GLENN HUGHES
Sono passate le 22.30 quando sul minuscolo palco del Black Horse fa la comparsa Glenn Hughes, accompagnato da una line-up completamente rinnovata, che si rivelerà una piacevolissima sorpresa nel corso della serata. Assieme al cantante, infatti, troviamo Jeff Kollman alla chitarra, che pur non avendo lo stesso tocco di J.J. Marsh, riesce a non far rimpiangere il suo predecessore; Anders Olinder alle tastiere, che ha suonato anche con Peter Gabriel, sempre attento e posato in ogni canzone; e soprattutto Marc Mondesir, un batterista straordinario che ha suonato alla corte di Jeff Beck e che ha davvero dato una carica in più ad ogni singolo brano. Il concerto si apre immediatamente con un nuovo brano, “Valiant Denial”, che mostra subito la carica dal vivo dei brani tratti da “Music For The Divine”. La band è assolutamente in palla e il solito immenso Glenn Hughes scherza e gigioneggia sul palco con le sue movenze ondulanti e le sue smorfie. La scaletta, come prevedibile, si concentra principalmente sulla carriera più recente dell’ex-Purple, pescando numerosi estratti da “Music For The Divine” e “ Soul Mover”: ecco quindi spuntare la particolarissima “Orion”, “Land Of The Livin’”, “Black Light”, “Don’t Let Me Bleed”, “You Got Soul”, e “Steppin’ On”. Nonostante una carriera trentennale, però, Glenn non si limita a riproporre le sue canzoni, ma lascia anche spazio ad un paio di cover, ovvero “Nights In White Satin” dei Moody Blues, contenuta nell’ultimo album, e una meravigliosa versione di “A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum, brano che Hughes aveva già interpretato in “American Matador”, l’album dell’amico Marc Bonilla. Inutile dire che la voce meravigliosa di Glenn riesce davvero a dare i brividi in queste due versioni splendide, dimostrando come un cantante di razza come lui sappia adattarsi a qualunque contesto. Naturalmente non possono mancare gli episodi tratti dal periodo trascorso con i Deep Purple, brani che, neanche a dirlo, vengono accolti da vere e proprie ovazioni da parte del pubblico. Il primo estratto è una lunghissima versione di “Mistreated”, introdotta da un Jeff Kollman particolarmente ispirato, che si dilunga in una sentita introduzione di chitarra. Nonostante si tratti di un pezzo originariamente cantato da Coverdale, Glenn ci mette tutta la sua passione interpretativa, facendolo proprio e aggiungendo il consueto finale ‘soul’, in cui il cantante si lancia in gorgheggi ed improvvisazioni vocali su un tappeto di tastiere. Il secondo pezzo in tinte porpora è una spettacolare versione di “You Keep On Movin’”, una delle vette artistiche di quel gioiello che è “Come Taste The Band”, che vede una prova vocale di Glenn davvero incredibile. Infine, come d’obbligo, il concerto si chiude sulle note di “Burn”, forse il classico per eccellenza dei Deep Purple post-Gillan, che, però, nonostante la performance impeccabile come sempre, non sembra essere impregnata della stessa sentita partecipazione messa in altri brani. Al termine della canzone la band saluta e ringrazia, lasciando nel pubblico la soddisfazione di aver assistito ad un altro bellissimo concerto di colui che, sempre più meritatamente, viene definito come “The Voice Of Rock”.