loro ultima fatica in studio, “Heirs To The Thievery”, che ha letteralmente ossessionato i timpani di chi scrive durante l’anno di uscita, il 2010. Ma c’è spazio anche per alcuni pezzi di “Traitors” e un brano oseremmo dire atipico nel suo essere sperimentale – per essere un pezzo dei Misery Index – come “Partisans Of Grief” ci costringe allo scapoccio selvaggio. Come di consueto, da qualche anno a questa parte, la chiusura è lasciata a “Traitors”, vero e proprio cavallo di battaglia della band. In generale dobbiamo dire di avere avuto la fortuna di vedere altre volte i Misery Index più in forma e coinvolgenti di stasera, tuttavia andrebbe redarguito anche il pubblico, che mostrava le tipiche reazioni di chi non conosce la band a discapito di altre meno valide. Crediamo – inoltre – che il poco tempo a disposizione sia al limite dell’offensivo, dati l’importanza della band e, soprattutto, chi ha suonato successivamente.
LEGION OF THE DAMNED
Non ce ne vogliano i fan della band, ma francamente abbiamo trovato la presenza dei Legion Of The Damned abbastanza inutile. A parte il genere proposto fuori contesto rispetto agli altri gruppi presenti, in generale non abbiamo mai ritenuto la proposta di questa formazione propriamente irresistibile su disco, anzi. Il loro thrash/death è decisamente impersonale, per non dire piatto e monocorde, oltretutto sofferente della sindrome più comune tra i generi ibridi: piuttosto che un effetto sinergico, dalla commistione di due generi viene spesso l’impoverimento di entrambi. Questi difetti, che ci parevano già abbastanza palesi su disco, in sede live hanno finito per rasentare il fastidio: la loro musica è un susseguirsi interminabile di mid tempo, riff copiati e incollati da altre mille band e tutta una serie di luoghi comuni che nulla aggiungono e nulla tolgono a quanto di buono hanno detto in passato entità più importanti di questa. Pazienza per l’impersonalità, perché si può benissimo suonare qualcosa di non originale, ma se ciò viene fatto con passione e dedizione, certi difetti possono passare in secondo piano. Purtroppo non è il caso dei Legion Of The Damned, che riescono ad essere soporiferi anche dal vivo. Abbiamo tuttavia avuto l’impressione che chi reputa la band di un qualche interesse sia stato intrattenuto, alla meglio, dall’esibizione del quintetto olandese; noi, dopo i primi i pezzi, abbiamo iniziato a sbadigliare.
BEHEMOTH
Il pubblico delle prime file ha iniziato ad esaltarsi e acclamare la band polacca sin dall’allestimento del palco. E’ un piacere infatti vedere come ci siano ancora realtà che riescono a fare coesistere un bello show sia dal punto visivo che da quello uditivo, curando le scenografie e bardando il palco per dar vita ad un concerto che proverà ad essere il più spettacolare possibile. Rivedere Nergal tornare a calcare i palchi dopo la sua battaglia contro una malattia terribile come la leucemia è un vero piacere e la curiosità era tanta, anche per saggiare lo stato di forma dei ragazzi dopo due anni di stop forzato. L’impressione generale è quella di un gruppo in forma, ma – comprensibilmente – non ancora in quello stato di grazia di un paio di anni fa. Questa sera dobbiamo dire che i suoni imperfetti hanno giocato un ruolo molto importante nell’economia del concerto e, in particolare, la voce di Nergal era fin troppo amplificata (per ragioni ovviamente deducibili). I Behemoth infatti non sono proprio uno di quei gruppi a mo’ di ‘chitarre a motosega e via’: la loro proposta musicale necessita proprio di suoni limpidi e bombastici (come del resto hanno i loro dischi), in grado di esaltare in pieno le qualità tecniche dei singoli elementi e di permettere al pubblico una fruizione soddisfacente della maestosa epicità delle atmosfere create, nonché della potenza nei frangenti più evocativi e rallentati. La scaletta proposta da Nergal e soci cerca di prendere spunto da tutta la loro discografia, andando a pescare chicche dal passato (“Moonspell Rites”), brani da “Satanica” (da “Decade Of Therion” a “Chant For Eschaton 2000”), dall’ultima fatica in studio “Evangelion”, oltre che ad alcuni altri cavalli di battaglia come “Demigod”, “Conquer All” o “23 (The Youth Manifesto)”. Nel complesso abbiamo assistito ad uno show buono, senza picchi di esaltazione massima, ma anche senza baratri di noia. La cosa più importante però è stato ritrovare i Behemoth di nuovo in corsa: li aspettiamo alla prossima occasione quando saranno sicuramente più in forma.
Setlist:
Ov Fire And The Void
Demigod
Moonspell Rites
Conquer All
The Thousand Plagues I Witness
Alas, Lord Is Upon Me
Decade Of Therion
At The Left Hand Ov God
Slaves Shall Serve
Chant For Eschaton 2000
23 (The Youth Manifesto)
Lucifer
CANNIBAL CORPSE
I Cannibal Corpse arrivano per ultimi, come stabilito, ma già dal soundcheck la gente è in visibilio: se non fosse pieno di trucissimi deathster lungocriniti, tappezzati dalle toppe meno decifrabili al mondo, si penserebbe di stare aspettando qualche antica cariatide musicale, tipo Madonna. Parlando di questo gruppo, tanto su disco che live, si può dire qualcosa che non sia stato detto? Onestamente no, per cui partiremo con la cosa che più ha differenziato la loro esibizione da quella delle altre band: la bontà dei suoni, che riproducevano al meglio l’impostazione degli ultimi due album (secondo noi esempi di ottima produzione in ambito estremo: Erik Rutan, leggi e ricorda!); tale aspetto ci fa pensare che il presetting dei suoni sia stato fatto unicamente su di loro e che gli altri gruppi, nonostante il soundcheck, si siano in qualche modo dovuti adattare. Non il massimo, quindi, da parte dell’organizzazione. I ragazzi di Buffalo cominciano nel modo in cui li avete visti fare cento e altre cento volte: a fuoco, letteralmente; senza grossi preavvisi ci arriva il gradito ‘cazzotto nel muso’ intitolato “Evisceration Plague” e da lì parte il consueto quanto auspicabile svilimento di ogni carne. Un George Fisher in buona forma inizia la sua serie di velocissimi ed osceni scioglilingua su nota e rassicurante base di massacro, articolato su suoni pastosi che riproducono l’atmosfera di martirio carnale rappresentata in ognuno degli undici dischi del gruppo. Immobile come un golem, Giorgione grugnisce senza sosta, col collo gonfio e coi capelli davanti alla faccia ad occultare ogni possibile accenno di umanità, sorretto dalla prova precisa dei due chitarristi. Nel frattempo Alex Webster, unico ad agitarsi un po’, procede radendo al suolo ogni cosa per mezzo di un basso usato a mo’ di arma da fuoco, suggellando una scaletta inappuntabile che pesca un po’ ovunque dalla loro discografia, alternando classiconi ‘esaltafolle’ a pezzi più recenti perfettamente coerenti per attitudine ed atmosfera. La prestazione, manco a dirlo, è quella che tutti volevano e si aspettavano, caratterizzata da tutti quegli aspetti endemici dei loro show divenuti ormai tratto imprescindibile della loro personalità, fulcro della loro riconoscibilità e – per noi come per molti altri – oggetto di discussioni mosse dal gusto personale. Ecco allora che di fronte all’approccio di Paul Mazurkiewicz, fondamentalmente basato sul ‘tu-pa-tu-pa’ e variato solo dalla velocità d’esecuzione, ci si può annoiare come rallegrarsi per aver avuto un saggio di cosa ‘batteria à la Cannibal Corpse’ significhi; allo stesso modo, di fronte al figurare immobile dei cinque membri sul palco si può storcere il naso come divertirsi ad immaginarli zombie intenti in una qualche marcia performance (è l’approccio di chi, alla fine, è rimasto fedele alla sua adolescenza, tipo chi scrive). Unico aspetto controverso, anch’esso passibile di gusto personale, è l’interpretazione vocale delle canzoni dei primi quattro album: George Fisher punta assai sulla vena isterica, tra i suoi punti di forza, ma – in nostra umile opinione – il risultato denatura l’atmosfera originale dei pezzi che, grazie ai rantoli in bassa frequenza di Barnes, era prima di tutto pregna della nera ironia deumanizzata che è costata al gruppo svariate censure nel trascorrere degli anni. E’ così che, ad esempio, il pezzo di chiusura “Stripped, Raped And Strangled”, da macabra confessione quasi fumettistica d’assassino seriale, diviene un nervoso, ossessionato monologo ad opera di un dissociato mentale. E’ anche vero, però, che la differenza è sottile, quindi reputiamo ragionevole che qualcuno possa propendere per un’interpretazione del secondo tipo: questione insindacabile di gusti. Ciò che non si può sindacare è l’importanza storica di questa band, con buona pace dei detrattori, riscontrabile ogni volta che il gruppo sale sul palco a dare lezioni di death metal.
Setlist:
Evisceration Plague
The Time To Kill Is Now
Death Walking Terror
Demented Aggression
Scourge Of Iron
I Cum Blood
Sentenced To Burn
Fucked With A Knife
Priests Of Sodom
Unleashing The Bloodthirsty
Make Them Suffer
Devoured By Vermin
A Skull Full Of Maggots
Hammer Smashed Face
Stripped, Raped And Strangled