A cura di Chiara Franchi
“Belial, Behemoth, Beelzebub”! Quale scenario più adatto di una serata di pioggia per la nuova data italiana dei Ghost, che a pochi mesi dallo show di Trezzo sull’Adda fanno tappa al Deposito di Pordenone? Il gruppo svedese, croce (rovesciata) di alcuni e delizia di molti altri, sbarca a nord-est per la gioia di circa cinquecento spettatori, impazienti di farsi benedire dal Papa più dissacrante dai tempi di Rodrigo Borgia. A fare da spalla alla diabolica band ci sono ancora i Dead Soul, già visti e sentiti nella prima parte del Black To The Future Tour. Padre, Figlio e Spirito Malo: si comincia.
DEAD SOUL
Prendete i Depeche Mode più recenti. Virateli in chiave blues. Aggiungete un pizzico di Nick Cave e avrete, più o meno, i Dead Soul. Il duo, conterraneo dei Ghost, propone infatti una miscela di rock ed electro-blues per nulla spiacevole e con qualche pezzo interessante. Se la prima parte della sintetica setlist (trentacinque minuti) fatica un po’ ad ingranare, la seconda, con le buone “Do Your Job”, “Lost My Will” e “Burn Forever”, scioglie il pubblico in diversi applausi di sincera approvazione. Sicuramente è con questi ultimi brani che riusciamo ad apprezzare meglio gli unici strumenti presenti sul palco, ovvero le chitarre, e la bella voce di Anders Landelius. E proprio su questa scelta di salire sul palco circondandosi di sole basi abbiamo qualcosa da ridire: se è vero che musicalmente il lavoro dei Dead Soul non è affatto male, poche cose sono tristi a vedersi come un cantante che fa il karaoke con a fianco due chitarristi, la cui funzione, ci dispiace dirlo, sembra essere più che altro quella di riempitivo.
GHOST
Se “Do Your Job” dei Dead Soul ci ha ricordato la colonna sonora di “Django Unchained”, l’intro dei Ghost ci fa sprofondare nelle atmosfere morbose di “Eyes Wide Shut”: “Masked Ball” e luci rosse accompagnano infatti l’arrivo dei Ghoul e di Sua Sa(ta)ntità Papa Emeritus III, che si palesa sul palco avvolto da una coltre di fumo. Come nella data di Trezzo, l’apertura dello show è la stessa di “Meliora”: “Spirit” e “From The Pinnacle To The Pit” in rapida successione. I Ghost ci riportano poi alle loro origini con “Stand By Him” e “Con Clavi Con Dio”, che il pubblico canta a squarciagola incurante dei risvolti maccheronici dell’italiano(?)/latino(?) proposto dal quintetto svedese, mentre il Papa dirige il coro con movimenti compassati. Eh già, il Papa. Definirlo ‘cantante’ non è del tutto pertinente. Primo, perché tra la massiccia dose di basi e il pubblico che riempie buona parte dei ritornelli, il lavoro delle sue corde vocali è ridotto davvero al minimo sindacale. Secondo, perché cantare è solo una delle sue funzioni e forse neanche la più importante. Papa Emeritus III, ma anche I e II, è essenzialmente uno showman, un intrattenitore, una presenza scenica importante tanto quanto la musica. È scontato che senza le sue mossette e senza i bacetti che manda dal palco, i Ghost, per quanto solidissimi sia sul piano compositivo che su quello tecnico, non sarebbero il fenomeno che sono. In questo senso, le doti teatrali del frontman sono confermate anche dalla godibile scenetta con cui vengono chiamate sul palco le Sisters Of Sin della serata: le graziose suore hanno l’incarico di distribuire al pubblico dei surrogati profani del corpo e del sangue di Cristo, preludio alla sempre ottima “Body And Blood”. Un intermezzo strumentale dal sapore vagamente pinkfloydiano dà al Papa il tempo per indossare il suo nuovo outfit ‘non liturgico’ (a metà fra un frac e una divisa militare settecentesca) e a noi di apprezzare appieno le doti tecniche dei Nameless Ghouls. Le prime note di “Cirice” vengono salutate con grande entusiasmo, che cresce ulteriormente per “Year Zero”: il pubblico un po’ statico di questa serata friulana (età media: 30-35 anni) finalmente si scioglie del tutto e si lascia andare a qualche ballo. Un’accoglienza di tutto rispetto è riservata anche a “He Is”, sicuramente il pezzo più arioso della setlist, seguito a ruota da quello che ha avuto il piglio forse più ‘strong’ nella sua esecuzione live – ovvero “Absolution”. Una nota di merito va a “Mummy Dust”, ancora più efficace dal vivo che su “Meliora”. A questo punto il pubblico invoca “Elizabeth”, ma i Ghost hanno in serbo altri programmi per l’encore. Poco male, perché “Guhleh/Zombie Queen” e “Ritual” mettono comunque tutti d’accordo. Se proprio dobbiamo trovare una nota negativa, possiamo dire che è stato necessario aspettare questi ultimi brani per avere un sound che rendesse giustizia alla band al cento per cento. Come ultimo atto, Papa Emeritus III erudisce l’audience sulla presunta origine diabolica dell’orgasmo femminile e sottolinea come lui e i suoi Ghouls intendano invece celebrarlo col brano che è ormai la tradizionale chiusura dei loro show: qualcuno ha ancora dei dubbi su cosa sia l’ostensorio di cui parla “Monstrance Clock”? Quando la band esce di scena, vediamo attorno a noi delle facce molto, molto soddisfatte. I Ghost portano a casa un’altra serata riuscitissima e siamo certi che più di qualcuno dei presenti vorrà fare il bis alla prima occasione utile.