Report a cura di Simone Vavalà
Arrivano le feste e quale migliore celebrazione di un blasfemo raduno in quel del Circolo Svolta di Rozzano? Per questa occasione MartianArt ha radunato per noi una serie di proposte eterogenee e decisamente interessanti: in apertura di serata i nostrani Obsolete Theory, che purtroppo perdiamo completamente, e a seguire un trittico di discreto peso: la new sensation islandese Auðn, forti di una delle uscite più solide in ambito black atmosferico dell’anno; poi, i francesi The Great Old Ones con il loro mix di violenza e pesantezza ispirato ai mondi di HP Lovecraft; infine il redivivo Gaahl. Archiviata da tempo l’esperienza coi Gorgoroth prima e coi God Seed poi, il carismatico frontman ha messo in piedi questo nuovo progetto… che per questa volta si limiterà a proporci una selezione di brani delle precedenti incarnazioni di Gaahl stesso, ma che – come confermato a fine concerto – è pronto ad andare in studio per registrare il proprio album di esordio.
AUÐN
Autori di un paio di ottime prove su disco, i giovani islandesi si confermano una band di grande livello anche dal vivo, in grado di offrire una prova solida, energica, ricca anche di atmosfera nonostante la proposta tutto sommato molto diretta – specie rispetto alle band che suoneranno dopo loro. Come diverse compagini di quella remota isola, del resto, i loro brani uniscono riff ossessivi alle ritmiche serrate, e su questo tappeto sonoro il frontman Hjalti Sveinsson cuce linee vocali in scream estremamente modulate, che fanno pensare a tratti a una certa influenza del post-black americano. A tal riguardo va detto, anzi, che il loro look (giacca e maglietta nera in perfetto stile Armani) e un certo modo schizoide di tenere il palco è molto debitore di Deafheaven e compagnia simile, a dire il vero anche più di quanto la loro musica richieda; col risultato di trasmettere un po’ la sensazione di aver di fronte, visivamente, una band diversa rispetto a quella che si sente suonare. Ma poco male: un certo approccio emo, del resto, si è fatto da tempo spazio anche da queste parti, e nulla toglie al fatto che i cinque escono dal palco tra la soddisfazione del pubblico.
THE GREAT OLD ONES
C’è poco da dire sulla resa complessiva dei The Great Old Ones, che anche questa sera portano a casa il risultato senza problemi, ma è forte la sensazione che, rispetto alla loro ricca e affascinante proposta su disco, sul palco del Circolo Svolta mancasse l’anima. I membri del quintetto francese, infatti, sembrano più impegnati a cambiare effetti sulle pedaliere che a rendere appieno i loro passaggi sonori conturbanti, e francamente in certi momenti non si notano grandi differenze negli effetti utilizzati. Anche la terza chitarra risulta spesso sovrapposta e senza particolare costrutto, quindi viene abbastanza scontato chiedersi se non sarebbe utile, in sede live, che uno dei chitarristi si dedicasse magari alle tastiere – presenti in molti passaggi – invece di costringere il batterista a far partire i sample quasi in affanno. Gli estratti del recente “EOD: A Tale Of Dark Legacy”, così come l’affascinante “Visions Of R’lyeh” (dall’esordio “Al Azif”) comunque funzionano, e sebbene virati a una maggior violenza rispetto alle potenti cadenze doom delle versioni originali, riescono a trasportarci a tratti in territori lovecraftiani; sotto lo sguardo terreo di Howard Phillips stesso, immortalato sull’iconico telone presente dietro la batteria.
GAAHLS WYRD
Se le band precedenti hanno saputo, con alti e bassi, scaldare la serata, quando giunge il momento di Gaahl e dei suoi Wyrd basta in realtà la loro comparsa sul palco per spazzare via la concorrenza: il gigantesco (ed inquietante) bassista prende posto al centro del palco e i due chitarristi lo affiancano ieratici, facendo partire il sabba con la cadenzata “Steg”, presente nell’ultimo lavoro dei Trelldom. Quando nella sequenza di battute entra anche la voce di Gaahl, la sensazione di avere di fronte un officiante oscuro è fortissima, e poterlo ammirare a un paio di metri di distanza rispetto alle ben più ampie folle del passato è veramente un’esperienza. Come un maligno santone, si muove poco, i suoi gesti sono misurati ma ipnotici, e coerentemente il suo approccio vocale resta solenne nei seguenti brani (sempre dei Trelldom); e quando inizia la sequenza di classici dei Gorgoroth o dei God Seed, pur senza nulla perdere in austerità, la ferocia ci colpisce come un maglio d’acciaio. Brani come “Sign Of An Open Eye” o “From The Running Of Blood” vengono resi magnificamente, e il fatto che Gaahl resti quasi in secondo piano dal punto di vista visivo – per quanto dovuto al palco non enorme – rende giusto merito ai suoi giovani compagni d’armi, precisi e violentissimi. Il set viene purtroppo tagliato rispetto alle aspettative, poiché come spiega lo stesso cantante il suo stato di forma non è eccezionale, garantendo comunque poco più di un’ora mirabile e spaccaossa. Attendiamo ora con curiosità di ascoltare il prodotto di questa nuova, esplosiva avventura musicale di questo moderno Rasputin.