Report a cura di Giuseppe Caterino
Fotografie di Elisa Catozzi
L’unica data italiana del Cardinale più noto del mondo musicale e dei suoi ragazzotti senza nome ha portato nella fredda periferia mantovana un nutrito gruppo di quattromila persone, tra ragazzi adolescenti e spettatori meno giovani, metallari (pochini) e non, qualche famiglia e forse anche qualche curioso. Un pubblico folto e variopinto, che ha dato a modo suo un colpo d’occhio generale su quello che i Ghost di fatto rappresentano, un fenomeno (ormai) pop rock con connotazioni oscure, le cui reminiscenze doom del primo disco sono ben lontane e il successo degli ultimi lavori è materialmente visibile: arriviamo un’ora prima dell’apertura delle porte e la fila nel parcheggio della Grana Padano Arena è ragguardevole; un successo che, un po’ per la gran massa di gente e un po’ forse per decisioni tecniche, ci ha fatto però perdere, pur arrivando con largo anticipo, praticamente tutto il concerto dei Tribulation, con grande disappunto nostro e di molti altri fan degli svedesi. Le porte, infatti, sono state aperte più tardi del previsto, ma lo show si è tenuto puntualmente. L’arena si è dimostrata un posto francamente bizzarro, con tre soli bagni all’interno della struttura (gli altri erano fuori), una temperatura praticamente sempre bassa (almeno dalle tribune, chiodo-sciarpa-cappello di lana sono stati necessari sempre), due minuscoli punti bar ‘mobili’ con qualche panino confezionato e pop corn, con in più il banchetto merchandise posizionato all’esterno. Come metallari siamo abituati a trattamenti spartani, è vero, ma ci siamo chiesti se anche i fan di Fiorella Mannoia o simili si trovino a loro agio in tali condizioni, quanto meno in inverno. Tuttavia la musica ha fatto da padrona della serata, e di questa ci troviamo a scrivere: buona lettura!
TRIBULATION
Se già sulla carta non eravamo convintissimi della posizione dei Tribulation rispetto agli All Them Witches, il fatto di essere entrati alla fine di “Cries From The Underworld” ci ha fatto davvero rammaricare. Perdere un concerto pur arrivando con largo anticipo è una cosa davvero disdicevole ed obiettivamente, per connotazione e per mood musicale, gli svedesi sarebbero stati perfetti subito prima dei Ghost, vista anche la soporifera esibizione della band di mezzo. Poco male, ci accontentiamo dei tre pezzi che riusciamo a vedere: la band gode di una scenografia da grandi occasioni, i suoni sono un po’ ovattati ma il feel sul palco si sente subito, e mentre in veloce successione vengono suonate “The Motherhood of God” e la conclusiva “Strange Gateways Beckon”, assistiamo ad un lento ma continuo aumento della popolazione all’interno dell’arena. I Tribulation sono sembrati davvero in forma e molti sono i commenti negativi che sentiamo sulla gestione delle entrate, visto che più di qualcuno rimasto fuori al freddo avrà visto sì e no i saluti del gruppo al pubblico italiano. Sarà per un’altra volta.
ALL THEM WITCHES
Il distorto blues mischiato a stoner rock e a qualche reminiscenza psych suonato dagli All Them Witches fa capolino su di un pubblico decisamente più folto rispetto alla band precedente, inondando immediatamente la platea di un respiro molto più settantiano, in senso stretto. I suoni sono ancora francamente imperfetti, i volumi molto bassi e l’esibizione della band non sembra aiutare granché: in tutta onestà, gli americani ci sono sembrati davvero inoffensivi e senza tiro; va detto che, a livello quanto meno iconografico, lo scarto tra le due formazioni nel mezzo alle quali gli All Them Witches si sono trovati a suonare deve aver fatto il suo per abbassare il mood, soprattutto considerando chi non li conosceva (a occhio una grande maggioranza), e infatti molta gente si è trovata a guardare più distrattamente che altro. A nostro avviso, gli ATW non paiono aver fatto più del proprio compito di musicisti, laddove certi momenti, anche su disco, suonano sin troppo sui generis. Ma siamo certi che il contesto non fosse il più congeniale alla proposta della band.
GHOST
Del resto, la grandissima maggioranza dei presenti era qui per gli headliner. Il corso intrapreso dai Ghost con le ultime uscite ha aperto loro le porte di una nuova generazione di ascoltatori, che con maschere da Nameless Ghouls, corni da diavolo, trucchi da frati e suore (pochini questi ultimi, ma c’erano) si è fatta strada nell’arena, recando un amore smisurato per i propri beniamini. Siamo ad un concerto di fatto squisitamente pop rock e va benissimo così. Non per niente, l’atmosfera cambia in una maniera pazzesca quando le luci si spengono e una base classica zittisce tutti i presenti prima di introdurre “Ashes”, che a sua volta introduce “Rats”, che tra i fuochi d’artificio apre le porte alla cattedrale degli ormai furono Papi Emeritus e dell’ora padrone di casa Cardinal Copia: Tobias Forge, in frac rosso, entra tra i tripudi dei suoi ammiratori, e si dimostra immediatamente quell’intrattenitore che è, tra bacini mandati con la mano a destra e a manca e le sue movenze sbarazzine. La componente pop dei Ghost è immediatamente tangibile nella loro musica, che diventa davvero irresistibile ad ogni nota suonata, e l’apparato tecnico è imponente: a parte lo stage, bellissimo e curato in ogni dettaglio, oltre agli strumenti ‘classici’, coristi e tastiere, il lavoro nel retro palco deve essere pazzesco. I suoni, almeno dalla tribuna, sono a livello ottimale quasi sempre, benché ci venga detto che in parterre non fossero così cristallini. Non finiscono di cantare la canzone, i fan, che “Absolution” fa subito capolino, proseguendo per una strada per la quale si arriva alla salmodiante “Mary On A Cross”. Il concerto è grosso e festoso e nulla viene lasciato al caso: cambi di costume (cardinale, gangster style, mantellina vampiresca), intermezzi attoriali, un duello chitarristico vinto da uno dei due Nameless Ghouls, il Papa scortato dalla security per un assolo di sax, medici della peste, scenette di case nella nebbia, biciclette inquietanti, e una serie di monologhi di Tobias Forge che hanno mandato in visibilio i fan. Fan che hanno partecipato nelle corde del tipo di impostazione di concerto proposta: non headbanging, ma braccia alzate e ciondolanti a ritmo; non poghi (giustamente, anche se un accenno c’è stato quando Forge, che non è l’ultimo degli scemi, ha provocato proponendo il pezzo più heavy metal possibile, ovvero “Mummy Dust”), ma lucine del cellulare a mo’ di accendino su “He Is”, telefonini sempre presenti e coppiette abbracciate. Un trionfo, per fortuna, anche per brani più datati come “Ritual” o “Satan Prayer”, ma ovviamente la voce grossa l’hanno fatta le hit, come “Cirice” e la tripletta finale, micidiale, dove si sono susseguite “Kiss The Go-Goat”, “Dance Macabre” e “Square Hammer”, tra coriandoli, fuochi e balletti. Un concerto di una produzione pachidermica, curato in ogni movimento dei musicisti e dei tecnici, che dimostra la professionalità pazzesca e le qualità da imprenditore di Tobias Forge, nonché la bontà delle composizioni dei Ghost e la loro potenzialità di divenire anello di congiunzione tra quello che fu e quello che sarà. Non abbiamo assistito ad un concerto metal tout court, quello certo no, ma lo spettacolo del rock, pesante o meno, dei prossimi anni passa certamente per di qua.
Setlist:
Ashes
Rats
Absolution
Faith
Mary on a Cross
Devil Church
Cirice
Miasma
Ghuleh / Zombie Queen
Helvetesfönster
Spirit
From the Pinnacle to the Pit
Ritual
SatanPrayer
Year Zero
He Is
MummyDust
Kiss the Go-Goat
Dance Macabre
Square Hammer