Report a cura di Bianca Secchieri
Vi parliamo della seconda ed ultima tappa italiana del Gaahls Wyrd Vardoger European Tour 2017, dopo quella del giorno precedente a Milano. Una serata interamente dedicata al black metal, nelle sue più diverse accezioni e sfaccettature: da quella atmosferica degli Auðn a quella lovecraftiana dei The Great Old Ones, fino all’essenza black metal più pura e tradizionale rappresentata dal progetto di Gaahl. Qualcuno tra i puristi potrebbe storcere il naso di fronte all’accostamento di filosofie tanto diverse tra loro, ma in realtà nessuna band risulta fuori contesto: si tratta in qualche modo di un viaggio nel tempo a ritroso, che ci guida dalle moderne sfumature post-black alle melodie tradizionali scandinave che impreziosiscono i brani dei Trelldom…
AUĐN
Si inizia puntuali poco prima delle 20.30, orario forse un po’ inconsueto per un sabato ma molto gradito per chi deve macinare un po’ di chilometri per tornare a casa e magari poi andare al lavoro. Il pubblico è comunque già abbastanza nutrito quando la formazione islandese sale sul palco (da scaletta, gli opener sarebbero dovuti essere i The Great Old Ones). La giovane band, autrice ad oggi di due dischi interessanti, condivide con le altre formazioni provenienti dalla terra del ghiaccio e del fuoco una particolare intensità emotiva e una componente aspra e selvaggia, entrambe facilmente riscontrabili nella prova vocale di Hjalti Sveinsson, che appare convincente durante tutta l’esibizione (anche se a tratti il suo scream alto rischia di apparire un po’ monocorde). Gli Auðn si presentano in maniera essenziale e scevra di ogni cliché legato al genere: t-shirt e giacca o camicia nere, capelli corti (quasi) per tutti. L’invito è probabilmente – banalmente – quello di far parlare la musica, senza sovrastrutture, unito al fatto che traspare, nel black atmosferico del quintetto, una vicinanza a formazioni legate al post-metal, musicalmente e come immaginario di riferimento. Le componenti più melodiche e d’atmosfera, più in evidenza su disco, vengono messe leggermente in secondo piano in questa sede, grazie ad una prova che risulta particolarmente sentita e molto ‘fisica’. Il pubblico bolognese (che si sta progressivamente infoltendo) si dimostra attento e curioso nell’ascoltare la proposta dei Nostri, che pur apparendo ancora suscettibile di miglioramento non può certo definirsi scialba.
THE GREAT OLD ONES
E’ il turno del combo francese, che sale sulle scene senza alcun ritardo sulla tabella di marcia. I seguaci dei Grandi Antichi, che non sono ormai nuovi ai palchi italiani, si presentano come al solito incappucciati e avvolti dalla nebbia, con l’immancabile effige di Cthulhu a fare bella mostra di sè al centro del palco. Il sound della band è un maelstrom che mescola black metal tout-court, influenze post à là Celeste e una spruzzata di death metal, in una miscela densa e appiccicosa. Il quintetto di Bordeaux è autore di una performance essenziale e caotica allo stesso tempo, in un’atmosfera totalizzante perfettamente in linea con quanto proposto su disco, che non permette distrazioni a parte il divagare tra i meandri dell’oscurità, penetrando sempre più a fondo tra gli abissi. L’amore viscerale per l’opera letteraria di Lovecraft ha dato vita ad una creatura mostruosa ma a suo modo perfetta, esattamente come i Summoning vivono del genio di Tolkien e allo stesso tempo sono capaci di regalargli una nuova forma e nuovi colori. E quindi c’è il blu sempre più scuro di Dagon, signore del mare infinito, il bianco accecante di lande innevate e desolate, il vivido arancione di fiamme che consumano. Il ritmo è serrato e i brani si snodano senza tregua e senza che alcuni momenti ne sovrastino altri; i Nostri, assistiti da un buon settaggio dei suoni, pescano da tutte e tre le release e creano un’atmosfera pesante, martellante e straziata che gli ormai numerosi presenti dimostrano di gradire.
GAAHLS WYRD
Sono da poco passate le dieci e mezza quando cala nuovamente il silenzio in sala ed è finalmente giunto il momento di gustare brani che non sentivamo da parecchio, o che live sono del tutto inediti. Gaahl non è un personaggio che necessiti di grandi introduzioni, ancor meno da quando lo storico frontman di Trelldom, Gorgoroth e Wardruna è apparso quale protagonista nel documentario True Norwegian Black Metal. Da lì in poi la curiosità e l’interesse verso l’artista e i suoi progetti si sono allargati al di fuori degli appassionati del genere, fino a raggiungere e alimentare (purtroppo) quella particolare frangia hipster che si è improvvisamente scoperta interessatissima al black metal e alle sue vicende, spesso facendo ironia a sproposito, del tutto priva degli strumenti per capire determinati fenomeni. Al di là di questo, quello che abbiamo di fronte è un personaggio controverso ma certamente genuino, tra gli ultimi alfieri di un certo modo di intendere la Nera Fiamma. Gaahl, al secolo Kristian Eivind Espedal, coaudiuvato da Lust Kilman (Sahg) e Stian ‘Sir’ Kårstad (Djerv, Nidingr) alle chitarre, Frode ‘Eld’ Kilvik (Gravdal, Krakow, già session per Aeternus) al basso e l’enfant prodige Baard Kolstad (Borknagar, ICS Vortex, Leprous) alle pelli, ha dato vita nel 2015 al progetto Gaahls Wyrd, con il quale ripropone (per la prima volta dal vivo per alcuni, come già detto) pezzi dei suoi progetti black metal. E’ una massa accalcata e in trepida attesa quella che accoglie il trittico iniziale “Steg”, “Til Minne…” e “Slave Til En Kommende Natt”: è un meraviglioso tuffo nel passato gelido e carico di misticismo pagano dei Trelldom. Gaahl è tutto quello che molto spesso manca nei gruppi black metal moderni. E’ un frontman. Non nel senso che sta dietro ad un microfono e quindi per convenzione al centro del palco e più in vista degli altri musicisti nelle foto promozionali. E’ un frontman perché è sufficiente la sua sola presenza, immobile, per ammutolire i presenti e concentrare gli sguardi su di sé. E’ un vocalist incredibile, capace di alternare timbri e sfumature diverse. Tutto questo e molto altro è Gaahl, e la band che lo supporta lo fa a dovere, con furia e perizia tecnica, oltre alla notevole presenza scenica del bassista Frode ‘Eld’ Kilvik, simile ad una creatura demoniaca. Con “Sannhet, Smerte Og Død” si torna indietro di ben ventidue anni (o ventitré, se consideriamo la demo “Disappearing Of The Burning Moon…”), il punto più lontano toccato dalla band in questo vero e proprio excursus storico. Il pubblico reagisce alla grande – ed è difficile pensare che possa essere diversamente – vista la caratura del materiale proposto e il livello della performance. Anche la band appare a suo agio e Gaahl si concede al pubblico molto più che in altre occasioni. Il primo brano dei Gorgoroth proposto è “Sign Of An Open Eye”, intervallata da altri pezzi di God Seed e Trelldom, fino al duetto con Animae, singer della band reggiana Darkend e amico personale di Gaahl, sulle note di “From The Running Of Blood”, altro estratto dall’unico full dei God Seed, “I Begin”. Il momento più infuocato è sicuramente quella “Incipit Satan” cantata a squarciagola da tutti i presenti, ma lo show non presenta momenti di stanca. A chiudere quest’ora e mezza di malignità al fulmicotone, il trittico firmato Gorgoroth e formato da “Exit – Through Carved Stones”, “Wound Upon Wound” e “Prosperity And Beauty”. A conclusione di tutto possiamo affermare tranquillamente: peccato per chi non c’era.