19/02/2017 - GLENN HUGHES + STONE BROKEN + MINUS ONE @ Serraglio - Milano

Pubblicato il 23/02/2017 da

Report a cura di Carlo Paleari

All’inizio doveva essere un tour in coppia con i Living Colour al Live Music Club di Trezzo sull’Adda, poi, di punto in bianco, l’abbandono di questi ultimi ha lasciato appiedato il buon Glenn Hughes, che ha dovuto posticipare di tre mesi il suo tour europeo di supporto al nuovo album “Resonate”. Purtroppo, questo fuori programma non ha giovato al musicista inglese che si è ritrovato, almeno per la data milanese, relegato in un piccolo circolo ACSI, il Serraglio, che, come ha chiosato divertito il bassista, è grande più o meno come il garage di casa sua. A maggior ragione dispiace se si pensa che, nonostante questo, il locale non è nemmeno pieno al momento dell’entrata in scena di Glenn, un musicista che, nel suo momento di massima gloria, ha suonato di fronte a centinaia di migliaia di persone. D’altra parte è in occasioni come questa che si vede un grande artista e il cantante non si è lasciato influenzare dalla scarsa affluenza, regalando uno show infuocato per la gioia dei presenti. Ad accompagnarlo troviamo i Minus One, provenienti da Cipro, e gli inglesi Stone Broken.

 

 

MINUS ONE

Tocca ai ciprioti Minus One scaldare un po’ l’atmosfera per i pochi astanti già pronti ad occupare le prime file davanti al palco. La band, che ha rappresentato Cipro all’Eurovision Song Contest 2016, può vantare un rapporto stretto con l’Italia, tant’è che proprio in questi giorni il gruppo ha dato alle stampe un EP intitolato “The Bologna Session”, registrato proprio nel capoluogo italiano. La proposta dei Minus One è un rock moderno dalle tinte pop, magari non eccezionale nella scrittura; però in questa occasione la band fa davvero del suo meglio per accaparrarsi l’attenzione e la stima del pubblico: i musicisti si buttano anima e corpo nella loro performance, sopperendo a qualche difetto di fondo con la forza e l’energia dell’impegno. Nella mezz’ora a loro disposizione la formazione di Cipro presenta una manciata di brani, tra cui “Save Me”, “Alter Ego” (il pezzo portato all’Eurovision) e qualche estratto da “The Bologna Session”, tra cui la piacevole “Invincible”. Insomma, i Minus One non saranno forse la proverbiale next big thing, ma questa sera ci hanno convinto.

STONE BROKEN
Passa una mezz’ora abbondante prima di vedere salire sul palco gli Stone Broken, formazione inglese che sta accompagnando Glenn Hughes in tutto il tour europeo. I componenti della band sono decisamente giovani e, onestamente, la loro performance è tutt’altro che memorabile. Il cantante/chitarrista Rich Moss, con cappellino e visiera calati sugli occhi, calca il palco con atteggiamento spavaldo, ma la musica del gruppo è ancora molto acerba: una scialba rivisitazione di Nickelback e Alter Bridge, con melodie già sentite ed elementari. Ad esclusione della ballad “Wait For You” che, pur senza brillare, risulta quantomeno sentita e coinvolgente, lo show degli Stone Broken scorre senza sussulti. Non si capisce, poi, la scelta di includere, in un set che supera di poco la mezz’ora, perfino un discutibile assolo di batteria, piazzato lì giusto per fare un po’ di casino. Al termine del concerto la band ringrazia per l’occasione concessa loro da Mr. Hughes e, in effetti, quando uscendo li vediamo giocare allegramente col biliardino del locale, la sensazione è quella di avere a che fare con una band che ha avuto un bel colpo di fortuna e ora si sta godendo una vacanza in giro per l’Europa. Ancora un po’ di gavetta non potrà che fare bene agli Stone Broken!

GLENN HUGHES
Finalmente, alle 22.15, sale sul palco Glenn Hughes, accompagnato da Søren Andersen alla chitarra, Pontus Engborg alla batteria e il nuovo acquisto Jay Boe alle tastiere, e subito il quartetto si tuffa in una potentissima “Flow”, primo estratto dal nuovo album “Resonate”. Quando si ha a che fare con un concerto di un cantante con così tanti anni di carriera c’è quasi sempre una costante che serpeggia tra gli spettatori o gli addetti ai lavori che si occupano di raccontare le emozioni della serata: “certo, la voce non sarà quella di una volta però…”. Ecco, questa premessa non vale per il protagonista di questa serata: la voce, sì, è quella di una volta. Non si sa come sia possibile, quale miracolo si rinnovi nelle corde vocali di quest’uomo, ma una cosa è certa: gli anni non sembrano avere effetto sulla meravigliosa voce di Glenn. L’acustica non è delle migliori, sopratutto tra le prime file, con un suono impastato e confuso che adombra il piacere di avere il cantante così vicino, viste le dimensioni ridotte del locale. Decidiamo, quindi, di retrocedere un po’ e fortunatamente la situazione migliora parecchio. La band suona compatta e gli arrangiamenti prediligono il lato più heavy della musicalità di Hughes: l’organo Hammond viene sovrastato da batteria e chitarra e lo stile di Andersen è più vicino a quello muscolare degli anni ’80 rispetto al tocco più settantiano di un J.J. Marsh. Intanto il cantante prosegue il suo spettacolo, costruendo la scaletta in modo da attraversare la sua sterminata discografia: dal progetto Hughes/Thrall viene estrapolata “Muscle And Blood”; il passato remoto di Glenn con i Trapeze viene toccato dalla bellissima “Medusa”, un brano che Hughes scrisse all’età di diciassette anni sul tavolo della cucina, mentre sua madre preparava da mangiare, come racconta lui stesso prima dell’esecuzione. Non mancano anche alcuni estratti dall’avventura con i Black Country Communion (“One Last Soul” e “Black Country”) che torneranno sul mercato il prossimo autunno con il quarto volume della loro discografia; inframmezzati da alcuni passaggi fondamentali della carriera solista di Glenn che, oltre a dare spazio al nuovo album, ripesca un paio di classici, “Can’t Stop The Flood” e la fortunata title track di “Soul Mover”, che ha rilanciato, ormai una decina di anni fa, la carriera di Hughes, rafforzando il sodalizio artistico con l’amico Chad Smith. Peccato non aver potuto ascoltare, invece, almeno un accenno di quanto fatto assieme a Tony Iommi: la riproposizione di un episodio di “Seventh Star” sarebbe stata la ciliegina sulla torta in questa serata di alta classe. Naturalmente una menzione d’onore non può che essere per il materiale dei Deep Purple, che questa sera consiste in una tesissima versione di “Gettin’ Tighter”, il graditissimo ritorno di “Might Just Take Your Life”, l’immancabile “Burn”, posta in chiusura, e soprattutto un’eccelsa “You Keep On Moving”. Per quest’ultima, Glenn racconta di come fosse stata scritta nel 1973, prima ancora dell’uscita di “Burn”, ma che non fu inclusa in un album ufficiale fino a “Come Taste The Band”: ‘immaginate come mai’, ci dice Glenn, con una punta di sarcasmo che ricorda vecchi rancori. Subito dopo, però, quasi pentito di questa esternazione, ci tiene a precisare che prova solo affetto e gratitudine per la sua vecchia band, perché adesso Glenn Hughes è una persona libera, che vive e respira la vita a pieni polmoni. Sono molti i messaggi positivi che il cantante regala al pubblico: ‘love is the answer and music is the healer’, l’amore è la risposta e la musica è ciò che ci guarisce. Con queste parole The Voice of Rock saluta il pubblico, chiudendo una serata di alto livello, che avrebbe meritato un’affluenza decisamente più numerosa per un musicista immenso, dotato di un dono straordinario.

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